Dopo sei mesi di assegni di disoccupazione, sempre meno giovani cercano attivamente un impiego
I più contenti sono i gestori di pizzerie, bar e pub. Per loro, è diventato sabato tutti i giorni. E le sere di metà settimana, con tavoli e banconi semideserti, quasi non le ricordano più. Merito della ripresa economica? Non proprio. Ad animare l’improvvisa esplosione della movida all’italiana sembrano essere i nuovi disoccupati: quelli con in tasca il sussidio mensile di mille euro garantito dalla legge sul reddito di cittadinanza, approvata sei mesi fa. Sono loro a riempire locali, parrucchieri e centri commerciali, a sfidarsi sui campi di calcetto anche la mattina, a popolare parchi e biblioteche a tutte le ore.
Maestri della vita low-cost, virtuosi dei coupon comprati su Internet, neo “bamboccioni” (ricordate Padoa Schioppa?) che in gran parte vivono ancora in casa con mamma e papà. Per definirli non si usa più la sigla NEET (Not in Education, Employment or Training) che un tempo indicava la rassegnazione di chi era senza lavoro e neppure provava a cercarlo. Per i nuovi disoccupati è stato coniato il termine NIEET: Not Interested in Education, Employment or Training. Gran parte di loro, infatti, grazie ai mille euro al mese, di lavoro non vuole neppure sentir parlare. Almeno per adesso.
«La verità? Un paio di volte non ho risposto al telefono per paura che fosse il centro di collocamento», rivela Andrea, 26 anni e una laurea in Psicologia all’Università di Padova. Il sistema dei sussidi, entrato a regime il 1° settembre, prevede controlli molto serrati. Chi beneficia dell’assegno mensile deve essere iscritto alle liste di disoccupazione. E soprattutto non può rifiutare più di due proposte di lavoro inviate – in base alle sue competenze e al suo profilo – dai centri di collocamento. Sei mesi fa, quando il reddito di cittadinanza è diventato realtà, Andrea è stato tra i primi ad inviare il modulo online per ottenere il sussidio. E ancora oggi è entusiasta del nuovo sistema: «Era ora che la politica facesse qualcosa per noi giovani. Prima tiravo avanti con le ripetizioni, ma non bastavano per fare uno stipendio vero. Adesso posso prendermi almeno un anno sabbatico e godermi un po’ la vita. Di certo è meglio che chiudersi in un ufficio o fare telefonate in un call center». E le ripetizioni? «No no, quelle non le faccio più», precisa Andrea.
L’altra condizione per accedere al sussidio è infatti quella di non avere un impiego nemmeno part-time. Contro il rischio che qualcuno provi ad arrotondare con piccoli lavori “in nero”, la Guardia di Finanza ha messo in campo una task force di 70 uomini, che fanno controlli a campione. Restano vietati invece gli accertamenti sui conti correnti, cestinati dal governo insieme al redditometro, con il pacchetto di provvedimenti approvato a luglio.
Del resto, nonostante gli incentivi per le aziende che propongono contratti di 20 ore settimanali, uno stipendio part-time non arriva quasi mai a superare i mille euro del sussidio e, di fatto, il reddito di cittadinanza ha finito per scontrarsi con la riforma dell’orario lavorativo. Un effetto collaterale che spiega in parte perché la disoccupazione tra i giovani non accenni a diminuire.
«È vero: in questo momento non sto cercando lavoro», ammette Marianna, di Caserta, nata nel 1985. «Ma a farmi chiamare bambocciona non ci sto. Io vivo per conto mio da quanto ho 19 anni». Sullo sfondo, anche nei NIEET, c’è un po’ della rassegnazione dei “vecchi” NEET: «Ho preso abbastanza porte in faccia negli ultimi tre anni – continua Marianna – e per un po’ preferisco pensare ad altro. Perché no? Anche a divertirmi. Non credo né di essere un peso per la società, né di dovermi vergognare».
Sul punto non sono tutti d’accordo e anche tra i ragazzi che usufruiscono del sussidio di disoccupazione c’è qualche voce polemica. «Non dovrebbero dare quei soldi a chi non s’impegna davvero per cercare lavoro o almeno per fare un corso di formazione», sostiene Fabio, 28 anni. Per lui, i mille euro al mese si sono trasformati in un master in Diritto commerciale alla Sapienza di Roma. «Mi sono laureato nel 2012 e senza il sussidio non sarei mai riuscito a prendere una specializzazione, che nel mio campo è fondamentale. Certo, Roma è cara e, tra retta e affitto, mi capita ancora di dover chiedere soldi a mamma e papà. Per questo mi arrabbio quando vedo che c’è gente che se ne sta senza far nulla e butta via il tempo a spese dello Stato. Un po’, è anche a spese mie: se i sussidi fossero solo per chi ne fa buon uso, potrebbero essere più alti».
L’INTERVISTA
Poca equità nel welfare italiano. Ma cambiarlo costa…
Intervista al Prof. Maurizio Ferrera, ordinario di Politiche sociali e del lavoro all’Università degli Studi di Milano. «C’è una doppia distorsione e un problema di equità nel welfare italiano. Ma i meccanismi per correggerla costano, specie se si vuole applicarli dall’oggi al domani»
Domanda – Il reddito di cittadinanza, di cui tanto ha parlato Grillo, rientra nella casistica?
Maurizio Ferrera – Innanzi tutto dobbiamo capirci. Una cosa è il reddito di cittadinanza e un’altra sono i sussidi di disoccupazione. Per reddito di cittadinanza, o reddito di base, s’intende un trasferimento in denaro che va a ciascun cittadino in virtù esclusivamente della residenza all’interno di un Paese. Insomma, in forma incondizionata: lo Stato lo eroga senza chiedere niente in cambio. Le ragioni filosofiche per sostenere questo strumento sono abbastanza persuasive, ma non esiste da nessuna parte nel mondo.
D. – Esistono invece i sussidi di disoccupazione, che infatti il Movimento 5 Stelle ha nel programma…
M.F. – Sì, negli altri Paesi d’Europa ci sono dei sussidi di disoccupazione, che Grillo chiama universali, ma in realtà sono erogati solo alle persone che perdono il lavoro e in alcuni casi anche ai giovani che cercano la prima occupazione. Sono condizionati a requisiti piuttosto stringenti: bisogna essere disponibili non solo alla ricerca attiva di lavoro, ma anche ad accettare lavori non congrui con le proprie qualifiche o lontani da casa, partecipare a progetti di riqualificazione e così via».
D. – In Italia si potrebbe portare questo modello?
M.F. – Bisogna arrivarci per gradi. È vero che il sistema italiano finora è stato debole su questo aspetto. Ma quando entrerà a regime la riforma Fornero, nel 2017, avremo un nuovo strumento – l’Aspi, Assicurazione Sociale per l’Impiego – che dovrebbe fornire sussidi di disoccupazione che non sfigureranno rispetto agli altri Paesi. Certo, costerà di più e proprio per questo la riforma prevede un meccanismo graduale per arrivarci. Se volessimo introdurre i sussidi domani mattina, dovremmo o aumentare le tasse, o ridurre la cassa integrazione, o tagliare le pensioni.
D. – E infatti Grillo suggerisce di finirla con le pensioni d’oro…
M.F. – Sforbiciare i trattamenti pensionistici più alti potrebbe essere una buona idea, non so se Grillo l’ha messo nel programma, ma sicuramente ne ha parlato. Noi abbiamo 150mila pensioni che superano i 3.500 euro lordi al mese. Pochi Paesi, forse nessun Paese europeo ha un numero così elevato di pensioni che superano questa soglia. Rispetto a Paesi “ricchi” come Francia e Germania, abbiamo molti più trattamenti pensionistici sopra i 3.500 euro e invece pensioni sociali nettamente inferiori. C’è un problema di sperequazione alto-basso.
D. – Il tetto a 5mila euro le sembra un’idea ragionevole?
M.F. – Sarebbe una misura abbastanza drastica, che però dal punto di vista dell’equità sarebbe giustificata. Anche perché queste pensioni – sono stati fatti dei calcoli – non dipendono dalla contribuzione effettiva versata in una vita lavorativa e sono in effetti dei regali. Nessuno le ha rubate, ma chi ne fruisce lo fa in virtù di leggi che erano irresponsabili e insostenibili dal punto di vista finanziario. Ora, i diritti acquisiti sono già stati toccati tante volte in passato e si potrebbe fare anche adesso. Magari non in modo così drastico, agendo sui meccanismi di indicizzazione delle pensioni o con provvedimenti simili.
D. – Grillo ha più volte parlato di un Paese profondamente spaccato a livello so- ciale ed economico: è una diagnosi che condivide?
M.F. – La diagnosi è correttissima: abbiamo un sistema di welfare – come ho detto tante volte in passato – che ha una doppia distorsione. Sul piano distributivo, quindi dell’equità, tra garantiti e non-garantiti, piglia tutto e piglia niente. E sul piano funzionale: si spende troppo per il rischio vecchiaia e troppo poco per disoccupazione e soprattutto per la povertà tout-court. Negli altri Paesi esistono delle reti di sicurezza, per così dire: trasferimenti in denaro per chi si trova in situazione di indigenza o povertà, non per sua volontà. Sono convinto che sia qui che dovrebbe scattare un sostegno di ultima istanza, che invece in Italia non è previsto.
D. – Il reddito di cittadinanza o i sussidi di disoccupazione proposti dal Movimento 5 Stelle funzionerebbero come cura?
M.F. – Esistono meccanismi migliori, come il reddito attivo di solidarietà francese. Funziona così: a una persona sola che non ha proprio niente lo Stato dà fino a 1.200/1.400 euro netti al mese, ovviamente purché la persona sia disponibile al lavoro. Quando la persona trova lavoro, si lascia una parte di questo sussidio fino ad arrivare a 2.500 euro totali. Il sistema così dà un incentivo alla partecipazione al mercato del lavoro. Non incoraggia le persone a fruire del sussidio e magari fare dei lavoretti in nero, per non rischiare di perdere l’assegno e magari stare peggio.
D. – Il problema è che…?
M.F. – Il problema è che questo e strumenti analoghi sono molto efficaci, ma costano. E infatti funzionano in Paesi come la Francia, dove si spende meno per le pensioni e c’è anche una minore evasione fiscale. Qui purtroppo non si può prendere una scorciatoia, bisogna continuare con le riforme graduali e lungimiranti che hanno preso i migliori governi degli ultimi 10-15 anni, incluso quello Monti.
D. – Anche la spesa per la sanità, secondo Grillo, andrebbe rivista. Magari con ticket proporzionali al reddito.
M.F. – Non c’è dubbio: stante l’invecchiamento della popolazione, la pressione sui costi della sanità si fa sempre più intensa e crescerà in futuro. Non è immaginabile che si con- tinui a dare tutto a tutti. Bisogna muoversi in due direzioni. Da un lato, distinguere le prestazioni e i farmaci garantiti per tutti e quelli garantiti solo a chi ne ha davvero biso- gno (e a pagamento per gli altri). Dall’altro, selezionare i pazienti in base alla condizio- ne economica: una famiglia di quattro persone, con un reddito imponibile di 100mila euro, potrà ben permettersi di pagare un ticket di 10 euro al giorno in caso di ricovero.
D. – Quindi in questo caso, nel confronto con l’Europa, abbiamo un sistema fin troppo generoso?
M.F. – Certamente. In Svezia – e non possiamo dire che lì il welfare sia poco generoso – tutti pagano le medicine fino a un tetto annuale di circa 200 euro, ad esclusione delle persone molto indigenti. Sopra questa soglia, scatta la compartecipazione dello Stato. Anche i ricoveri ospedalieri si pagano 10 euro al giorno. Da noi non accade. E noi non siamo la Svezia…
*Sul Movimento 5 stelle e i suoi leader è stato detto e scritto tutto. Nessuno però si è esercitato a immaginare un’Italia al 100% 5 stelle. In che modo Grillo e i suoi cambierebbero il Paese se avessero le mani libere? L’ebook BenVenuti a Grillolandia, firmato da Stefano Rizzato e Eliano Rossi edito da goWare, è un viaggio ipotetico nel futuro, in un Paese in cui i partiti tradizionali “muoiono” per davvero e in Parlamento siedono soltanto i “cittadini” del Movimento 5 Stelle. Ogni sezione affronta un aspetto diverso del programma attingendo a fonti immediatamente verificabili. Seguono le cronache del futuro, un reportage da un’ipotetica Italia grillina in pieno dispiegamento. Per riportare tutto fuori dal campo di distorsione della realtà, i possibili scenari sono discussi da 8 autorevoli opinionisti intervistati dagli autori.