Il Giro fermo e le strade dell’Emilia terremotata

Reporter in bicicletta. A due giorni dalla fine

Puntata numero 6 °. Appennino. Salita, prima, poi giù verso l’Emilia, verso la pianura Padana. Ma c’è tempo. L’Appennino, il grande dimenticato del Giro d’Italia, che è corsa che ama le Alpi, perchè a volte basta solo il nome per mettere paura. Mortirolo, Gavia, Stelvio, Zoncolan, Tre Cime di Lavaredo. Nomi altisonanti, nomi che ricordano imprese, che chiamano al traino del ricordo le imprese di Pantani, di Hampsten, di Coppi, di Merckx, di Bartali, dei grandi scalatori, dei Giri ribaltati, o quasi.

Eppure anche l’Appennino ha fatto del suo nello scrivere la storia delle due ruote a pedale. Una su tutte. Era il 1940, il 29 maggio. C’erano 187 km da fare, da Firenze a Modena, Bartali capitano della Legnano era ormai fuori classifica a causa di una caduta e di un femore incrinato. Coppi un giovanotto, talentuoso, pronto al grande colpo. Grande colpo che arriva quel giorno. I primi della classifica si danno battaglia già dal Colle delle Piastre, sopra Pistoia, ai piedi dell’Abetone rimngono una ventina. È lì che Coppi allunga, perché Coppi non scattava, andava via e basta. Lo rividero solo al traguardo, 3 minuti e 45 secondi dopo. In maglia rosa, maglia che portò sino a Milano.

Rosa come il colore che indossó De Muynck, belga, il 10 maggio 1978. Sempre Appennino, questa volta il Monte Serre a fare la differenza. Uno scatto, gli avversari dietro sui pedali, la vittoria di tappa e l’ipoteca sul Giro. Non lo riprenderanno più.

Passo di Porretta, o di Collina, il posto è lo stesso, ad essere diverso è come lo chiamano dai due lati del monte. Da una parte Toscana, dall’altra parte Emilia. A salire, da Pistoia, è salita che zigzaga sul pendio. Costante, pedalabile. Porta sino in cima. Ma niente paesaggi d’incanto. Alberi alti a coprire vista e quindi giù, là dove iniziano valli lunghe e verdi. Prima. Poi, dopo Porretta, le cose cambiano e le verdi valli di castagni che cantava Guccini, diventano un inferno di lavori in corso, di strada nuove che sorgono esattamente sopra il Reno, che nonostante tutto cerca di scorrere. Una nuova Porrettana per un vecchia concezione della mobilità. Le macchine diminuiscono, il numero di veicoli che percorrono questa strada si riducono, ma una nuova statale viene costruita, a deturpare una valle già deturpata da una discarica alta 200 metri, a Ca’ dei Ladri, comune di Gaggio Montano, 5 chilometri fuori da Porretta, quaranta annidopo l’industrializzazione del porrettano. Oltre 10 chilometri di ponte, strade che entrano nelle montagne come pugni nello stomaco. Gente arrabbiata. Sono i valligiani che incontro, quelli che si sono visti distruggere il loro ambiente, il loro Appennino.

Più giù Bologna, Bologna che non vende più alcolici dopo le 22, per evitare risse, che ci sono comunque, che in questo modo vuole arginare un fiume che sta per straripare con un muro di polistirolo. La gente che si lamenta, chi per le proteste, che per il clima sempre più teso, chi perchè non è «possibile essere trattato da teppista se ti vuoi bere solo una birra».

Intanto il miglioramento delle infrastrutture ciclabili promesse dal sindaco non si vede, e non è poco per una città dove molte persone si muovono, nel centro e nell’immediata periferia, in bicicletta. Merola ha promesso, ma ancora non mantenuto.

Scendere non si può più. Pianura. Padana. Ora si sale verso nord, verso il Po e a salire la gente è ancora più arrabbiata. Mirandola. Un anno dopo. Un anno dopo il terremoto, il terremoto sembra essere successo ieri. «Ci hanno abbandonato». Lo dicono in molti. Lo dicono tutti. Lo Stato che non c’è, il lavoro che non c’è, il futuro che non c’è. «Qui è ancora tutto fermo, certo qualche azienda è ripartita, ma molte sono ancora bloccate dalla burocrazia, i soldi non ci sono per rimettere in moto qualcosa e nessuno te li presta». Eppure come hanno confermato il governatore dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, e l’assessore alle Attività produttive, Giancarlo Muzzarelli, i finanziamenti per la ricostruzione sono stati stanziati, in totale 6 miliardi di euro. «Qui però nessuno ha visto un euro. Ci sono aziende che non possono riprire anche se avrebbero sia la forza per farlo, che le idee. Perché? Le banche non sganciano una lira. Vizi procedurali li chiamano. E intanto è tutto fermo».

Dall’Abi, al Fatto Quotidiano, fanno sapere che il procedimento è lungo e lento, che i soldi ci sono, che loro sarebbero contenti di aiutare, ma che la burocrazia glielo impedisce. Il solito tam tam italiano di responsabilità nel quale è sempre colpa di qualcun altro.

Intanto l’alto modenese è bloccato, la gente è arrabbiata, è stufa di vivere in una instabilità costante e burocratizzata e dentro a container. L’unica nota positiva, se c’è, è «che siamo tornati a pedalare, c’è meno traffico ed ora i ragazzini chiedono la bici, non il motorino. I meccanici di automobili si reinventano in ciclomeccanici». Forse nel buio una luce. 

° Le puntate precedenti:

*Giovanni Battistuzzi, 28 anni, è un giornalista freelance di Conegliano Veneto (Treviso). Dal 4 al 26 maggio sarà in sella alla sua bicicletta per raccontare il Giro d’Italia, da Napoli a Brescia. Lo farà anche per Linkiesta. Lo trovate su www.girodiruota.it