L’Italia sui banchi: come stanno scuola e università?

Troppi studenti? Pochi soldi? E il rapporto con le scuole paritarie?

Dove stanno andando la scuola e l’università italiana? Quali sono i ritardi rispetto all’estero? I nostri insegnanti sono bravi? Investiamo a sufficienza? E poi: come ha detto Umberto Eco, ci sono troppi studenti negli atenei italiani? E bisogna prediligere l’inglese o l’italiano? Sono le domande calde di questi giorni, mentre un nuovo ministro si è appena insediato e l’anno scolastico volge al termine. Abbiamo posto queste e altre domande a tre esperti di scuola e università: Alessandro D’Avenia, insegnante e scrittore di successo meglio noto come “Prof 2.0”, Attilio Oliva, presidente della Associazione Treellle, e Roberto Perotti, autore de L’università truccata e docente dell’Università Bocconi. 

D’Avenia: “La scuola superi lo steccato tra pubblico e privato”

di Silvia Favasuli

Alessandro D’Avenia, autore di Bianca come il latte, rossa come il sangue, insegna al collegio San Carlo di Milano. Tra referendum sulle paritarie e le provocazioni di Eco, D’Avenia risponde: “Ragionare in termini di privato-pubblico è essere ancorati ad un modello superato. Finora le paritarie hanno offerto posti a prof e alunni che lo Stato non riusciva a coprire»

“Non è vero che l’Italia spende poco per la scuola”

di Lidia Baratta

Attilio Oliva, presidente dell’Associazione TreeLLLe, ha realizzato uno studio sulla condizione della scuola italiana. Risponde all’aut aut del ministro Maria Chiara Carrozza (“Reinvestire nella scuola pubblica o mi dimetto”) e dice – dati alla mano – che «non spendiamo poco per l’istruzione». Ma spendiamo male. Troppi insegnanti ed edilizia scolastica fatiscente.

“Gli studenti migliori vadano negli atenei migliori”

di Lidia Baratta

Roberto Perotti è docente di Economia politica dell’Università Bocconi di Milano e autore de L’Università truccata (Einaudi). Rispondendo alla provocazione sollevata da Umberto Eco sull’«eccesso di studenti», dice: «Il problema non sono gli studenti, ma le università migliori devono essere libere di scegliere gli studenti migliori. Quelli meno bravi hanno diritto di studiare, ma non tutti possono andare ad Harvard o Princeton»

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