«Quel pomeriggio a Palermo ci fu un gran viavai di ambulanze, auto della polizia e dei carabinieri. Tutte con le sirene che urlavano, vigili nelle strade che fermavano il traffico, sembrava scoppiata la guerra. Mamma sentì i dolori alla pancia, stavi per nascere, mi chiamarono in negozio, corsi a casa, caricai mamma in auto e volai verso l’ospedale». Lui suonava il clacson perché il suo bambino stava per nascere, gli agenti di polizia perché qualcuno era appena morto.
Quel qualcuno si chiamava Giovanni Falcone. Era il 23 maggio del 1992. Nell’attentato di Capaci erano morti anche la moglie del magistrato, Francesca Morvillo, e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Nel giorno più brutto per Palermo, quando la città aveva perso uno dei suoi figli migliori, quel papà si sentiva l’uomo più felice del mondo. «Per questo ti chiami Giovanni».
Per questo mi chiamo Giovanni è il nome di un libro di Luigi Garlandi. Giovanni è un bambino palermitano. Per il suo decimo compleanno, il padre Luigi decide di trascorrere una giornata con lui, portandolo in tour per Parlemo. Il papà gli racconta la storia della morte di Giovanni Falcone per mano della mafia e gli confessa che anche lui un tempo aveva pagato il pizzo, per poi rifiutare e vedersi radere al suolo il suo negozio. Quando arrivano a Capaci, vanno davanti alla casa di Falcone. L’uomo al quale il bambino deve il suo nome.