Scuole e corsi, ecco come diventare un artigiano 2.0

I laboratori sono pieni di studenti stra

FIRENZE – Dietro la Chiesa di Santa Croce, nel cuore storico di Firenze, si trovano ancora i laboratori della Scuola del cuoio, quelli in cui nacque, negli anni Cinquanta, uno spazio per insegnare il mestiere agli orfani di guerra e i bambini disagiati della città, che qui andavano a bottega. Oggi si incontrano Anna Roh, Bomi Kim e il maestro artigiano Ted, alcuni dei giovani arrivati in Toscana dall’Estremo Oriente, da Israele e dal Sudafrica. Vengono a Firenze, con una laurea in design, per imparare a costruire a mano borse e cinture.

Coreana, ex-giornalista di moda, Anna ha scelto di lasciare Milano dopo una veloce frequentazione dei corsi dello Ied, Istituto europeo di design, per trascorrere 6 mesi nei laboratori fiorentini. «Sono venuta in Italia perché voglio creare la mia linea di borse. Allo Ied facevo solo corsi teorici: una ripetizione di quel che avevo già studiato in Corea. Qui invece imparo come costruire. Capisco ciò che è possibile fare con i materiali, imparo a conoscere i diversi tipi di pellame e il modo in cui utilizzarli».

Il maestro artigiano Ted, di Singapore. È arrivato alla Scuola del cuoio nel 2009 e poi è rimasto per insegnare ai nuovi allievi
 

Anna non è la sola a pensarla in questo modo. Con lei, altri 22 ragazzi, tutti stranieri, si dispongono attorno ai tavoli da lavoro, seguiti passo passo da due maestri, uno giapponese e l’altro di Singapore, arrivati come studenti qualche anno fa. I due sono poi rimasti «perché particolarmente bravi», spiega Tommaso Melani, responsabile della produzione e nipote di «nonno Marcello», il fondatore della scuola nel 1950. Dei vecchi maestri fiorentini è rimasto solo Carlo Sieni, 76 anni, il supervisore generale. La svolta, alla Scuola del cuoio, è arrivata nel 2000 quando accanto ai laboratori di produzione è stata aperta una sezione dedicata esclusivamente alla formazione privata. «I ragazzi hanno tra i 23 e i 30 anni, niente a che vedere con la vecchia figura del garzone di bottega» spiega Melani. «Arrivano con un diploma e spesso una laurea in design e vogliono imparare le tecniche artigianali. Molti vorrebbero restare in Italia più a lungo, ma non riescono a ottenere il permesso di soggiorno. Così tornano a casa. Asia, Sudamerica, dove le capacità manuali sono sempre più appetibili».

Due studenti al lavoro nel laboratorio della Scuola del Cuoio

Tra i pellami di questo piccolo laboratorio ci si accorge che questi ragazzi hanno scoperto una cosa che gli italiani non sembrano vedere. «Un patrimonio straordinario di scuole artigianali» come lo definisce Stefano Micelli, professore di Economia e gestione delle imprese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e autore di Futuro Artigiano. Micelli è convinto che il nostro know how artigianale sia una risorsa economica ancora tutta da sfruttare. «Abbiamo in Italia una tradizione di scuole legate alle specializzazioni del territorio, come la Scuola del vetro di Murano, che sono tesori incredibili. Eppure non hanno ancora conosciuto un vero exploit, perché finora hanno cercato solo di raccogliere vocazioni tra i ragazzi del posto». Come rilanciarle? «Non con il mito del ritorno al passato, non dicendo ai ragazzi: “Imparate un mestiere manuale altrimenti siete disoccupati”», sostiene il professore, convinto che l’«economia della conoscenza», paradigma ormai radicato in Occidente, ci impedisca oggi di cogliere l’enorme potenziale economico di un saper fare l’artigiano.

Gli ingredienti necessari per trasformare questo potenziale in realtà sono due. «Abbandonare l’ottica del riprodurre pratiche tradizionali. Non dobbiamo insegnare quello che facevano i nonni. Piuttosto scatenare la creatività dei giovani, usare le tecniche in modo originale», dice Micelli. Secondo imprescindibile elemento, l’apertura internazionale. «Devono diventare comunità ampie, centro d’incontro di artigiani cosmopoliti».

«Serve un cambio di paradigma anche sul tema del segreto artigianale. In passato, il segreto era fondamentale per mantenere valore. A Venezia si condannava a morte chi rivelava i segreti del vetro soffiato. Oggi al contrario per dare valore bisogna raccontare, mettere video su You Tube. Il mondo si è ingrandito e solo così possiamo far conoscere oggetti non sempre noti a tutti». C’è, secondo Micelli, un mercato nuovo in cui i prodotti a mano o in serie limitata sono visti come più interessanti. «Non solo il lusso. Anche prodotti di minore valore sono sempre più oggetto di desiderio della classe media, che si appassiona all’idea di comprare insieme all’oggetto anche una storia, quella della sua realizzazione. È una domanda di consumo nuova che si sta manifestando ora anche nei Paesi emergenti».

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Le aziende del lusso sono le prime ad aver imparato a promuovere il valore dei prodotti artigianali attraverso la comunicazione
 

Eppure, accanto ad esempi come quello della Scuola del cuoio o dei laboratori di alto artigianato aperti nel nuovo impianto di produzione del gruppo Lvmh alle porte di Ferrara, le altre scuole artigianali italiane non sembrano aver ancora capito come sfruttare appieno il loro potenziale. Alla Scuola del vetro di Murano, la Abate Zanetti, dove tra i 200 studenti iscritti ogni anno, il 70% sono italiani, il 30% stranieri provenienti perlopiù da Usa, Germania, Gran Bretagna e Ucraina, ci sono progetti di trasformazione in istituto superiore. «Ci stiamo lavorando da tre anni, vorremmo poter rilasciare un diploma di maturità ai ragazzi dell’isola di Murano che si iscrivono», spiega Martina Semenzato, presidente della scuola. Che conferma, senza dettagli, la possibilità di percorsi formativi per studenti stranieri, anche già diplomati.

Chen, di Taiwan, è al primo anno di laboratorio nella Scuola di liuteria di Cremona

CREMONA –  Lo stesso processo di trasformazione ha riguardato la Scuola internazionale di liuteria di Cremona, nata con un decreto regio nel 1938. Nel 1960 è diventata Istituto professionale internazionale per l’artigianato. Da allora l’offerta formativa si è ampliata nel campo dell’arredamento, della moda e della musica. E oggi la liuteria non è altro che una sezione dell’Istituto di istruzione superiore Stradivari.Pur restando il fiore all’occhiello dell’istituto, le norme legislative che regolamentano gli istituti professionaliostacolano le esigenze della scuola di liuteria. Anzi ne reprimono le potenzialità. Le ore di laboratorio sono state progressivamente ridotte. «Gli aspiranti liutai vengono da tutto il mondo per imparare le tecniche costruttive degli strumenti ad arco. Ma queste si apprendono nei laboratori, non tra i banchi», afferma la maestra liutaia Vanna Zambelli, nella scuola dal 1974. Nel 1996, per adattarsi alle normative vigenti, le ore di laboratorio sono state quasi dimezzate. Si è passato da un corso di 4 anni che prevedeva 18 delle 36 ore settimanali totali dedicate ai laboratori, a un corso di 5 anni che dedica alla pratica solo 7 ore settimanali nei primi due anni e 12 ore negli ultimi tre. Eppure, negli ultimi 10 anni, circa il 75 per cento degli iscritti era straniero, proveniente perlopiù dalla Cina o dal Giappone, ma anche da Europa, Sudamerica e Usa.

A Cremona coesistono ragazzi come Chen, Graziano e Joseph. Chen, dopo la laurea in economia presa a Taiwan, è venuto in Italia per apprendere l’arte della liuteria e poi subentrare al padre nel negozio di violini di famiglia; Graziano, diciannovenne di Legnano neo-diplomato al liceo scientifico; Joseph, quattordicenne di Ghedi, Brescia, ancora in età d’istruzione dell’obbligo. La maestra Zambelli sottolinea quanto sia difficile per i maestri liutai insegnare in classi così eterogenee. Il «sogno» dei maestri liutai è di trasformare l’istituto in un corso post-diploma e a numero chiuso per allievi già dotati di un minimo livello di educazione tecnica e musicale. In questo modo la scuola potrebbe focalizzarsi sull’insegnamento delle tecniche di costruzione del violino.

Johiman, dalla Colombia in Italia per imparare a costruire violini

Tristan, un ragazzo francese di 19 anni, è stato indirizzato a Cremona da un liutaio della sua città, Montpellier. È stato lui a dirgli che la città di Stradivari è il miglior luogo dove imparare a costruire uno strumento ad arco. L’istituto non fa campagne di promozione internazionale, ma si affida al «passaparola e al sito Internet», dice la maestra liutaia Zambelli. Anna Roh ha scoperto il laboratorio del cuoio di  Firenze passando per lo Ied di Milano. Forse le scuole di artigianato potrebbero partire da qui: far sapere agli aspiranti artigiani di tutto il mondo che esistono. Perché loro, gli aspiranti artigiani stranieri, le stanno già cercando.

@SilviaFavasuli

@SaraBanfi88

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