Storia della Torre e dei piloti del porto di Genova

La torre era il “cervello operativo”

La Torre dei Piloti era alta 50 metri, la sala di controllo a 40 metri con una superficie di 165 metri quadri. Storicamente, nel porto di Genova, la sede del Corpo dei Piloti è posta al molo Giano. La torre crollata era parte di un edificio articolato su due fabbricati distinti, sospesi in acqua su pali di fondazione. Dentro la torre aveva sede l’intera zona operativa.

Sul sito fabriziobonomo.it, a proposito della torre si legge:

[La torre] consiste in un fusto cilindrico in cui sono inseriti i collegamenti verticali (ascensore e scala metallica di sicurezza), da un cavedio tecnico al centro e, nella parte più alta, da un cappello a forma semicircolare su due livelli. Qui è ubicata la zona operativa vera e propria, con al primo livello le apparecchiature di supporto e al secondo gli strumenti e gli spazi per effettuare le diverse operazioni di controllo del traffico marittimo portuale.

La torre era stata costruita fra la metà degli anni Novanta e il 1997 e, sul sito della Società capitani e macchinisti navali – Camogli è definita «la cabina di regia, il cervello operativo, il punto di contatto di tutti i soggetti presenti nel sistema, che intendono effettuare operazioni commerciali». Il centro di coordinamento dello scalo genovese era il cardine di un’area ininterrotta di 22 chilometri di fascia costiera dedicata alla movimentazione di persone e merci. Nell’area del porto ci sono circa 20 terminal privati che, si legge sul sito del Porto di Genova, sono «attrezzati per accogliere ogni tipo di nave per ogni tipo di merce: contenitori, merci varie, prodotti deperibili, metalli, forestali, rinfuse solide e liquide, prodotti petroliferi e passeggeri».

Il Corpo Piloti è attivo 24 ore al giorno, tutto l’anno. È composto da 22 membri che hanno a disposizione 6 pilotine. La loro sede era la torre sulla testata del Molo Giano. Si legge: «La sala controllo è provvista di impianti VHF per l’ascolto simultaneo dei canali di soccorso e di quelli di uso portuale, di impianti telex e fax, stazione meteo oceanografica automatica e di impianti AIS (Automatic Identification System) per la copertura dell’intera area portuale».

Un saggio, a firma Carlo Gatti, riportato nel volume “Appunti di storia dell’automazione navale e dintorni” di Silvano Masini e Gian Luigi Maggi spiega cosa è cambiato, nel porto di Genova, con l’introduzione della torre e come è cambiato il ruolo dei piloti in seguito all’introduzione della tecnologia nella movimentazione degli scafi.

Più cemento per le strutture logistiche a terra, significa meno acqua di manovra per le navi che hanno dimensioni sempre maggiori. Questo è il primo problema che assilla comandanti e piloti dei porti della nostra epoca.  Nelle ore di punta, il porto cambia continuamente scenari, in un divenire di situazioni dinamiche sempre più pericolose, specialmente alla presenza del traffico costantemente in crescita. Questo è il secondo problema. Le due caratteristiche, comuni ai grandi porti integrati, dotati di 3-4 imboccature, fu presa in considerazione come un reale problema da risolvere, alla fine degli anni ’80 e dopo forti pressioni dei piloti, fu risolto alla metà degli anni ’90 con la costruzione della Torre di Controllo del traffico. Sotto quest’aspetto, la direzione globale del traffico, via radio, rispose alla moderna esigenza del traffico navale, sintetizzato nello slogan: “snellimento del traffico nella sicurezza”.

Il sito pilotigenova.it del Corpo Piloti riporta invece una citazione del libro del comandate Stefano Galleano (“Piloti della Lanterna”) che spiega perché si chiamano Piloti:

Sull’origine del nome “Pilota” gli storici e i linguisti hanno fatto scorrere fiumi di inchiostro. Ci limiteremo, per i più curiosi, ad accennare alle interpretazioni più correnti.  Si potrebbe dire, per cominciare, che il nome indicante la professione ha due radici diverse a seconda delle regioni o dei gruppi linguistici interessati.
Quello che potremmo definire di matrice latina sembra abbia avuto origine dal “Pileum”, antico copricapo a forma conica fatto di feltro o cuoio, oppure da “Pedes”, scotta delle vele, alla cui sorveglianza era destinato il “Pedoto” o “Pedota”. Questo è il termine che si ritrova nei testi italiani più antichi (anche fino al XVI sec.) e che diventerà più tardi “Piloto” o “Pilota”. Altri lo fanno derivare da “Proreta”, l’aiutante del “Gubernator” messo a prua della nave per indicare la rotta da seguire fra i bassifondi o per prendere gli scandagli.  Un’altra interpretazione assume come origine i termini olandesi “peilen”, misurare, e “loot” piombo, che diventano, per contrazione fonetica, “Peilot” che dà appunto l’idea dell’uomo che scandaglia il fondale per trovare la giusta rotta…” .“…Una cosa è certa: l’Inglese ha adottato il termine “Pilot” e con quel nome tutti i naviganti, anche se nella loro lingua la parola e il suono sono diversi, quando sentono quel nome sanno perfettamente che cosa indica e chi è la persona che esso identifica…”. 

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