In questo periodo Alessandra vive a Roma. Da poco più di un anno ha deciso di fermarsi in Italia per cercare lavoro. Ma dice di esser pronta a fare di nuovo le valigie appena possibile. Accento marchigiano marcato (è nata in provincia di Ascoli Piceno), nel suo bagaglio da ventinovenne italiana (ed europea) ha accumulato tre lingue che parla fluentemente, inglese, francese e spagnolo, e una visione dell’Ue che forse neanche i politici di casa nostra ancora hanno sviluppato. Le tre lingue Alessandra le ha imparate nel corso delle sue esperienze di studio “europee”: sei mesi di progetto Erasmus all’Università di Leed, Gran Bretagna; progetto Leonardo a Valencia, Spagna; e, ciliegina sulla torta, borsa di studio Schuman con un tirocinio al Parlamento europeo. Ma dell’Italia dice: «Né la scuola, né l’università mi hanno preparato a queste esperienze, dalla conoscenza delle lingue a quella del funzionamento delle istituzioni di Bruxelles».
Alessandra, quello che si direbbe un curriculum europeo, nel vero senso della parola.
E sì, nel 2006, quando ero iscritta alla facoltà di Lettere dell’Università di Perugia, ho fatto sei mesi di progetto Erasmus all’Università di Leeds, nel Regno Unito. Poi sono partita con un progetto del ministero dell’Università e della ricerca alla volta della Scozia per insegnare italiano per un anno nelle scuole superiori di Glasgow. Finita questa esperienza, mi sono iscritta all’Università “Sapienza” di Roma al corso di laurea specialistica in Editoria e giornalismo. Ho iniziato a collaborare con diverse testate, in maniera non sempre retribuita. Finché è arrivato il bando Schuman, che offriva la possibilità di lavorare cinque mesi al Parlamento europeo a Bruxelles da giornalista, con uno compenso di 1.200 più rimborsi e agevolazioni alla mensa. E sono stata selezionata.
Ma non è finita qui.
Dopo uno stage di tre mesi all’ufficio di corrispondenza Rai di New York, ho partecipato al programma europeo Leonardo da Vinci a Valencia, in Spagna, dove ho lavorato per una organizzazione non governativa sempre nel campo della comunicazione.
Conoscevi già le lingue dei Paesi in cui sei stata? Chi ti ha informato della pubblicazione dei bandi?
No, la scuola e l’università italiana non mi hanno preparata a esperienze europee di questo tipo. Tutti i bandi li ho cercati da sola, mi sono organizzata da sola. Anche se da qualche anno credo che le cose siano migliorate. Dal punto di vista linguistico, invece, quando sono partita per fare l’Erasmus in Inghilterra non parlavo neanche una parola di inglese. Al liceo l’ho fatto poco e male, e all’università tra la triennale e la specialistica ho fatto un solo esame di inglese in tutto. I ragazzi degli altri Paesi che ho conosciuto nel corso di queste esperienze avevano invece una marcia in più, sono più preparati, parlano fluentemente l’inglese. Noi invece non siamo competitivi nel panorama europeo e soprattutto nel mercato del lavoro europeo.
Ma quando sei andata al Parlamento europeo, sapevi cos’era, come funzionava?
Anche qui ho fatto tutto da sola. Nel mio corso di studi non c’era alcun esame di diritto europeo. Prima di partire, ho studiato e ho cercato di capire come funizionava.
Non eri la sola. Sono in tanti a non conoscere le istituzioni europee, soprattutto nel nostro Paese.
L’assenza di conoscenza dell’Europa e dei suoi meccanismi è la base di tanti pregiudizi nei confronti delle istituzioni europee. Se si va per strada a chiedere cosa fanno il Parlamento o la Commissione europea, in pochi risponderanno correttamente. C’è una difficoltà evidente nel raccontare l’Europa. È vero che ci sono processi lunghi, a volte anche troppo, e che bisogna mettere insieme tante teste. L’Europa viene percepita come qualcosa di molto lontano. Nella mia generazione questa distanza si percepisce un po’ meno. Ma io mi sento europea a tutti gli effetti.
Cosa significa essere europei?
Significa avere la consapevolezza di esserlo, consapevolezza che io ad esempio ho acquisito grazie all’Erasmus. Significa sentirsi parte di una cultura comune. Sentirsi a casa anche in Spagna, Francia o Inghilterra. Sentirsi a proprio agio lavorando anche in un Paese che non sia l’Italia.
Che clima respirano i giovani nella capitale d’Europa?
Bruxelles offre molte opportunità ed è una delle poche zone franche per il lavoro giovanile. Molte possibilità a Bruxelles sono legate alle istituzioni europee o anche alle imprese private che lì hanno le proprie sedi. Le istituzioni europee sono le uniche ad avermi dato la possibilità di lavorare, al contrario dell’Italia, dove tuttora mi ritrovo a mandare curriculum a destra e a manca. Lo stage è stato utilissimo, scrivevo per la pagina italiana delle news del Parlamento, venivo presa in considerazione, ho fatto molta esperienza ed ero anche retribuita.
E gli italiani come sono visti a Bruxelles?
La sensazione è che la rappresentanza italiana non venga presa troppo sul serio, ma perché noi non prendiamo sul serio le figure da mandare al parlamento europeo. Quando io ero lì in stage, al Parlamento c’era Iva Zanicchi, tanto per capire. Parcheggiamo lì politici di qualsiasi tipo oppoure politici che hanno fatto il loro tempo, e poi ci lamentiamo ogni volta che in Europa non contiamo.