Museo degli Abba, così la Svezia esporta la sua cultura

Oggi a Stoccolma aprirà una struttura dedicata alla band

“Made in Sweden for export”, fatto in Svezia per l’export. Era il 1975. Il fotografo Bengt H. Malmqvis immortalava gli Abba vicino a questa scritta. Era il titolo di un programma televisivo ma, di lì a poco, quella frase nata per racchiudere il concetto di uno show tv a cui la band era invitata diventerà il tratto distintivo della loro storia. Quella del prodotto più riuscito della musica pop svedese (378 milioni di dischi venduti), che ha conquistato la scena internazionale senza mai togliere gli occhi e la testa da Stoccolma.

La performance degli Abba all’Eurovision Song Contest del 1974. Vinsero il festival con il brano Waterloo

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Oggi si torna a parlare degli Abba perché il 7 maggio nella capitale della Svezia aprirà il primo museo dedicato alla band. È un progetto privato gestito dal giornalista e manager Mattias Hansson, 45, con la collaborazione dei quattro membri del gruppo: Agnetha Fältskog, 63, Anni-Frid Lyngstad, 67, Benny Andersson, 66, e Björn Ulvaeus, 68, tra i principali finanziatori. I 23 euro di biglietto di ingresso (da acquistare online o di persona solo con carta di credito o bancomat, visto che il museo non accetta alcun tipo di contanti) vengono giustificati dai curatori con un percorso che vuole essere più un’esperienza che una visita guidata tra i cimeli della band. C’è la possibilità di chiacchierare al telefono con uno dei musicisti, quella di ascoltare le loro memorie audio, esibirsi sulla pista da ballo, entrare in un video. Tutto ciò all’interno della cornice della Swedish Hall of Fame che, a sua volta, è parte delle attrazioni dell’isola dei musei di Stoccolma, Djurgården. Tra le navi dei vichinghi e i costumi della Svezia pre-industriale di Skansen, ora ci saranno anche gli Abba. 

Mamma Mia, 1975 

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«Sono un pezzo di storia nazionale», spiega Carl Magnus Palm, 48, autore di numerose pubblicazioni sulla storia del gruppo (l’ultima è la biografia in inglese Abba – The Story, 2008). «La maggior parte degli svedesi ne va fiera. Non solo perché ne apprezzano la musica, ma perché hanno contribuito a rendere famosa la Svezia nel mondo. Siamo un piccolo Paese del nord Europa e persone come Björn Borg, Ingmar Bergman, Greta Garbo, gli Abba contribuiscono a far ricordare che anche la Svezia è sulla mappa». Non è un caso che all’Università di Stoccolma fino al 2010 esistesse un corso in lingua inglese – quindi dedicato soprattutto agli Erasmus – intitolato Swedish Film and Television Culture, cultura televisiva e cinematografica svedese, che nelle ultime lezioni proponeva la visione del film Abba – The Movie diretto da Lasse Hallström e uscito nel 1977. La pellicola, un documentario sulla tournée australiana del gruppo, era ufficialmente parte della cultura mediatica della nazione. 

Se nell’identità della Svezia vengono inclusi anche gli Abba, allo stesso tempo, nel background della band si intravedono alcune influenze dettate dalle origini geografiche. Su internet si trova un saggio sul testo della canzone Dancing Queen, dove l’autore evidenzia come quel brano del 1976 scritto da tre uomini – Benny Andersson, Björn Ulvaeus e Stig Anderson – non sia affatto maschilista. Al contrario «il testo si distingue per l’evidenza data alla parità tra i generi e all’individualità» della protagonista. Era già da qualche anno che in Svezia si parlava di jämställdhet, essere dello stesso livello, riferito alla necessità avere delle politiche che nel mondo del lavoro dessero pari diritti a uomini e donne. 

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Secondo Magnus Palm, poi, nelle performance del gruppo si può vedere uno degli aspetti che più caratterizzano il modo di essere degli svedesi: «Manteniamo sempre un basso profilo. E, in effetti, gli Abba non si comportavano da superstar. Il modo in cui stavano sul palco, nonostante i costumi appariscenti, era umano. A differenza di popstar come Michael Jackson o Madonna, davano sempre l’impressione di essere stati parte del pubblico fino a qualche minuto prima». 

Ecco perché quella scritta, “made in Sweden for export”, si adatta così bene alla band. In quell’etichetta, però, è sottointeso un aspetto da non sottovalutare, quello economico. Se gli Abba sono diventati «un pezzo di storia nazionale» è in primo luogo grazie ai dischi venduti. C’è chi scommette che più dell’affetto nei confronti del gruppo sia la possibilità di guadagno ad aver trainato la costruzione di un museo che li celebrasse. «I turisti» che arrivano a Stoccolma «si aspettano di trovare qualcosa sul gruppo», è il commento di Carl Magnus Palm, che aggiunge: «Björn Ulvaeus è tra i principali investitori, perciò è normale che si tratti soprattutto di una questione di business». E ora che gli Abba non suonano più conviene puntare sull’import. Che, stando alle previsioni (250.000 visitatori attesi nel 2013), risulta essere altrettanto allettante. 

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