L’ultimo macigno, a Milano, è stato quello dell’assessore Franco D’Alfonso: «La macchina comunale è un imbarazzante trabiccolo: con noi al potere non è cambiato niente». Esprime la delusione per un cambiamento che non è (ancora) avvenuto. Di fronte a tutto questo, dice l’ex assessore alla Cultura Stefano Boeri, «Milano non può permettersi di perdere il passo delle altre città europee». Aldilà delle polemiche di questi giorni, ha bisogno di idee e di una visione ampia. «Lo sguardo sul futuro deve superare i confini della nostra città e abbracciare la grande regione metropolitana che ci circonda». E poi, partendo da questa visione, «si potrà decidere quali sono le priorità della politica ». Può passare per Expo e arrivare a una nuova realtà. «E io vorrei dare una mano, per quanto possibile. Perché, nonostante tutto, non mi sento fuori da questa maggioranza e dalla sua Giunta».
Però la giunta è in crisi, è Milano «non è cambiata». Cosa è successo? Cosa è mancato a Milano?
Arrivo oggi ora da un viaggio tra Barcellona e Lille. E sono rimasto colpito da come queste due città (entrambe non capitali, ma al centro di regioni cruciali, come Milano) affrontino la crisi: lo fanno progettando una loro nuova identità; che è insieme geografica (entrambe si rivolgono all’ampia rete di comuni che le circonda) e tematica. Sono entrambe alla ricerca di un’identità distintiva che permetta loro di competere sulla scena europea e internazionale.
In che senso?
A Barcellona si è deciso da tempo di progettare il futuro prossimo della città come grande epicentro turistico Per fare un esempio, ho partecipato ad un summit sull’offerta culturale che tutti i comuni della cintura di Barcellona possono offrire al flusso crescente di turisti che arrivano con le crociere (70mila nell’ultimo weekend…) Musei, eventi, spettacoli, mercati, fiere… Tutto viene coordinato per rispondere all’idea che Barcellona confermi la sua identità di nodo fondamentale del turismo culturale internazionale.
E Lille?
Anche qui la crisi spinge ad elaborare una visione. Che in questo caso riguarda l’autosufficienza energetica. Ho partecipato ad un incontro con Jeremy Rifkin, politici e direttori di settore della Regione, imprenditori locali, professionisti, tutti al lavoro per dare un’identità distintiva a questo territorio come prima regione europea capace di raggiungere l’autosufficienza energetica. Un progetto ambizioso che coinvolge tutte le filiere; dall’agricoltura alla mobilità, dalle reti intelligenti alle tecnologie per trasformare gli edifici in micro centrali energetiche. Anche qui c’è una visione che coinvolge le imprese e i cittadini e li aiuta a capire quale futuro progettare insieme.
E Milano un’idea così non ce l’ha.
Non ancora. Eppure io credo che ci sia: è la visione di una grande metropoli della creatività. Questa dovrebbe essere la nostra mèta, il traguardo della nostra transizione.
Che intende?
Milano è una metropoli geograficamente piccola ma incredibilmente densa di eccellenze in campi diversi: dalla biologia molecolare al design, dalla moda al teatro all’alimentare, dall’editoria alla musica indipendente, dalla fotografia al volontariato.
Offrire una visione significa capire come mobilitare queste energie creative e produttive diffuse.
Proprio la creatività, il gusto dell’innovazione, il rischio della ricerca del nuovo sono il grande capitale sociale diffuso di un territorio molto ampio: che coinvolge anche le filiere produttive del legno e degli arredi dalla Brianza, il tessile nella valle dell’Olona, il sistema agroalimentare del sud Milano… Centinaia di piccole e medie imprese produttive che sanno fare innovazione e soprattutto sperimentazione. Queste sono le nostre energie culturali, economiche e sociali. A cui la politica deve offrire oggi una visione unitaria, di ampio respiro.
Una cosa del genere però potrebbe essere l’Expo.
Infatti è proprio questo il modo in cui io intendo Expo: come l’occasione per accelerare la transizione di Milano verso una metropoli europea della creatività.
Però non è semplice. Ci saranno anche degli ostacoli.
E qui entra in campo la politica: il suo compito, a mio avviso, non è di creare ex novo energie, ma di far confluire quelle già esistenti in un progetto unitario. Dobbiamo saper dire con chiarezza e semplicità ai cittadini di Milano quale vogliamo sia il futuro della nostra città.
Io mi sento ancora parte di questa maggioranza e di questa Giunta e farò di tutto perché la politica proponga alle energie diffuse di Milano una visione forte, che sia insieme un’idea di sviluppo. Da qui poi discendono anche le priorità su ciò che va fatto, su ciò che non va fatto, sui soggetti con cui parlare e discutere.
Ad esempio?
Beh, tutte le energie messe in campo per la creatività sono anche e soprattutto lavoro. E la politica del Comune deve capire quale è la strada giusta per sostenere il lavoro a Milano…
E come?
Abbiamo un’enorme responsabilità verso le “condizioni” del lavoro. Condizioni nel senso di spazi, servizi, sinergie, norme che facilitino la moltiplicazione di occasioni di lavoro e impiego a Milano.
Abbiamo detto della potenza produttiva diffusa di Milano. Sono migliaia le microimprese che nel terzo settore, nel mondo delle professioni e in quello dei servizi al cittadino, nelle cooperative, nella creatività, nella ricerca, nell’artigianato urbano, abitano i quartieri di Milano; migliaia di piccole comunità di rischio che ci chiedono una politica coraggiosa e ferma.
Ci chiedono di trasformare Milano in un territorio dove una crisi drammatica viene combattuta da una politica che abbraccia queste centinaia di imprese e la sostiene, le supporta, le fa diventare un corpo unico con sé stessa.
Non si tratta solo di facilitare lo start up delle nuove imprese: si tratta di trasformare tutta la città in una grande e generosa piattaforma per il rischio d’impresa.
Sì, ma poi?
La normativa sulla Cosap (il Canone di occupazione del suolo pubblico) è stata, da questo punto di vista un autogoal. E’ ottusa nel colpire le aspettative dei commercianti e degli operatori culturali; e sbagliata nel pericoloso meccanismo di compensazione che affida agli uffici comunali.
Penalizza le occasioni come il fuori-salone, bookcity, pianocity, come la prima della Scala diffusa in città, che accendono i quartieri di Milano e danno lavoro alle microimprese della creatività diffusa.
Allora serve anche una buona politica di mobilità, sempre per mantenere unite le energie creative.
Sulla mobilità a Milano si sta facendo un buon lavoro. Ma anche qui occorre una visione ampia. Senza cadere nell’errore di decidere i confini dell’area metropolitana solo attraverso un’ingegneria burocratica, o peggio una forma di imperialismo di Milano sulle altre aree urbane. Piuttosto bisogna partire dal condividere una visione dal basso. Ad esempio chiamando tutti i sindaci di questo grande territorio e (approfittando di Expo), lanciando con loro una sfida per riprogettare il grande sistema delle infrastrutture: per capire il ruolo da affidare a Malpensa, Linate, Orio; o per capire se e come integrare Trenord con Atm, MM e le altre partecipate. È quello che stanno facendo le altre grandi metropoli europee. Non abbiamo più tempo da perdere.