Nel risiko economico di Pechino ancora poca Italia

"Al posto di copiare, innovare." Usa e Ue mercati da aggredire per i capitalisti di Stato

Zou chuqu, letteralmente «andar fuori». È la consegna che le autorità cinesi hanno dato ai loro imprenditori ormai da anni, per trasformare i campioni nazionali in multinazionali globali, con una presenza capillare ovunque nel mondo. Al posto di copiare, innovare; invece che parcheggiare le riserve in valuta in titoli di stato americani che rendono un’inezia, investire in attività a maggior rendimento e che permettono di accumulare competenze e raggiungere direttamente i consumatori stranieri.

Di questa strategia si sono ovviamente accorti in tanti, tra cui in particolare i leader dei paesi europei. Quello di capo di Stato e di governo è un mestiere più ingrato di quanto si creda. Abituati a girare il mondo come piazzisti del proprio export – se va bene, prodotti di lusso e aeroplani, se va meno bene, granaglie, minerali e macchine utensili – ormai presidenti e primi ministri si dedicano soprattutto a decantare le virtù del proprio investment climate. Chiedere conferma a François Hollande che in occasione della sua prima visita in Cina – non da quando è all’Eliseo, proprio in assoluto – al posto che ammirare l’esercito dei soldati di terracotta ha dovuto rispondere all’invito di Xi Jinping di rimuovere gli ostacoli all’arrivo di multinazionali cinesi in Francia.

Chi dice investimenti esteri e rendimenti elevati, dice anche protezionismo e rischi. Da un certo punto di vista, i cinesi e gli altri emergenti non fanno che ripetere il percorso accidentato che ha contrassegnato l’international business da quando nel 1867 la Singer americana decise che la domanda per le sue macchine da cucire nel Regno Unito era abbastanza promettente da giustificare l’apertura di una fabbrica a Glasgow. Dalla difficoltà di capire la legislazione locale a quella di convincere i dirigenti a trasferire la famiglia in un luogo sconosciuto, dal rischio di espropriazione a quello di non realizzare gli obiettivi senza pagare bustarelle a destra e manca, nulla è stato inventato con la globalizzazione del XXI secolo. Ma per i nuovi campioni che vengono da Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzen i tempi per apprendere non sono altrettanto lunghi che per le multinazionali occidentali.

Intanto sono quasi sempre società statali, più lente nel prendere decisioni dato che ci sarà sempre qualche burocrate cinese da convincere; guardate con grande sospetto all’estero da chi vede la lunga mano del Partito dietro ogni iniziativa imprenditoriale. Il caso più noto è quello della Huawei, il gigante delle telecomunicazioni, che non riesce a sfondare sul mercato americano a causa del timore che Pechino possa poi controllare l’intera rete. A poco sono valse le spiegazioni della società, a causa dei lontani trascorsi militari del fondatore (Ren Zhengfei) Huawei non ha potuto acquisire 3Leaf, una società in fallimento, e si deve accontentare di vendere telefonini ai grandi operatori come AT&T e Sprint, invece che le centraline LTE (long-term evolution) di nuova generazione in cui è leader mondiale.

L’apprendimento è però abbastanza rapido, come dimostra Fu Chengyu. Nel 2005, quando era alla testa della China National Offshore Oil Corporation (CNOOC), cercò inutilmente di conquistare l’americana Unocal. Che finì alla Chevron di fronte all’opposizione del Congresso, evidentemente poco preoccupato dell’impatto dell’operazione sul grado di concentrazione del mercato americano del gas naturale. Nel 2011 Fu è passato alla Sinopec, una società molto più grande della CNOOC che ha la seconda maggior capacità di raffinazione al mondo. Con l’esperienza accumulata grazie allo smacco americano, Fu ha portato a termine 10 acquisizioni all’estero in meno di due anni, per un valore complessivo di 10 miliardi di euro. È a suo agio nei palazzi del potere di Pechino, dove – come ha detto lui stesso in un’intervista al China Daily – bisogna mettere gli obiettivi dell’impresa al servizio dell’interesse nazionale. E non sfigura certo nelle conferenze internazionali sul futuro del petrolio, grazie all’inglese fluente e al tatto diplomatico che non gli fa ripetere in quella sede l’affermazione che i rivali occidentali sono incapaci di sacrificare le ambizioni personali all’altare dello sviluppo del proprio paese.

Che le imprese cinesi siano interessate alle risorse naturali e alle materia prime non è peraltro una novità. Anzi, l’intima convinzione che dietro queste operazioni, in Africa e altrove, ci sia la volontà di danneggiare l’Occidente è proprio la ragione per cui varie volte non è stato possibile realizzarle. Ma fortunatamente di materie prime ce ne sono di tutti i tipi. Synutra, numero tre cinese della nutrizione infantile, ha scelto Carhaix, nel Finistère, per costruire una fabbrica insieme con la cooperativa francese Sodiaal. Un investimento da 100 milioni di euro per trattare 280 milioni di litri di latte – 8% della produzione bretone – e 30 mila tonnellate di siero e creare 160 posti di lavoro.

Tutto per esportare latte in polvere a migliaia di chilometri di distanza. Dando al prodotto un nome che evochi l’estero, perché le marche internazionali tirano, e soprattutto rassicurano i consumatori cinesi che sono sempre più sospettosi rispetto a quello che si ritrovano nel piatto. È questa la logica che ha seguito Bright Food Group inanellando trofei come Synlait Milk in Nuova Zelanda, Manassen Foods in Australia e poi l’inglese Weetabix i cui cereali sono insostituibili sulle tavole del Regno Unito. Nel 2011 Bright Food aveva provato anche a comprare Yoplait, che è riuscita a far apprezzare gli yogurt anche ai giapponesi che dei latticini non sono grandi consumatori, ma quella volta l’aveva spuntata la General Mills.

In Italia i cinesi ancora non sono arrivati in forze, anche se una acquisizione importante l’hanno completata. Nel 2008 Zoomlion ha comprato la CIFA (Compagnia Italiana Forme Acciaio) di Senago, leader nella produzione di macchinari utilizzati nell’industria del calcestruzzo. Ne sono nate opportunità di crescita sia per l’impresa italiana, i cui prodotti sono ormai diffusi in tutti i mercati emergenti, sia per quella cinese, che ha potuto accedere a tecnologia di punta. Dietro questa operazione, che non a caso ha meritato un case di Harvard Business School, si staglia Hony, il principale fondo cinese di private equity.

Un altro, emanazione di un’impresa pubblica, è CITIC Private Equity Advisors. Che nel 2012 ha appoggiato Sany, il grande rivale di Zoomlion, per prendere il controllo di un’altra produttrice di materiali per l’edilizia, la tedesca Putzmeister. Un tipico esempio del Mittelstand del Baden-Württemberg, una florida impresa familiare che però rischiava di non avere le risorse per rivaleggiare con i nuovi concorrenti cinesi in un mercato sempre più globale. La scelta aveva inizialmente sorpreso, ma si è rivelata anche in questo caso positiva per tutti – anche per Karl Schlecht, il fondatore, che fa adesso parte del consiglio d’amministrazione della Sany. Un privilegio relativamente raro per uno straniero, anche se il senso di dépaysement deve essere forte ogni volta che da Aichtal (meno di 9mila abitanti) va a Changsha (più di 7 milioni)!

Nelle ultime settimane però Sany e Zoomlion hanno subito perdite importanti in Borsa. Gli investitori guardano preoccupati al raffreddamento dell’economia cinese, ma anche all’impatto sui risultati aziendali delle strategie aggressive di queste società, pronte a quasi tutto per aumentare la capacità produttiva e le vendite, anche in perdita. Problemi che per il momento non sembrano invece affliggere le marche di lusso. A La Chaux-de-Fonds nel cantone di Neuchâtel batte da poco bandiera cinese la Corum, marca di orologi di lusso fondata nel 1955. Per 72 milioni di euro è passata nelle mani di China Haidan, che già produce due delle marche di orologi più popolari in Cina, Ebohr e Rossini.

Prospettive interessanti anche per Camerich, filiale di Beijing Triumph Furniture, che ha già 43 negozi all’estero, 10 dei quali aperti nel 2012. Prima ha investito nei mercati emergenti, offrendo prodotti dal design europeo a prezzi cinesi. Adesso attacca piazze più prestigiose: Avenue Louise a Bruxelles, Hohenstaufenring a Colonia. E Zhang Ke/Standardarchitecture hanno esposto al Salone del Mobile. Il target: 200 specialty stores fuori dalla Cina entro il 2016.