Dopo l’austerità le esportazioni salveranno i Piigs

Scelto per voi da Liberty Street Economics (blog della Fed of New York)

I deficit dei paesi della periferia dell’area euro sono per la maggior parte scomparsi. Questo dato rappresenta un sostanziale risanamento dei conti pubblici. Solo due anni fa, il disavanzo pubblico ammontava circa al 10 per cento del Pil in Grecia e in Portogallo, e al 5 per cento in Spagna e in Italia
(vedi il grafico a fianco). Questa drastica riduzione significa che la spesa pubblica è stata riportata in linea con le entrate, con l’obiettivo di stabilizzare lo squilibrio che ha lasciato questi paesi dipendenti da una enorme quota del debito in mani straniere. Tuttavia, questo risanamento dei conti è stato ottenuto a discapito della crescita economica, poiché la riduzione della spesa interna è solo in parte compensata dall’aumento del valore delle esportazioni. La riduzione della pressione della spesa pubblica dovrebbe riuscire a contenere la dipendenza di questi paesi dai debiti esteri. Il rischio, tuttavia, è che i creditori stranieri chiedano a questi paesi di ripagare i debiti già accumulati, forzandoli in questo modo a ridurre ulteriormente la spesa domestica al di sotto delle entrate.

Il bilancio statale misura quanto quel paese dà o prende a prestito dal resto del mondo. Un paese nel quale le importazioni sono maggiori delle esportazioni sta anche spendendo più di quello che produce e quindi è costretto a prendere a prestito dall’estero per sanare questa differenza. Per molti anni, i paesi periferici dell’area euro hanno ricorso pesantemente ai prestiti esteri, creando gli attuali livelli di debito pubblico e le crisi dei loro sistemi bancari. Il risultato è che quando gli investitori non si sono più resi disponibili a fornire successivo credito, nonostante gli altissimi tassi d’interesse, questi paesi si sono ritrovati ad affrontare una fortissima pressione ad aggiustare i conti. Questa pressione a far quadrare i conti li ha obbligati a effettuare dei cambiamenti nella loro bilancia commerciale e quindi nel bilancio tra le entrate e le uscite pubbliche, senza poter ricorrere all’ausilio del “canale tasso di cambio” a causa della loro appartenenza alla moneta comune, l’euro.

Esportazioni e importazioni

Perdere la possibilità di accedere al credito estero significa che i ricavi derivanti delle esportazioni devono aumentare in relazione alle spese sostenute per le importazioni. Come si evince dalla tabella, la maggior parte dei recenti aggiustamenti di bilancio avvenuti in Italia, Spagna e Portogallo sono stati finanziati da un aumento dei ricavi dalle esportazioni. Dal 2010 al 2012, le esportazioni nominali di beni e servizi in questi paesi sono cresciute del 15 per cento o più, in linea con le performance della Germania. L’aumento delle esportazioni ha aiutato a sostenere le economie di questi paesi, sebbene affetti da una severa recessione. All’opposto, la Grecia ha visto le sue vendite all’estero crescere solo dell’8 per cento in questi ultimi due anni; questo incremento ha potuto solo parzialmente alleviare la dura recessione del paese.

Guardando alla ripartizione geografica dei beni esportati, si evince che la maggior parte degli incrementi delle vendite dei beni esportati ha avuto luogo fuori dall’area euro, in particolare nei mercati dell’America settentrionale, asiatici e nei paesi esportatori di petrolio. Infatti, le vendite fuori dall’area euro di questi sono cresciute circa del 30 per cento negli ultimi due anni, rispetto all’aumento del 10 per cento avvenuto all’interno dell’area euro.

La discussione sugli aggiustamenti della bilancia commerciale avvenuti nella periferia dell’area euro ha spesso evidenziato la necessità di migliorare la competitività all’estero. Sfortunatamente, gli indici che misurano provvedimenti sulla competitività sono nel migliore dei casi imperfetti. Una misura comunemente usata in questo caso si basa sull’unità costo-lavoro, ossia, sulla crescita della retribuzione del lavoro rispetto alla sua produttività del lavoro stesso. L’intuizione è semplice: maggiori salari riducono la competitività a meno che non siano compensati da un aumento di produttività. Comunque, questa misurazione della competitività può essere fuorviante in caso di condizioni economiche turbolente. Il fallimento delle imprese a bassa produttività fa aumentare il livello di produttività media del paese, ciò ovviamente non significa che la competitività delle imprese rimaste sul mercato sia realmente aumentata. Nelle diverse economie, le misurazioni dell’unità del costo-lavoro possono essere particolarmente svianti quando la recessione si concentra in settori a basso livello di produttività, come quello dell’edilizia. Per esempio, la maggior parte della riduzione del costo del lavoro spagnolo, rilevata negli ultimi anni, è dovuta al crollo del settore dell’edilizia del paese.

L’Ocse ha creato un indice sulla competitività basato sulle performance di un paese all’estero e che tenga conto del potere commerciale del paese-partner. Se le esportazioni crescono più rapidamente delle importazioni totali del partner commerciale, il paese guadagna quote di mercato; se le esportazioni crescono più lentamente, il paese le perde. Secondo questo indice, Spagna e Portogallo hanno fatto molto bene negli ultimi anni, con esportazioni cresciute dal 6 all’8 per cento più velocemente del totale delle importazioni dei loro partner commerciali dal 2010 al 2012. (Questi dati si basano sulle stime preliminari del 2012).

Questi risultati corrispondono a quelli sulle performance delle esportazioni tedesche, che sono cresciute del 5 per cento più velocemente del totale delle importazioni dei loro partner commerciali. Le esportazioni italiane, al contrario, tengono semplicemente il passo con la crescita delle importazioni dei loro partner commerciali. Mentre la Grecia ha perso quote sostanziali di mercato, con esportazioni cresciute del 10 per cento più lentamente di quanto faccia il mercato delle importazioni dei suoi partner commerciali nel periodo considerato.

Nei paesi periferici dell’area euro, anche la debolezza delle importazioni ha favorito gli aggiustamenti della bilancia commerciale. Questo è particolarmente vero in Grecia e in Portogallo, dove gli acquisti di beni e servizi stranieri sono crollati rispettivamente dell’11 e del 4 per cento, dal 2010 al 2012. Le importazioni italiane sono aumentate in modo contenuto, mentre quelle spagnole sono cresciute del 6 per cento. In ogni caso, l’aumento delle importazioni è stato ben più contenuto della crescita delle esportazioni, contribuendo a ridurre la dipendenza dal debito estero.

La recessione economica attuale è stata la principale causa del calo delle importazioni nella periferia dell’area euro. Infatti, in questi paesi, la spesa per le importazioni rimane ben al di sotto dei livelli del periodo precedente alla recessione; mentre, in Germania, è cresciuta ben al di sopra dei livelli pre-crisi. Il problema è che la spesa per le importazioni di questi paesi potrebbe riprendere a crescere velocemente una volta che le loro economie si saranno riprese; ciò porterebbe a una nuova crescita del deficit corrente. Considerando la situazione da un punto di vista più ottimistico, il difficile risanamento è servito a riportare in linea le importazioni con le esportazioni e, quindi, nel futuro i due “categorie” potranno cresceranno di pari passo, senza ricreare la necessità di ricorrere a nuovi prestiti.

Spese ed Entrate

Il deficit è l’ammontare della spesa pubblica non coperta dalle entrate. Una misura alternativa ma equivalente di questa scopertura è data dalla differenza tra gli investimenti interni e il risparmio interno. (Da notare che la spesa pubblica e privata di un paese va o in consumo o in investimenti, mentre le entrate non spese in consumo corrente si traducono, per definizione, in risparmio. Così, la differenza tra la spesa e le entrate è uguale alle spese in investimenti meno il risparmio. Questa stessa logica contabile significa che il deficit fiscale di un paese è dato dalla differenza tra quanto un governo risparmia e quanto spende in investimenti). La tabella mostra che la maggior parte delle riduzioni dei deficit dei paesi periferici avvenute negli ultimi due anni è derivata da una minore spesa in investimenti, con riduzioni che vanno da quasi 2 a più di 4 punti percentuali del Pil. Anche l’aumento dei risparmi ha contributo a ridurre il deficit. Piccoli aumenti sono stati registrati in Italia e in Spagna e un aumento più sostenuto in Grecia e Portogallo.

La caduta della spesa in investimenti, in particolare fuori dal settore immobiliare, potrebbe però limitare le prospettive di miglioramenti in termini di competitività e di crescita. Come mostra il grafico, questa ipotesi è particolarmente calzante poiché il recente crollo degli investimenti ha fatto seguito a un precedente grande calo, registrato nel periodo 2008 e 2009- durante la Grande Recessione ma prima che la crisi dell’area euro prendesse piede. Al contrario, le spese in investimenti in Germania non hanno mai registrato nessun passo in dietro. La ripresa economica è, infatti, trainata dagli investimenti. Un altro rischio per i paesi della periferia dell’area euro è quindi che una maggiore crescita potrebbe innalzare il deficit corrente, non appena la spesa in investimenti tornerà a essere finanziata da prestiti stranieri. L’aspetto positivo è che una crescita solida favorirà un aumento dei risparmi pubblici e privati limitando la spesa pubblica e aumentando i profitti aziendali.

Conclusione

I paesi periferici dell’area euro hanno sofferto una dolorosa contrazione della loro economia in seguito della decisione d’interrompere la loro dipendenza dai creditori stranieri. La speranza ora è che il risanamento della loro bilancia commerciale porrà le basi per una ripresa reale. Il peso del debito già accumulato rimane, comunque, e continua a richiedere una certa attenzione. Molto dipenderà dal comportamento degli investitori esterni. Un altro loro passo indietro costringerà i paesi periferici ad abbassare la loro spesa sotto il livello delle loro entrate per generare un surplus di bilancio necessario a ripagare il debito accumulato. Questo comporterebbe un’ancora più pronunciata caduta dei consumi e degli standard di vita. Recentemente i dati sulle bilance dei pagamenti sembrano incoraggianti, comunque, poiché gli investitori privati hanno smesso di ritirare i loro soldi da quei paesi dalla seconda metà del 2012, apparentemente rassicurati dal programma “Outright Monetary Transaction” della Banca centrale europea, annunciato lo scorso agosto.

articolo pubblicato su Liberty Street Economics (Federal Reserve Bank of New York), il 22 maggio 2013

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter