Viva la FifaIl 25 maggio, quando le italiane perdono la Champions

Calcio, storia & scaramanzia

Da bravo Paese di calcio, l’Italia è terra di tifosi scaramantici. Guardando il calendario, quelli di Juve e Milan hanno un buon motivo per credere che, in fondo, è meglio che le loro squadre del cuore non siano arrivate in fondo a questa Champions League. E mettiamoci anche i tifosi dell’Inter. Adesso capirete il perché: il 25 maggio, data della finale di quest’anno, le tre grandi del calcio italiano hanno perso la “coppa dalle grandi orecchie”. Che se la vedano le due tedesche, dunque. Magra consolazione, in un anno in cui la Bundesliga ha dato lezioni di calcio e bilanci all’Europa.

Milano è ormai una capitale calcistica europea: nel 1963 il Milan è la prima squadra italiana a vincere la Coppa dei campioni; poi arriva la doppietta dei nerazzurri. E il 1967 pare davvero essere ancora l’anno dell’Inter. In una settimana, la squadra di Herrera si gioca tutto. La Lega ha spostato l’ultima di campionato al 1° giugno: l’Inter in vantaggio di un punto sulla Juve dovrà cucirsi lo scudetto sul petto a Mantova. Una settimana prima, il 25 maggio, c’è il Celtic Glasgow da battere a Lisbona. Una settimana morbida come il burro: nessuna squadra del Regno Unito ha mai vinto la Coppa campioni e il Mantova non è mica la Lazio, avversaria della Juve e che con un piede già in B deve dare l’anima.

L’Inter che vola verso il Portogallo è una corazzata di campioni comandata dal ‘Mago’ Helenio Herrera: Sarti, Burgnich, Facchetti e contropiede scientifico. Tu attacchi, io ti colpisco. E il Celtic sembra l’avversario ideale. Jock Stein, l’allenatore degli scozzesi, ha in mano una squadra che attacca, attacca e attacca. I biancoverdi sono compatti e uniti. Tutti i giocatori sono nati al massimo a 50 chilometri dallo stadio Celtic Park. Non si smontano dopo 11 minuti, quando il bicampione d’Europa e del mondo Sandro Mazzola insacca su rigore. Tommy Gemmell al 63′ e Stephen Chalmers a quasi cinque minuti dai supplementari ribaltano il risultato. Vince il Celtic, vince il calcio d’attacco. Fuoco di paglia? Macchè. Gli scozzesi vincono tutto: campionato, Coppa campioni, Coppa di Scozia. Il famoso triplete, per cui i nerazzurri dovranno aspettare 40 anni. Dovranno rinviare anche l’appuntamento con il tricolore: a Mantova, la settimana dopo, Giuliano sarti si farà sfuggire un cross di Di Giacomo. Inter sconfitta 1-0 e 1967 anno nero, senza azzurro. 

La Juve che va ad Atene a giocarsi la Coppa campioni la sera del 25 maggio 1983 è considerata una delle squadre più forti di tutti i tempi. Schiera 6 campioni del mondo in carica, tanto per cominciare: Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli e Rossi. Poi ci sono due tra i migliori stranieri del fu campionato più bello del mondo: Boniek e Platini. “Pablito” prolunga in coppa quel che ha fatto in Spagna e brilla con 5 gol. Ai quarti, i bianconeri hanno sbattuto fuori l’Aston Villa, la squadra inglese campione in carica. Il popolo bianconero si sposta in massa: ad Atene arrivano in 40mila ad assistere a quello che sembra ormai essere un trionfo. Nell’ambiente bianconero c’è grande sicurezza. Tanto che uno come Giovanni Trapattoni, che anni dopo verrà beccato a versare acqua santa in panchina, gira prima della finale uno spot per la Ferrochina Bisleri che ha come sfondo il successo bianconero.

L’Amburgo non hai mai giocato una finale di Coppa campioni. A parte il difensore Kaltz, non ci sono grandi nomi tra i tedeschi. Uno di questi si chiama Felix Magath e qualche anno dopo, da allenatore, vincerà una Bundesliga con il Wolfsburg. Ma prima c’è da fare un altro miracolo. La Juve scende in campo molle, convinta che in Novanta minuti la porterà a casa. Poi Magath si inventa un tiraccio da fuori. Zoff rivede i gol presi da lontano al Mondiale del 1974 contro Olanda e Brasile, chissà. Palla in gol, la Juve si scioglie, Amburgo campione d’Europa. Lo spot della Ferrochina non andrà mai in onda. 

Mettiamola così: i tifosi dell’Inter che hanno vissuto il 25 maggio del 1967 possono consolarsi con quello del 2005. Non sono i nerazzurri a vincere. Sono i cugini rossoneri a perdere una delle finali più incredibili della storia della Coppa campioni, che da qualche anno nel frattempo è diventata Champions League. A Istanbul vanno a giocarsela Milan e Liverpool. I Reds non vanno in finale da quando hanno perso contro la Juventus nella partita nefasta dell’Heysel. Li guida un tecnico spagnolo, Rafa Benitez, che più che un allenatore sembra un professore. Ha smesso di giocare presto e ne ha approfittato per studiare, laureandosi in educazione fisica. Ha imparato l’italiano per leggersi i manuali di tattica di Arrigo Sacchi e ha appena vinto la Coppa Uefa con il Valencia. Arrivato a Liverpool nota i fiumi di birra che scorrono in spogliatoio dopo le partite e gli si alza un sopracciglio. Ma non è quello fisso di Carlo Ancelotti, che a Istanbul vuole ripetere il successo di Manchester del 2003. Lo spagnolo non si è fatto molti amici in Inghilterra: per i giocatori prepara una dieta ferrea e fa brevettare un software che attraverso parametri scientifici stabiliscono chi è più in forma per giocare e chi no.

Dopo 45 minuti, il Liverpool sta perdendo 3-0. I nemici dello spagnolo gongolano: altro che software, gli italiani ci stanno massacrando. Sull’intervallo di quella partita ci sono un sacco di storie, chissà quante vere. Dicono che il Milan abbia cominciato a festeggiare la vittoria. Dicono che Benitez abbia fatto un discorso ai giocatori. Uno di quelli che fanno accaponare la pelle e rientrare in campo con la voglia di spaccare tutto. Davvero, altro che software. Torniamo in campo e prendiamoci la coppa. Il Liverpool esce dalla pancia dell’Ataturk e costruisce il miracolo: Gerrad, Smicer e Xabi Alonso portano la partita sul 3-3. Clamoroso a Istanbul. Si va ai supplementari e Shevchenko si fa ipnotizzare da Dudek: rigori. Per il Milan è la mazzata definitiva. Il portiere polacco danza sulla linea di porta come il collega Grobbelaar nel 1984 contro la Roma. Sheva non ripete invece il rigore di Manchester. Il Liverpool è campione d’Europa. Il Milan si rifarà due anni dopo. Ma non sarà il 25 maggio. 

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