Le tristi vicende del caso Reinhart-Rogoff hanno riacceso il dibattito, qualora si fosse mai sopito, sull’opportunità di continuare con misure di austerità, cui sono state addebitate effetti depressivi sul sistema economico. Bisognerebbe però esercitare prudenza nel lanciarsi sul carro di quelli che oggi sono definiti come vincitori nell’aver predetto gli effetti depressivi delle misure di austerità (in testa Krugman & Stiglitz). In particolare, quando si cerca di imporre questo discorso all’interno dei delicati equilibri dell’Eurozona. Per rispettare questi equilibri, il governo Letta non potrà chiedere aperture incondizionate sui vincoli di bilancio, ma c’è spazio per chiedere interventi diretti dell’Europa magari riaprendo il discorso su un budget separato per l’eurozona.
Tenere la barra dritta
Il processo di ribilanciamento della competitività tra gli stati dell’eurozona, tramite aggiustamenti reali poiché il tasso di cambio è fisso, non è un processo indolore e certamente non contrasta nel breve gli effetti di una crisi di sottofondo che esaspera i conflitti sociali ed economici. Tuttavia, comprare l’uscita da questa crisi sul mercato non è possibile. L’allentamento incondizionato dei vincoli di bilancio sarebbe un segnale d’instabilità politica dell’area Euro, cui i mercati, che daranno in prestito all’Italia solo quest’anno circa 350 miliardi di euro (quasi cento volte il valore netto delle entrate ricavate dall’IMU), potranno avallare.
Il ribilanciamento della competitività tra stati membri è un processo lungo che va guidato con azioni congiunte di politica monetaria e fiscale. Nel breve, le azioni della Banca Centrale Europea sono servite a ristabilire il flusso di liquidità verso gli stati membri più in difficoltà. Al programma di Outright Monetary Transactions (OMT) probabilmente si aggiungerà (Germania nolente) il taglio dei tassi d’interesse per influenzare le aspettative e avviare una spirale inflattiva in nazioni come la Germania, dove la stabilità fiscale ha distorto l’effettiva trasmissione delle politiche monetarie. Questa credibilità, già messa a repentaglio dai riflessi sul mercato interbancario degli interventi fiscali (aiuti di stato) indiscriminati per salvare o far fallire le banche, verrebbe meno se affiancassimo alla BCE un intervento fiscale scomposto da parte di alcuni paesi in difficoltà.
Il compito dei governi nazionali
Dal punto di vista fiscale, pertanto, gli stati membri dovrebbero fare ordine nei propri conti pubblici come pre-condizione politica per qualsiasi accordo che rilassi, con condizioni molto chiare, i vincoli di bilancio. Queste condizioni, cui potrebbe appellarsi il nuovo governo italiano e che potrebbero trovare largo consenso tra gli altri stati dell’eurozona, sarebbero legate al rilancio di un nuovo progetto politico per l’area euro, da portare avanti con importanti misure di breve e di lungo periodo. Nel breve, un maggiore intervento dell’Europa per finanziare investimenti e riforme strutturali potrebbe essere un buon inizio, mantenendo solo l’intermediazione indiretta dello Stato che continuerebbe a fare ordine nella propria spesa pubblica. In particolare, si può pensare all’incremento sostanziale dei fondi strutturali (con un budget dedicato all’eurozona) tramite Euro bonds (inizialmente in forma di T-bills, come proposti già dalla Commissione nell’autunno scorso) oppure tramite risorse nazionali prese a prestito dal mercato che non vadano ad ingrassare il debito pubblico. Lo scopo di questo intervento, però, dovrebbe interessare non solo gli attuali settori previsti nei fondi strutturali, ma dare sostegno finanziario alla ricerca e a politiche di rilancio industriale, coinvolgendo direttamente le regioni o gruppi di enti locali, ovvero territori con caratteristiche omogenee, sotto la supervisione congiunta del governo nazionale ed europeo.
Ad esempio, come avviene per gli enti pubblici, si può pensare a fondi europei per piccole e medie imprese da affiancare a quelli privati (almeno al 50%) per investimenti in ricerca, infrastrutture e mobilità nel mercato del lavoro. Ridare un ruolo essenziale alle identità locali, che contraddistinguono tutto il continente europeo, potrebbe appunto garantire il successo di un nuovo progetto federale Europeo che non può prescindere dal dialogare con le realtà regionali (intese come territori economicamente e industrialmente omogenei). Territori che, come nel caso della Catalonia ma basta anche rimanere nel nostro Mezzogiorno per rendersene conto, hanno iniziato a manifestare una forte insofferenza per politiche nazionali indifferenti a quelle criticità dei territori emerse proprio con l’evolversi della concorrenza globale e della crisi. L’assetto istituzionale dell’area euro (non necessariamente dell’Europa), che dovrà dare una rappresentanza democratica alle realtà regionali d’Europa, rimane il grande nodo da sciogliere nel medio termine, mentre gli investimenti di cui sopra e le spinte inflattive in paesi come la Germania potrebbero occuparsi di garantire un parziale ribilanciamento della competitività.
Non aver realizzato quelle riforme strutturali mentre il mondo cambiava e si assoggettava alla supremazia della competitività internazionale richiede ora inevitabilmente un aggiustamento strutturale che non può essere ignorato, a meno che non si decida unilateralmente o forzatamente di uscire dalla moneta unica con tutte le conseguenze che quella decisione potrebbe avere. C’è molto lavoro da fare per il nuovo governo, ma l’Europa è ancora oggi l’unica regione al mondo che può offrire alla propria gente un progetto politico solido che non comporti violenza verso altri stati o verso la propria gente.
*Diego Valiante, Ph.D., ECMI Head of Research | CEPS Research Fellow, European Capital Markets Institute (ECMI), Centre for European Policy Studies (CEPS)
Twitter: @diegovaliante