Di elezione in elezione sembra acuirsi lo smarrimento del Nord. L’insieme di piccoli imprenditori, commercianti, partite Iva e artigiani che per vent’anni ha votato Lega e Pdl non ha più una voce né, a quanto sembra, un rappresentante politico. Nemmeno il Movimento Cinque Stelle, che sembrava aver sostituito – almeno nel lamento – il ruolo della Lega e di parte del Pdl, non ha una presa stabile, come dimostra l’esito del voto alle amministrative, molto al di sotto del dato delle politiche. Cosa succede? Cosa non ha funzionato? Lo spiegano a Linkiesta il sociologo Aldo Bonomi, fondatore e animatore dell’Istituto di ricerca Aaster (Associazione Agenti di Sviluppo del Territorio), e Paolo Feltrin, docente di Scienza Politica all’Università di Trieste ed è analista di Flussi elettorali. E spiegano come sarà difficile, per il Nord, trovare presto un’altra voce.
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Perché, dopo il ventennio forzaleghista, il passaggio al M5S, che sembrava aver rilevato il testimone, è stato così breve?
Il vero problema si trova in poche parole chiave: una di queste è disincanto. Tutta la dimensione di protesta emersa in vista delle politiche si è, d’un tratto, trasformata in disincanto. Non è più una competizione tra Lega e Cinque Stelle, ma un problema nodale che riguarda tutto il paese. Si è votato non votando.
Ma chi potrebbe essere, adesso, il nuovo soggetto in grado di diventare portavoce del Nord?
È difficile dirlo. Il termine giusto da adottare per descrivere la realtà del nord è “metamorfosi”. È questo cambiamento che rende inadeguati gli attori politici, di ogni parte, a capire e rappresentare il nord. A questo punto, non c’è bisogno di un nuovo soggetto politico, o non politico, perché la realtà è in cambiamento. Sono in crisi tutte le associazioni di imprese, che rappresentavano gli interessi di questi soggetti; e sono in crisi le forme partito, che rappresentavano invece le passioni. È in crisi anche il concetto di delega ai meccanismi statali. Come evolverà va visto e studiato.
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Perché, dopo il ventennio forzaleghista, il passaggio al M5S, che sembrava aver rilevato il testimone, è stato così breve?
Intanto, prima di trarre queste conclusioni, occorre un’analisi precisa dei flussi elettorali. A seconda delle regioni, se del nord o del sud, c’era una divisione di 60/40 tra centrodestra e centrosinistra. Al nord, era 60 centrodestra e 40 centrosinistra. Al sud viceversa. Entrambi hanno perso in favore di Grillo alle politiche. Ora, l’ipotesi di lavoro è che con queste amministrative i voti del centrosinistra siano tornati a casa, mentre quelli della destra siano finiti nell’astensionismo. Del resto, l destra ha registrato uno dei risultati peggiori dal secondo dopoguerra a oggi, mascherato solo dalle cifre dell’astensionismo e dalla strana tattica di Bersani. Per quanto riguarda il Movimento Cinque Stelle, invece, il discorso è più complesso. Sembra di capire che, più che alla Lega del ’92, somigli più a Segni del ’92. Cioè un Movimento, appunto, non radicato e trasversale, che unisce gli opposti ma che non ha stabilità nel tempo. Sembra che abbia un futuro breve, condannato a essere effimero.
Ma chi potrebbe essere, adesso, il nuovo soggetto in grado di diventare portavoce del Nord?
A livello politico, in una certa misura il Pdl ha ancora un suo seguito. Ma senza Berlusconi non va avanti molto. In questo momento di estrema fluidità elettorale al nord, chiunque si insedi può avere un suo seguito. La risposta più prudente, e più sincera, a questo punto (non rida) è “boh!”.