L’ultima umiliazione per l’Inter arriva una sera di maggio che sembra novembre. Il paragone regge solo per il meteo. Proprio a novembre, i nerazzurri giocavano da provinciali (ma giocavano) e battendo la Juve a Torino cominciavano a credere di poter fare il botto in campionato. Qualche mese dopo, l’Inter finisce la stagione al nono posto in classifica, con più gol subiti che fatti e 16 sconfitte in bacheca. E con una debacle per 2-5 in casa che consegna a un’Udinese che con Guidolin è ormai una certezza di gioco e risultati il posto in Europa League. E che gol, quello di Di Natale.
Va bene, i nerazzurri hanno ottenuto il 52% di possesso palla. Ok, hanno azzeccato quasi il 90% di passaggi. Ma bisogna scendere a patti con una realtà che solo un ostinato non vedrebbe: tra le file dell’Inter ci sono giocatori che al prossimo mercato farebbero meglio a lasciare la Pinetina. Nagatomo farà vendere qualche maglia in più in Giappone, ma non è giocatore da serie A (si veda l’ultimo gol di ieri sera, tanto per capirsi). Alvaro Pereira correrà tanto, ma non sa aggredire palla al piede. Kuzmanovic randella come un pazzo lì in mezzo, ma tra lui e un Gargano o un Mudingayi è dura trovare differenze. Per non parlare della penuria in attacco. Rocchi si è sbattuto tanto ieri, ma è pur sempre un ex ragazzino. Resterà, ma dovrà fare dai chioccia a quei giovani sui quali l’Inter dovrebbe puntare di più.
E allora, diciamolo: l’Inter non è stata in grado di gestire il ciclo vincente del Triplete. Da lì in poi, a parte una Coppa Italia, un sacco di errori. Dirigenziali, prima di tutto, perché è vero quell’adagio che dice che “Il pesce puzza dalla testa”: l’allontanamento di Oriali, le operazioni di mercato discutibili, uno Stramaccioni poco esperto senza un team di collaboratori adeguato (Beppe Baresi da solo non può coprirgli le spalle), un indirizzo societario che sembra navigare a vista, i tanti infortunati che non hanno una spiegazione: una volta è lo staff medico, un’altra il nuovo manto della Pinetina. Moratti si decida: o lo stadio nuovo, o una nuova squadra. Tutto il contrario dei friulani: società solida, stadio nuovo in vista, gioco affidato a uno che la gavetta l’ha fatta e che ha visto cose che voi umani…(allenate voi a Palermo con Zamparini). Resta da augurarsi che ora i bianconeri la onorino, questa Europa League: se no, si rischia di perdere altri posti Champions. Ma questo vale per tutte le italiane impegnate nella ex Coppa Uefa.
Tra l’Inter e il Milan c’è di mezzo un continente (l’Europa, appunto). E dire che ai rossoneri, in fondo, sono bastati 11 gol in più. Quelli di Balotelli. Il rigore di Siena era dubbio? Mario però l’ha messa dentro. Ed è arrivato a gennaio, quando l’Inter comprava Rocchi e Schelotto. E mentre Kuzmanovic arrancava, Flamini faceva sempre gol. Il Milan ha azzeccato il mercato ed ha potuto contare sugli uomini giusti al momento giusto. Insomma, ha fatto squadra. Anche ieri sera, in una partita giocata non bene, attorno a un tecnico che in pratica ha le valigie pronte chissà da quanto. Il Milan è stato aiutato dagli arbitri? In questa sede non ci interessa. La società ha navigato bene durante le tempeste della prima parte di stagione e ora se ne va in Europa. Questo conta, anche quando il gioco offerto non è dei migliori: sapere che alle tue spalle c’è un club che sa quello che fa.
Onore alla Fiorentina. Qualche tifoso viola non ha gradito la mancata Champions e ha aggredito il Milan in stazione con dei cori razzisti per Balotelli. Che schifo. Una coda velenosa che non deve coprire lo straordinario campionato della squadra di Montella. Un collettivo che ha visto rinascere gente che sembrava destinata allo sfasciacarrozze del pallone come Toni, Pizarro e Aquilani. Una squadra che ha offerto gioco a piene mani e con la faccia sempre avanti, secondo l’adagio di Rocco del “Mai paura”. Basti pensare ai soli 1375 passaggi in attacco di un grande acquisto come Borja Valero, secondo in questa statistica dopo il totem Pirlo. O ai 72 gol totali, solo un in meno del Napoli che ha vinto questa speciale classifica.
Questo è ciò che resta da dire di un campionato appena finito e che aveva emesso ormai tutte le sentenze. Ci attendono diverse novità, ora. La ricostruzione (ennesima) dell’Inter, il valzer delle panchine (dove andranno Allegri e Mazzarri?), il Napoli che torna in Champions e che dovrà trovare un tecnico all’altezza, la Juve che vuole rinnovare anche in Europa i fasti di Lippi. La prossima serie A avrà tre obiettivi. Uno. Migliorare, se possibile, il livello generale del campionato. Ma per fare questo, ci vogliono programmazioni societarie che un calcio vincente come quello tedesco sta attuando: stadi di proprietà, fidelizzazione del tifoso, attenzione ai bilanci. Due. Onorare di più l’Europa League: il prossimo anno ci andranno squadre che hanno fatto benissimo in Italia. Ed è da questa competizione che proprio la Germania si è ripresa l’Europa già da qualche anno. Fare bene qui significa avere un ranking Uefa migliore, con tutto ciò che ne consegue a livello economico e di prestigio. Tre: finirla con i cori razzisti, gli ululati, i sassi in tribuna ai dirigenti avversari. Stiamo chiedendo troppo?