Pmi, invece dei luoghi comuni servono veri incentivi

Estratto da “La Pmi nel XXI secolo”

Estratto da “La PMI nel XXI Secolo – Uno sguardo affettuoso sulla piccola e media impresa” di Lauro Venturi, eBook, Blonk editore.

Le Ragioni di questa crisi

Parto col dire che questa, a mio parere, è una crisi vigliacca e sporca che ha coinvolto e sconvolto le nostre vite, i nostri lavori, i nostri pensieri. Sono certo che questa crisi nulla, o poco, c’entra con i mercati, i sistemi di produzione o l’andamento delle materie prime. Qui paghiamo lo scotto di aver troppo sopportato, quando non adulato, un mondo finanziario avido e dedito alla speculazione. Paghiamo l’aver assistito impotenti o distratti al lassismo degli organi di vigilanza, non raramente complici di questo mondo virtuale nel suo modo di operare ma maledettamente concreto nel fare male all’economia e alla socialità di interi Paesi.

Alla fine del 2008 molte piccole imprese hanno visto i loro grandi committenti che non ritiravano la merce ordinata, bloccavano gli ordini e prolungavano ancor più i già lunghi tempi di pagamento riconosciuti ai subfornitori. Di fronte a questo crollo verticale degli ordini molti piccoli imprenditori non sapevano più quale cappello mettersi in testa. In concomitanza con questa situazione, gli affidamenti a breve (scoperto di conto corrente, castelletto, anticipi fatture…), offerti quasi con insistenza dalle banche solo pochi mesi prima, venivano quasi tutti brutalmente interrotti in modo unilaterale dagli istituti di credito. Questi, preoccupati della loro sopravvivenza e impegnati a ripulire i propri bilanci da investimenti a dir poco azzardati, hanno creato situazioni di enorme tensione nelle aziende artigiane e nelle PMI.

Evidenzio un aspetto “relazionale” che a mio parere è molto importante. In precedenza la relazione tra il direttore della filiale della banca e l’imprenditore recuperava in grande parte l’anoressia informativa caratteristica dei bilanci delle piccole e medie imprese, che poco possono dire del valore reale e del potenziale di queste strutture. Da anni, invece, le banche hanno accentrato nelle sedi centrali le decisioni in merito agli affidamenti, si sono riparate dietro indicatori non sempre trasparenti per ritirare o rendere molto più rigido il credito concesso alle PMI, strumentalizzando spesso i pur oggettivi vincoli posti dai diversi trattati di Basilea.

L’imprenditoria diffusa nel nostro Paese si è sviluppata grazie all’aiuto concreto che tante banche hanno dato all’economia. Il direttore della filiale conosceva personalmente i piccoli imprenditori e le loro famiglie. Pertanto, la bancabilità di un’impresa era basata in primis sulla reputazione della persona – imprenditore. Adesso si è creata una situazione molto rischiosa. Prima di assumere la responsabilità di Commissario di CNA Milano ero responsabile politiche finanziarie di una grande associazione provinciale della CNA.

Ho presente tre situazioni concrete, che denotano il deterioramento della relazione banca – piccola impresa.

  • Nel primo caso l’azienda in questione, retta da una persona molto seria, era incappata in un insoluto di grande entità, che aveva compromesso la liquidità. La banca non solamente ha rifiutato un’estensione degli affidamenti, ma ha preteso il rientro di quelli esistenti. Poiché l’azienda aveva un buon portafoglio ordini, ho accompagnato l’imprenditore in banca per argomentare la richiesta e portare la documentazione necessaria a dimostrare le cause e la transitorietà della crisi di liquidità. Il direttore della filiale, visibilmente imbarazzato, ha dovuto ammettere di avere già avanzato in direzione le motivazioni che, a suo parere, portavano a dare una risposta positiva. L’ufficio preposto, fatto di avvocati e non di esperti di impresa, non aveva nemmeno considerato il rischio che ordini importanti non sarebbero stati evasi per impossibilità di rifornirsi della materia prima.
     
  • Il secondo caso riguarda un’azienda che si è trovata con un magazzino prodotti finiti molto ingombrante perché, a settembre 2008, un grande cliente ha annullato ordini già sottoscritti, preferendo imboccare la strada del contenzioso legale. Mentre per le grandi imprese sopportare una causa (decennale?) non costa più di tanto, per una piccola impresa le sole spese legali diventano un costo difficilmente sopportabile. Non solo, quell’azienda fu richiamata in banca perché l’ultimo bilancio presentato evidenziava appunto l’aumento del magazzino. La direzione centrale della banca, per altro, aveva operato una svalutazione dei prodotti a magazzino assolutamente esagerata. Alle rimostranze del nostro associato, la risposta è stata: “Per noi la roba che ha in magazzino è ferro vecchio senza alcun valore”.
     
  • Terzo caso. L’azienda in questione è molto esposta verso un committente importante, sul quale circolano voci di una possibile e imminente richiesta di concordato stragiudiziale. Il nostro socio si preoccupa e, consigliato anche dal direttore amministrativo del committente, decide di cedere il credito ad una società di factoring, sostenendo costi enormi ed imparando, successivamente, che in detta società era indirettamente presente nel capitale sociale anche l’azienda cliente.

Per dirla in breve, non solo non ti pago, ma speculo anche quando ti costringo a cedere il credito: questi tre casi che ho raccontato ci dicono cose specifiche e una generale. Le considerazioni specifiche, in ordine di presentazione, sono queste: nel primo caso, la miopia della banca che non capisce che, revocando gli affidamenti, non permette all’azienda di produrre ed evadere un ordine già acquisito; nel secondo, il maleducato disinteresse verso la produzione di qualità di un’azienda sana; nel terzo ed ultimo caso, un comportamento molto discutibile che lascia presagire collusioni di quella grande azienda con il mondo finanziario.

La considerazione generale è che la banca, e il mondo finanziario in generale, si comportano da controparte arrogante nei confronti delle aziende medio piccole, e non da partner. Urge quindi la separazione tra banche commerciali e banche di investimento, con le prime che ridiventino strumenti di sviluppo per le imprese e seri gestori dei risparmi dei cittadini. Urgono altresì interventi governativi che agevolino e monitorino l’erogazione del credito alle PMI, in particolar modo quando le banche beneficiano di approvvigionamenti della BCE a condizioni assolutamente privilegiate.

Per queste ragioni, un banchiere come ministro dello sviluppo economico non mi ha mai convinto e penso che senza un profondo e rapido riposizionamento delle banche, sia molto meglio tornare a renderle pubbliche. Oltre alla drammatica inadeguatezza delle banche, alla base delle ragioni di questa situazione di crisi ci sta anche la totale disattenzione e disaffezione che la politica, i media e il mondo accademico hanno nei confronti dell’imprenditoria diffusa.

Ci si riempie la bocca con la litania che le piccole imprese sono l’ossatura del nostro sistema, ma nel concreto queste aziende vengono sempre considerate secondarie. Come se, per induzione elettromagnetica, le risorse immesse nel circuito delle grosse imprese generassero una tensione indotta anche in quello, vicino, delle piccole imprese. Il vero problema, e mi fa quasi sorridere essere ancora qui a scriverlo, è che domina ancora una “cultura industrialista” che attraversa giornali e televisioni, mondo accademico e mondo politico.

*Commissario di CNA Milano Monza Brianza e Amministratore unico di Servizi Associativi srl

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