In Italia, paese di giovane immigrazione, la presenza di immigrati costituisce ancora una fonte di profonda insicurezza causata, nella maggior parte dei casi, da una conoscenza solo superficiale della realtà dei fatti.
Una delle evidenze più fraintese è quella che vede gli stranieri commettere più crimini rispetto alla loro presenza percentuale sulla popolazione. Questo induce a pensare che gli stranieri siano più violenti. In effetti, dai dati emerge che gli immigrati in Italia, nonostante rappresentino meno del 4% della popolazione, sono i responsabili di circa il 20% dei crimini. Tuttavia, ciò di cui non si tiene conto è che la popolazione straniera presenta caratteristiche osservabili diverse rispetto a quelle della popolazione autoctona. Nello specifico gli immigrati sono per lo più maschi, in giovane età, celibi e spesso in condizioni di emarginazione sociale e economica (caratteristiche che aumentano la propensione a delinquere di ogni soggetto, indipendentemente dalla nazionalità – ad esempio in Italia nel 2005 l’84.8% dei crimini è stato commesso da uomini e il 78.6% da persone appartenenti alla fascia di età 18-44.)
Su immigrazione e criminalità, un altro tema controverso, e sfortunatamente spesso trattato con superficialità, è quello del rapporto fra integrazione dei migranti e tasso di criminalità. Ma la segregazione etnica è davvero causa di maggiore crimine o questa convinzione è una paura del tutto ingiustificata?
Negli Stati Uniti, gli studi sull’argomento hanno mostrato che una maggiore segregazione si traduce in un’aggravata condizione socio-economica dei migranti che porta a sua volta a tassi di criminalità più elevati. Di conseguenza sono state introdotte politiche abitative e sociali come i programmi di dispersione, quelli di diversificazione dell’housing e di concessione di vouchers per l’affitto, per cercare di favorire l’integrazione residenziale. Ma cosa ci dicono i dati sull’Italia (paese, appunto, di recente immigrazione)?
Per gettare uno sguardo più approfondito al nesso tra concentrazione etnica e criminalità, è utile guardare alla correlazione tra gli indici di segregazione etnica discussi in questo articolo e ai crimini commessi dalle persone straniere, facendo poi interagire queste due variabili a livello provinciale.
Anche controllando per il reddito, il tasso di disoccupazione ed altre caratteristiche di ciascuna provincia, una semplice analisi di regressione mostra che il rapporto tra segregazione etnica (1) e criminalità è tutt’altro che banale, e anzi cambia a seconda del livello di segregazione: la dimostrazione che prima di saltare a conclusioni affrettate è bene guardare alle dinamiche nel dettaglio.
In Italia, si osserva un effetto a U della segregazione sul tasso di crimine. Nello specifico, fino a quando la concentrazione spaziale dei migranti ha valori inferiori a S* l’effetto della segregazione sul crimine è negativo (tanto più si vive in zone dove la propria etnia è concentrata, tanto minore è la propensione al crimine), quando invece la segregazione ha valori superiori a S* l’effetto è positivo (tanto maggiore la ghettizzazione degli immigrati, tanto maggiore il crimine).
Una possibile spiegazione di questo fenomeno è che, fino a quando la segregazione ha valori bassi gli immigrati riescono, attraverso le reti etniche, ad attenuare la loro propria condizione di marginalità, riducendo così anche la probabilità di comportamenti devianti. In altre parole, finché non raggiunge livelli troppo alti, la segregazione ha un effetto positivo, perché fornisce agli immigrati una rete di relazioni e servizi informali (supporto linguistico, logistico, emozionale) che li tiene lontano dal crimine. Tuttavia, quando la segregazione assume valori molto alti i migranti neppure aiutandosi tra loro riescono a migliorare la propria condizione, ma anzi concentrandosi finiscono per restare vittime di una trappola di ghettizzazione – che si traduce in maggiori tassi di criminalità.
In questo contesto generale in cui la segregazione può essere sia positiva che negativa, nel periodo per cui disponiamo dei dati necessari all’analisi (2003-2005), 98 Province italiane su 103 si trovavano a sinistra di S* e dunque registravano un effetto deflativo della segregazione sul crimine mentre le restanti province di Lecce, Trapani, Sassari, Nuoro ed Oristano si collocavano a destra di S* e presentavano dunque un effetto inflativo.
In generale, in Italia, il valore medio della segregazione (S=0.206) per periodo 2003-2005 si posiziona a sinistra di S*, implicando che la concentrazione spaziale dei migranti nel nostro paese non è, per il momento motivo di allarme, bensì uno strumento efficace per attenuare la marginalità sociale dei migranti.
A conseguenza di ciò, in Italia il timore della ghettizzazione risulta, allo stato dei fatti, ingiustificato; altrettanto ingiustificata risulta l’implementazione di politiche de-segregative. Fanno eccezione le Province di Lecce, Trapani, Sassari, Nuoro ed Oristano in cui invece la variabile segregazione assume valori alti. In queste province potrebbe dunque rivelarsi appropriato instaurare un dialogo tra enti pubblici e associazioni locali per dicutere in merito alla possibilità di introdurre politiche de-segregative ed eventualmente, di che tipologia.
Non è detto che nel corso degli anni la situazione non sia cambiata, e non possiamo escludere che ci si stia spostando nella parte crescente della U, dove le risposte politiche da dare al fenomeno della segregazione etnica dovrebbero essere alquanto diverse. Occorre perciò vigilare, anche raccogliendo dati e realizzando analisi statistiche che forniscano il polso della situazione in maniera continuativa.
(1) La segregazione etnica è qui calcolata attraverso l’indice di dissimilarità multigruppo; questo misura la quota di persone che dovrebbe riallocarsi sul territorio per far convergere la distribuzione reale dei vari gruppi etnici sul territorio ad una distribuzione ideale per l’integrazione interetnica. Un esempio di distribuzione ideale è quello in cui se in una provincia il 5% della popolazione è di etnia rom, anche in ogni comune di quella provincia il 5% della popolazione è rom.