Ilva, perché va salvata la «madre» della manifattura

Scelto per voi da “Il Sole 24 Ore”

Da: Il Sole 24 Ore, 25 maggio 2013, Paolo Bricco

Il passaggio più stretto. La soluzione più difficile. Il capitalismo italiano rischia di perdere un altro pezzo. Insostituibile. La siderurgia è una componente vitale del nostro sistema industriale. L’Ilva è il suo cuore.

La scelta dei magistrati di Taranto di sequestrare i beni dei Riva introduce un nuovo – inatteso – elemento di instabilità strutturale in una vicenda che, con l’insediamento di Enrico Bondi e con la costituzione di un pool di banche finanziatrici dell’Aia, sembrava avere trovato un suo equilibrio non precario.
Un equilibrio in grado di traghettare verso il futuro la maggiore acciaieria italiana. I destini dell’Ilva e dei Riva si stanno da tempo divaricando. Questo processo di allontanamento si è accentuato con l’inchiesta milanese sui capitali scudati che, secondo le accuse del pool guidato da Francesco Greco, erano stati fatti uscire dal Paese con l’evasione fiscale e distogliendo risorse dalla stessa Riva Fire, la holding industriale italiana.

Milano, però, è una cosa. Taranto è un’altra. Il provvedimento di ieri, qualora facesse barcollare Bondi e mandasse all’aria il delicato meccanismo finanza-produzione-occupazione-mercato, avrebbe un impatto diretto sull’Ilva. Producendo effetti laceranti su un tessuto industriale per cui quest’ultima è un filo essenziale, all’interno di una siderurgia che a sua volta è un nodo indispensabile del nostro ordito manifatturiero. L’Ilva di Taranto non significa solo i 12mila addetti diretti impegnati nella fabbrica. Le sue potenziali dieci milioni di tonnellate di acciaio all’anno equivalgono ai due quinti della produzione totale italiana, sia dei prodotti lunghi sia dei prodotti piani. I soli prodotti piani (coils, nastri e lamiere) si attestano al 74% dell’offerta italiana. Al netto dell’acciaio importato dall’estero, l’Ilva soddisfa il 67% del consumo effettivo del nostro sistema industriale. Una quota enorme. Che pervade in ogni sua parte il Made in Italy. Il 25% della componentistica italiana destinata all’automotive è infatti realizzato con l’acciaio prodotto negli altiforni di Taranto. Lo stesso capita per il 16% dei casalinghi, per il 20% delle macchine e degli apparati meccanici, per l’8% della carpenteria pesante e per il 4% del bianco. 

La scelta dei magistrati di Taranto di sequestrare i beni dei Riva cade come un macigno su questi numeri. E cade come una pietra sul primo schema di risoluzione di uno dei pasticciacci brutti della più recente storia italiana, basato sulla presenza di un dirigente industriale di lungo corso come Enrico Bondi, su un pool presieduto da un banchiere di esperienza come Pier Francesco Saviotti e sulle competenze tecniche degli specialisti del Politecnico di Milano.

Gli effetti di questo sequestro, con la nomina di Mario Tagarelli, commercialista in Taranto con studio in Via Principe Amedeo 146, a custode e amministratore giudiziario dei beni dei Riva, sono tutti da chiarire: sulla operatività dell’Ilva come sulla tenuta degli attuali assetti. Per esempio, come faranno in questi giorni i Riva a co-finanziare con soldi propri, insieme alle banche, gli 1,2 miliardi necessari per l’Aia? Se la situazione precipitasse, il nostro sistema industriale non potrà permettersi la chiusura di Taranto. E, forse, nemmeno che l’acciaieria venga acquisita da una multinazionale straniera, che consideri l’impianto come uno dei tanti posseduti nel mondo e lo gestisca con la durezza industriale e le regole commerciali di chi ha il quartier generale a migliaia di chilometri di distanza, senza alcuna considerazione per il passaggio delicato che i clienti italiani stanno vivendo. 

A questo punto, bisognerebbe iniziare a pensare a una soluzione di sistema. Una cordata italiana? Il nostro capitalismo, colpito dalla crisi, avrà la lucidità strategica per organizzarla e soprattutto la forza finanziaria per comporla? Oppure una cordata mista in cui alle imprese si appaino le banche, non più soltanto dispensatrici di credito ma anche titolari di equity? E, di fronte a questa emergenza, quale ruolo potrà avere lo Stato, per esempio con la Cdp? L’unica cosa certa è che, semmai si arrivasse a una qualche proposta, il dottor Tagarelli, presidente uscente dell’ordine dei commercialisti di Taranto, avrà la golden share: dovrà dare il suo via libera. Così siamo messi.
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