Crimine a Milano, la mappa interattiva

Dopo l’ennesima rapina

Con cinque omicidi da gennaio a maggio, il 2013 a Milano non è stato fino ad oggi un anno eccezionale, sul fronte dei crudi conteggi della cronaca nera. Era andata in modo simile nello stesso intervallo di tempo nel 2010 o nel 2012. Certo: un assassinio compiuto a colpi di piccone, che lascia stesi sull’asfalto i corpi di tre uomini inermi pescati a caso tra i passanti, è qualcosa in grado di sconvolgere persino una metropoli storicamente abituata ai tassi di uccisioni più elevati del Nord Italia. Ma a una settimana dagli agguati sferrati senza logica né movente da Mada Kabobo, mentre i quartieri della periferia Nord della città già intitolano piscine e giardini pubblici alla memoria delle vittime, il dovere è quello di ritrovare la freddezza. Perché ascoltando i segnali, anche preoccupanti, che la cronaca nera milanese ha iniziato a lanciare in tempi recenti, gli eventi dell’11 maggio a Niguarda si leggono forse meglio come eventi isolati che non come indicatori di un rischio specifico.

Da oltre tre anni, chi scrive porta avanti un progetto giornalistico di mappatura della cronaca nera di Milano. Costruendo le mappe del Giro della nera (di cui quella del 2012 sarà presentata al pubblico il 31 maggio prossimo, durante la Wired Next Fest presso il Museo Civico di Storia Naturale ambrosiano), quello che si analizza con più interesse sono i modi in cui il racconto degli episodi si intreccia alla reputazione delle varie zone urbane. Distribuite in modo pressoché uniforme a livello geografico, le notizie non colpiscono ovunque allo stesso modo: ci sono aree ritenute forti, nelle quali un fatto efferato tenderà ad essere liquidato come fortuito o estraneo «all’anima del quartiere» e aree deboli, nelle quali eventuali aggressioni o rapine verranno considerate come la conferma di una situazione difficile. Nella storia recente, gli esempi forse più evidenti di questo atteggiamento di giudizio, implicito ma non per forza scorretto o in malafede, sono le risposte mediatiche alle pur differenti violenze e rivolte etniche di via Paolo Sarpi nel 2007 e di via Padova nel 2010. Nel primo caso l’emergenza è rientrata in poco tempo (anche sulla scorta degli interventi di rinnovamento fisico e pedonalizzazione della strada da parte del Comune). Nel secondo si può dire non si sia mai risolta.

Gli omicidi a Milano da gennaio a maggio 2013 sono stati cinque 

Dove si colloca, in questo contesto, il caso di Niguarda? Intanto, bisogna specificare che sotto questo nome si colloca un’area molto vasta, in cui le viuzze dell’ex municipio autonomo sono state strette a sud, in particolare negli ultimi sessant’anni, da massicci complessi edilizi, sgraziati e spesso in stato di decadenza, in cui luoghi come via Ciriè o via Padre Luigi Monti si legano a cronache drammatiche. Come il ritrovamento del cadavere di una donna, appoggiato al muro di un androne, spostato come un oggetto di cui liberarsi, nel giugno 2012. O uno stupro perpetrato da un uomo sieropositivo, con lo scopo dichiarato di contagiare la partner occasionale, nell’estate 2010. O ancora, la lotta al racket mafioso tra le case popolari di via Monti, in cui un blitz delle forze dell’ordine sgomberava un arsenale di armi nascosto in un garage. Per non citare i furti all’Ospedale Maggiore, tra cui quelli particolarmente detestabili di un uomo che si era specializzato nel depredare i parenti dei ricoverati nel reparto di oncologia.

Nessuno di questi casi aveva però sfiorato le rassicuranti strade del borgo originario, due chilometri più su, dove all’alba di un sabato sono stati feriti a morte Alessandro Carolé, Daniele Carella ed Ermanno Masini. E sembra del resto difficile, vista se non altro negli articoli la mancanza di messa in discussione delle parole «Niguarda è un quartiere sicuro» da parte degli abitanti, che questo episodio eclatante possa ledere troppo la percezione del quartiere. A questo proposito può essere illuminante citare di nuovo il caso di via Padova, una strada lunga quattro chilometri in cui però qualunque cosa accada, in qualunque punto, può tutt’oggi trovarsi ad essere ricollegata alla guerriglia urbana del febbraio 2010. Oppure riproporre quanto successe sempre nel capoluogo lombardo esattamente dieci anni fa, quando un altro trentunenne come Kabobo, ma dal nome italiano e non ghanese, Andrea Calderini, dal suo appartamento in zona Fiera trucidò la vicina di casa e sparò a tre passanti in strada, prima di uccidere sé e la moglie. La reputazione di via Mosè Bianchi non fu granché intaccata da quel fatto. E non lo è stata neanche nove anni e mezzo dopo, quando a pochi metri di distanza, nel novembre scorso, l’assicuratore Diego Preda viene freddato con un colpo alla testa, in quello che il Corriere della Sera qualificava come un’ambientazione insolita per un delitto, una «strada costellata d’uffici e di abitazioni della borghesia benestante».

Appurato che la notizia del killer con il piccone legherà probabilmente il suo ricordo più a una generica paura metropolitana che non al nome di Niguarda, quali lezioni si possono trarre, nei campi dello studio e della prevenzione del crimine, da un’esplosione di violenza folle come quella dell’11 maggio? «In generale, purtroppo non molte. L’omicidio volontario in quanto categoria di reato, in particolare sulla modestissima casistica di Milano in tempi vicini, ovvero 15 o 20 eventi all’anno, fa molta notizia ma è poco indicativo», risponde Marco Dugato, docente di statistica della criminalità e ricercatore esperto di crime mapping presso il centro studi Transcrime congiunto tra le università Cattolica di Milano e di Trento: «La relazione tra omicidi e luoghi è molto vaga. Se cercassimo a fondo, nel caso di Kabobo, potremmo magari trovare marginali elementi predittivi in termini delle opportunità criminali offerte dal territorio, ma in generale c’è una componente di casualità forte».

 Una delle vie di Niguarda dove si sono verificati i ferimenti a morte

Ma come si muove, in generale, la situazione della criminalità a Milano? «Da un lato, gli omicidi sono stabili negli ultimi anni», continua Dugato: «Mentre a mostrare una significativa inversione di tendenza, rispetto al forte calo che si era verificato fino al 2010, sono reati appropriativi come i furti e le rapine, che dall’anno scorso hanno ripreso a crescere». È una considerazione che era stata fatta, mesi fa, anche dal questore di Milano Luigi Savina, in un incontro di fine anno con la stampa che pure era stato improntato ad ottimismo, dato il calo complessivo, di almeno il 5%, del numero dei reati nella prima provincia lombarda nel 2012. Nella tendenza talvolta immotivata a scorgere in ogni piega dell’attualità una qualche traccia della crisi economica, gli aumenti del 40% delle rapine in abitazione, del 23% di quelle negli esercizi commerciali e del 15% dei furti con strappo sono segnali difficili da equivocare. Sono numeri importanti, ma faticano a provocare scalpore, anche perché forse, a differenza dei gesti terribili di un africano clandestino e asilante, non lasciano spazio all’individuazione di capri espiatori razzisti. 

Twitter: @dajamog

*Daniele Belleri ha un progetto, ilgirodellanera, che da oltre due anni nel parlare di furti, truffe, soprusi e omicidi, invece che soffermarsi sui particolari morbosi delle violenze, sulla sofferenza delle vittime o sulla nazionalità dei criminali, vuole mostrare soprattutto dove succedono i fatti di Nera a Milano. Mettere insieme queste informazioni su una mappa e vedere se è possibile capire qualcosa di nuovo sul modo in cui ogni giorno, direttamente o indirettamente, l’argomento della sicurezza in città è affrontato da quotidiani e siti di informazione.

Mappa de ilgirodellanera sui crimini a Milano nel 2012
(qui una spiegazione di come è stata compilata la mappa)

Mappa de ilgirodellanera sui crimini a Milano nel 2011
(qui una spiegazione di come è stata compliata la mappa)


Visualizza Milano – Il giro della Nera – 2011 in una mappa di dimensioni maggiori

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