Che società è la nostra? Che senso ci fa veramente questa carneficina quotidiana, questa carrellata di omicidi-suicidi perpetrati ad ogni età? Se fossimo nostalgici seduti su una panchina di un parco potremmo anche abbandonarci ad una conclusione pessimisica ricordando i bei tempi andati, ma se solo avessimo il coraggio di guardare alle cose così come sono, e come saranno tra poco, dovremmo concludere che ci troviamo di fronte a quella che potremmo chiamiare una società “autentica”.
Una società vera e non contraffatta. Non una società che si distrugge con enfasi, con riti solenni, come quella che regnava nella prima metà del Novecento. E neppure una società dominata dai consumi di massa come quella fiorita l’indomani della ricostruzione postbellica, conclusa con un annientamento collettivo mediante l’uso delle droghe più letali. Questa è finalmente una società vera, autentica, che non nasconde le mitologie, che non ha nessuna speranza, che mette in piazza le tragedie del lavoro e dell’auto-annientamento.
É quindi una società post-basagliana dove la malattia è mostrata come lo stato normale dell’umanità, dove la psichiatria appare come l’unica metafisica possibile. Dove le forme tradizionali di repressione, cioè la Chiesa e lo Stato, vengono gradualmente superate. E dove l’uomo, alla ricerca di un’utopia possibile, deve soltanto decidere se valga o no la pena di correre il rischio di vivere.