Beppe Grillo, è possibile immaginare un mondo che non sia fatto solo di consumatori?
Bisogna intenderci su cosa significa la parola consumatori. È questo il dramma che io vedo. La scomparsa delle parole. O meglio: il furto delle parole. Quando non capiamo più il senso di una parola e le diamo un senso che non possiede, i nostri concetti diventano incomprensibili. Noi in realtà siamo la città meno consumistica degli ultimi cento anni.
Città in che senso? Noi italiani?
No: noi in generale, come comunità umana, come sistema. Quando parliamo di sistema consumistico dobbiamo fare una riflessione, perché la parola consumare non ha senso: noi non consumiamo, noi buttiamo via cose nuove. Non le consumiamo nel senso di consumare. Noi ricreiamo, noi riproponiamo, ma non consumiamo. Una bottiglia la buttiamo via dopo averla svuotata una sola volta; lo stesso facciamo con il tetrapack. Buttiamo via cose nuove. Non le consumiamo. Questo sistema per cui le merci sono viste solo come monouso… credo sia già agli sgoccioli e stia portando a disastri economici notevoli. Questo sistema di fare delle cose impiegando energia a 100 per poi consumarle buttandole via e producendo energia a 1… Ormai il rapporto è da 100 a 1, dovrebbe essere da 1 a 100. Cioè bisognerebbe produrre con energia 1 e il consumo del bene prodotto dovrebbe dare energia 100. Invece è esattamente l’opposto. Questo è un sistema che porta a scompensi pazzeschi. Infatti abbiamo un’economia completamente sovvenzionata. Se non si sovvenzionassero le produzioni, se si lasciassero completamente al libero mercato, questo libero mercato crollerebbe immediatamente. Resiste, questo sistema, perché è falsato. È falsato nei prezzi, è falsato nella legge della domanda e dell’offerta. È sovvenzionato, con i costi che vengono esternati e dunque pagati dalla società. Quindi è un sistema truccato. C’è un grande sistema truccato e noi siamo in stagnazione già da anni. Adesso siamo andati oltre e siamo al livello delle pentole argentine. Ci ha salvato un po’ l’euro ma dubito che potrà continuare a essere protezionistico. Però degli sprazzi ci sono, ci sono delle luci.
Dove le vede Beppe Grillo queste luci?
Ci sono varie università che lavorano su queste cose. Ci sono grandi dell’economia che non si conoscono. O meglio: che conoscono solo gli addetti ai lavori. Gente che parla anche in un altro modo, che va oltre il Pil. Bisogna andare oltre queste caratterizzazioni economiche che non hanno più senso. Come quella di giudicare la ricchezza dal Pil… Ormai sono cose per decerebrati, nessuna economia moderna si basa ancora sul Pil. Ci sono grandi cambiamenti, siamo in una fase di recessione straordinaria. E intanto si commette il grande furto: quello delle parole. Privatizzare, per esempio: nessuno privatizza nulla. Il concetto di privato non c’è più.
Perché non c’e più?
Perché il concetto di privato è: una persona con un nome e un cognome, un indirizzo, una casa, una struttura. Siamo io e lei, il privato. Invece il concetto di privato giuridico è una società anonima che non esiste, con un ufficio in un paradiso fiscale… Quindi il privato è l’anonimato. Ed è esattamente come il pubblico: non c’è più differenza. Questi meccanismi continuiamo a chiamarli con parole che non li rappresentano più. Non c’è vera concorrenza, c’è un continuo oligopolio o monopolio, sempre camuffato da grandi imprenditori che – ripeto – sono sovvenzionati. Se noi togliessimo tutte le sovvenzioni avremmo la chiarezza. La pesca ha perso 2 milioni di pescatori con le sovvenzioni… Bisognerebbe fare una grande riforma fiscale per consentire ai cittadini di dire: allora, con le mie tasse cosa voglio sovvenzionare? Il petrolio non lo sovvenziono più. Sovvenziono l’energia alternativa? Va bene. Sovvenziono la bioedilizia? Va bene. Con le mie tasse voglio sovvenzionare questo tipo di imprenditori. Quelli che non fanno il monouso, che riutilizzano gli imballaggi. Voglio sovvenzionare queste cose. Sono discorsi che vorrei sentire dalla sinistra e che non ho mai sentito. Sono le piccole leggi quelle che fanno andare avanti il mondo. Prendiamo per esempio la privatizzazione dell’energia: non la stiamo mica facendo… Privatizzare significa dare la possibilità alle persone, ai privati, di pagare quello che vogliono. In Olanda, se uno vuole l’energia eolica paga per quello specifico prodotto, fa un contratto e sa che l’energia che riceve è prodotta con il vento. La privatizzazione si avrebbe se la distribuzione fosse in mano alle persone, se cioè appartenesse ai cittadini, ai Comuni. Quando noi avremo la proprietà della distribuzione, allora ognuno potrà scegliere come vuole: l’energia ce la compereremo e ce la venderemo tra cittadini. Senza bisogno di monopoli o oligopoli, di grandi fabbriche. È chiaro che il libero mercato fa sì che ai servizi ai cittadini non ci pensi nessuno, perché interessa fare del business. Il livello di mediocrità è alto. Ho letto una statistica fatta dalla Casa della libertà, quella vera, non quella italiana, la House of Freedom. L’hanno istituita gli americani una quarantina di anni fa, c’erano da Roosevelt a Ford. Prendiamo l’ultimo studio che hanno fatto sulla stampa: hanno messo l’Italia al settantesimo posto. Ecco la nostra Casa della libertà.
Lei è molto pessimista sulla possibilità di un mondo che non sia fatto solo da consumatori…
No, il pessimismo è una sensazione. Io mi baso su fatti, libri, statistiche. Siamo solo all’inizio di una fase di privatizzazione che porterà a uno scardinamento dei rapporti sociali. In Canada vendono i nomi, per esempio. Sì, c’ è un’ azienda canadese che dà un treno di gomme gratis e mille dollari a tutti coloro che si chiamano Downloop se aggiuattraverso questa allucinazione che è la pubblicità.
Parlare di consumo significa dunque anche parlare di lessico. Dobbiamo reinventarci un linguaggio?
Certo. Se prende un forno inceneritore e me lo chiama impianto termovalorizzatore; se prende un rifiuto e me lo chiama materia prima, cambia le parole e quindi cambia i concetti. Quindi fa dimenticare l’inceneritore, fa dimenticare un sacco di cose. Allora vuol dire che quando io brucio un chilo di rifiuti, tre chili di gas vanno nell’atmosfera e tre etti mi rimangono in cenere tossica. Il problema della cenere è il problema dei grandi inceneritori. Ma la cosa più pericolosa è la mentalità. Se lei si abitua a pensare che si può distruggere, bruciando, qualsiasi cosa, lei non ha più timore di produrre rifiuti: tanto, capisce?, facciamo energia. È una mentalità che ci arriva dai tedeschi. Adesso loro hanno dei termovalorizzatori di enormi dimensioni, che lavorano al 50 per cento, con dei costi altissimi. Ecco perché importano spazzatura da tutta Europa. La politica lavora con turbo-ragionieri collocati nei posti strategici che non parlano mai di tecnologia, di energia, di informazione… Il futuro credo che sarà quello di eliminare tutte le forme di intermediazione tra la gente e la politica, attraverso la rete. Usata e sfruttata al massimo sarà l’unico segnale positivo, l’unico modo per cambiare le cose. Di fronte a un milione di email anche la Casa Bianca non potrà fare finta di niente. E allora il politico sarà inutile. Anche nel commercio sarà inutile. La potenzialità della rete va capita, invece… Non l’ha ancora capito quasi nessuno.
Che cosa pensa esattamente quando si riferisce alla rete?
Penso a una rete che coinvolga milioni di persone che hanno la stessa visione del mondo indirizzandole verso le stesse scelte: culturali, sociali, politiche, economiche. Negli Stati Uniti c’è stato un gruppo di persone che si è autotassato per fare uno spot e mandarlo in onda contro Bush. È uno spot straordinario, perché dietro ci sono grandi menti. Non c’è uno sponsor, non c’è un’industria. Dietro c’è un milione di persone. Quindi è possibile entrare in qualsiasi spazio con qualsiasi sistema. Ma questo non è ben capito. Un’azienda che fa? Un’azienda prende internet come servizio in aggiunta all’attività. Ma è l’azienda che si deve trasformare, non il contrario. Tutta l’intermediazione in futuro fallirà, quindi anche la politica. Vedo con ottimismo invece l’azione per arrivare al nocciolo attraverso le persone che la pensano allo stesso modo. E ce ne sono sempre di più. Basterebbe svilupparla, la rete, far capire la sua potenzialità altamente democratica. Secondo me è l’unico modo per difendere una democrazia e una libertà che ormai se ne stanno andando, anzi se ne sono già andate. Basta avere i grandi mezzi di comunicazione e poi non si ha più paura di nessuno. Io posso fare il mio lavoro tranquillamente. Ma nei teatri, non in televisione…
Da quando denunciò gli sprechi di Craxi lei non c’è più andato in televisione…
Ma no, assolutamente. Poi non mi interessa neanche più. È un mezzo di comunicazione che ormai si è smarrito.
Lei dice: sono passato da Craxi a Coccolino…
Avevo capito dov’era la politica, qual era la politica. La politica era più dietro Mastrolindo che dietro a Craxi. Era dietro a un formaggino, dietro a un litro di latte. Guardi dietro a un litro di latte cosa c’era: il crac della Parmalat, 25mila miliardi. Avevo già capito che le merci determinavano tutto il sistema politico, e che l’economia teneva in ostaggio la politica già da qualche anno. Quindi ho abbandonato la satira sui personaggi e mi sono buttato sul dentifricio, sul collutorio, su Coccolino. Mi sono buttato sulle merci che, prima di tutto, hanno molti più diritti degli esseri umani: le merci, infatti, a differenza delle persone possono andare in giro per il mondo, possono circolare senza limiti. Craxi non c’è più, Mastrolindo c’è ancora.
Parliamo allora di finanza etica…
Può essere almeno uno strumento per riappacificarsi con la propria coscienza. Per sapere che i tuoi soldi non finanziano una guerra, che non compri armamenti, che investi nel biologico, nel solare, nell’impresa etica. Parliamo di iniziative nate in tempi recenti. Appena si vede che funzionano, però, le banche tradizionali ci si buttano sopra. Questo è il pericolo. Pensiamo al biologico, che è diventato un business e così perde il senso di cosa è il biologico. Perdiamo il senso di cosa è il risparmio, di cosa è il denaro. Appunto: il denaro… È un concetto astratto, è qualcosa che gira nel cyberspazio, è una carta di credito, è un assegno. È una informazione. Flussi di persone comprano una cosa che non esiste, fatta da un’azienda che non c’è ancora, con soldi che non si hanno: sono i derivati, i futures… Si stanno sgretolando tutti i nostri cardini per avere una vita improntata al buon senso. Sapere a cosa andiamo incontro dovrebbe essere lo scopo della politica. Si stanno aprendo orizzonti nuovi, straordinari. Quelli che li capiscono, questi orizzonti, saranno quelli che poi faranno cose straordinarie.
Ci sono cose che vorrebbe sentire dire dalla sinistra, a partire da una riforma fiscale…
Bisogna detassare il lavoro e tassare il capitale. O meglio: tassare i soldi più che il lavoro. Bisogna andare a vedere dove si deve prelevare. Un imprenditore il cui guadagno è il risparmio energetico del cliente va defiscalizzato. Invece la produzione con il petrolio di una macchina che con un litro di benzina ti fa 5 chilometri va tassata. Il discorso è semplice. Questo è vedere il mondo. Se noi quintuplicassimo il prezzo della benzina in cinque anni, una macchina che con un litro fa due chilometri non la comprerebbe più nessuno. Sarebbero prodotte quelle che con un litro fanno cento chilometri, che ci sono. Uscirebbero le auto alimentate con energie alternative, le macchine ibride, elettriche. È una concezione del mondo diversa. Ho visto uno in California che ha acceso la macchina, l’ha messa in rete, cioè l’ha attaccata alla rete elettrica, e ha prodotto energia tutta la notte risparmiando 35 dollari. È una piccola centrale la sua automobile. Si possono fare molte cose. Ma i “crani” che abbiamo, beh, quelli sono morti… Assistiamo a una politica fine a se stessa. C’è chi parla e poi guarda se quello che ha detto è riportato sul giornale. E quando un direttore di giornale riceve la metà del suo stipendio da un’industria di formaggini, è finita… I giornalisti evitano di dirlo, fanno finta di niente, come se fosse un particolare. Ma questa è la politica vera. La metà dello stipendio proviene da una scatola di tonno, cioè dalla pubblicità. I giornali, senza inserzioni pubblicitarie, non potrebbero stare in piedi. Questa è una condizione umiliante per i giornalisti. Ma l’hanno rimossa. Sanno benissimo che se non ci fossero tre scatole di tonno il loro articolo non uscirebbe neanche.
Tutto da cambiare?
Bisogna cominciare a guardare il mondo con un’altra ottica. Almeno per riparare un po’ i danni.
Ma Beppe Grillo che tipo di consumatore è?
Mah, sono uno come tanti. Avendo sei figli, si immagini un po’… Le merendine hanno la meglio su qualsiasi cosa. La televisione non riesco a tenerla sotto controllo, l’energia me la faccio. Ho una macchina ibrida, sono aperto a tutte le nuove soluzioni tecnologiche. Qualcuno dei miei figli ha preso abbastanza da me, spegne la luce di giorno, apre il rubinetto piano per lavarsi i denti. La cosa più importante è la conoscenza. Bisogna far conoscere le strumentazioni che ci sono, per esempio per ridurre il consumo d’acqua. Le tecnologie ci sono, basta informarsi.
*(L’intervista a Beppe Grillo è stata realizzata nel 2006)