È la prima volta. E come sempre, quando vi è ansia di prestazione, si fallisce l’obiettivo o lo si raggiunge solo in parte. E, quasi inevitabilmente, nascono dei fraintendimenti. Sembra sia questo il risultato della partecipazione del Vaticano alla 55 Biennale di Venezia.
Se risale agli anni Sessanta l’ultima volta in cui la Chiesa e gli artisti si sono visti con desiderio, e da allora, a parte le intenzioni, non è succeso gran che, il minimo che può accadere è che le persone non si riconoscano più. Dopo tutti questi anni, nonostante lo scrubbing di papa Francesco, la Chiesa è invecchiata: ha rughe profonde che le tolgono la freschezza della sua giovinezza rinascimentale.
Il cardinale Ravasi la chiama ancora “arte” – e il sistema dell’arte forse la riconosce come tale – ma nel frattempo anch’essa è diventata accessoria, modaiola, pronta a vendersi pur di esserci. D’altra parte: che cosa pretendiamo? Anche la Chiesa guarda all’arte come fosse un semplice strumento di comunicazione, un arte-oggetto che soddisfa un bisogno, come nel caso specifico di questa Biennale in cui le tre presenze artistiche sono funzionali all’illustrazione del movimento della de/ri/creazione.
Credo per questo che l’incontro tra una Chiesa invecchiata e un’arte annacquata passi attraverso una reciproca frequentazione, assidua e libera da effimeri programmi illustrativi. Perchè non scappate entrambe dalla Laguna e tornate ad abbracciarvi in un luogo sacro, da dove infondo entrambe siete venute?