Nel corso degli anni ’70, l’Italia da paese di emigranti si è trasformata in un paese che ospita ogni anno sempre più immigrati provenienti da paesi diversi (fenomeno che si è intensificato sul finire degli anni ’90). I mezzi di comunicazione si occupano d’immigrazione spesso sull’onda dell’emergenza, magari quando lo sbarco di qualche gommone ci segnala i pericoli di viaggi che della speranza hanno solo il nome.
Ma cosa succede agli immigrati, in buona parte regolari, una volta che arrivano nel nostro paese? Tendono ad abitare separatamente dagli italiani? E in questo caso, si frammentano in agglomerati monoetnici o si mescolano tra loro?
Per rispondere a queste domande, occorre studiare il fenomeno della “segregazione” in termini spaziali. Per segregazione, s’intende la condizione di separazione fisica (spaziale, appunto) tra i gruppi che compongono una popolazione e l’insieme di attributi che qualifica tale asimmetria nello spazio.
Secondo gli studi sull’argomento (si veda per esempio Barbagli, e Pisati 2012), la dinamica del processo di insediamento dei migranti è la seguente: gli immigrati, una volta giunti in Italia tendono, per scelta o per necessità, a costituire nuove enclave accanto a quelle già presenti (secondo la modalità del “contagio”). Di conseguenza, si verifica una graduale espansione della superficie etnicamente connotata man mano che la quota di appartenenti a quel gruppo etnico diventa più consistente. Tuttavia, trascorso un certo periodo, gli immigrati (secondo il modello di “assimilazione spaziale”) iniziano a disperdersi nel territorio, provocando una diminuzione della densità e dell’estensione delle enclave in cui si erano insediati inizialmente.
L’effetto netto di questo processo (quindi il livello finale di segregazione in un dato territorio) dipende essenzialmente da cinque elementi: la dimensione della concentrazione etnica iniziale, il tasso di crescita delle specifiche etnie, la propensione e la velocità con cui i migranti abbandonano le enclave originarie, la predisposizione dei gruppi etnici ad aggregarsi e l’attitudine dello stato di destinazione a favorire o ostacolare la concentrazione dei migranti.
In Italia, l’analisi empirica sulla segregazione è piuttosto limitata. Per colmare questo vuoto, ho utilizzato alcuni degli indici più famosi in letteratura per calcolare il livello di segregazione spaziale etnica in Italia per il periodo 2003-2005. In particolare, partendo da dati Istat, ho calcolato per ogni provincia:
1. l’indice di dissimilarità, che indica quante persone dovrebbero ricollocarsi nel territorio per far convergere la distribuzione reale della popolazione a una distribuzione di “massima dispersione” (ovvero se, per esempio, in una provincia il 5% delle persone è di etnia rom, anche all’interno di ogni comune di quella provincia il 5% della popolazione dovrebbe essere rom);
2. l’indice di isolamento che misura, invece, qual è la probabilità che una persona possa incontrare, nella propria provincia, una persona della stessa etnia piuttosto che una di etnia differente.
Entrambi gli indici sono stati calcolati sia per studiare la segregazione tra italiani e stranieri (versione “dicotomica”) sia per studiare la separazione tra italiani, altri europei, africani, asiatici, americani e oceaniani (versione “multigruppo”).
Il primo risultato è che in Italia gli stranieri tendono sì a concentrarsi tra loro, ma in agglomerati di piccola estensione. Questo risultato si evince confrontando il valore medio dell’indice di dissimilarità registrato nel nostro paese, pari a 0.176 con il valore che lo stesso indice assume negli Stati Uniti, pari a 0.510 (Massey e Denton, 1988).
Inoltre, i risultati dimostrano che la segregazione in Italia è un fenomeno che si sviluppa più che altro fra etnie differenti piuttosto che tra italiani e stranieri. A questa conclusione si arriva confrontando i valori della variabile segregazione tra italiani e stranieri (approssimata con l’indice di dissimilarità dicotomico e pari a 0.176) con quelli della segregazione tra i diversi gruppi etnici (approssimata con l’indice di dissimilarità multigruppo e pari a 0.206).
Infine, se si guarda alle differenze geografiche tra zone diverse del paese, emerge che al Nord prevalgono concentrazioni etniche molto estese territorialmente ma poco numerose (l’indice di dissimilarità è basso mentre l’indice di isolamento è alto). Al contrario, al Sud , le enclave si presentano molto numerose ma poco estese.