Al Bilderberg? Ci sono i media ma non i manifestanti

Reportage. Il raduno dove si decide il destino del mondo

WATFORD – In tutto 140 ospiti: ministri ed ex ministri da tutto il mondo, poi una lunga serie di Ceo, banchieri e accademici. Tra i presenti anche Henry Kissinger, già Segretario di Stato Americano; Eric Schmidt, uno dei padri fondatori di Google; George Osborne, Cancelliere dello Scacchiere del governo Cameron. E poi gli italiani Mario Monti, ex Primo ministro, la giornalista di La7 Lilli Gruber e Franco Bernabè, Ceo di Telecom Italia. Anche quest’anno, come dal 1954 in poi, il gruppo Bilderberg si riunisce per discutere in modo informale e off-the-record dello stato dell’arte del pianeta.

Quest’anno l’incontro si tiene in Inghilterra, appena fuori Londra, a Watford. Linkiesta è andata fare un giro per vedere cosa succede e cosa si dice intorno a un evento che per anni è stato avvolto nel mistero e nella segretezza e che è diventato uno dei bersagli preferiti di complottisti e cospirazionisti.

Dopo gli anni del movimento Occupy ci si aspetterebbe di vedere, intorno al Bilderberg, quella stessa tensione che ha caratterizzato i rapporti tra i “bankers”, i potenti, e quelli che vengono genericamente definiti gli “anticapitalisti”; ci si aspetterebbe di vedere decine di furgoni della polizia e agenti in tenuta antisommossa, come accade nelle manifestazioni; orde di manifestanti ad attendere i “potenti” e pronti a replicare un attacco simile a quello di cui furono vittime Carlo e Camilla solo pochi anni fa, mentre attraversavano nella loro Rolls Royce una manifestazione di studenti.

Ma a Watford succede poco o nulla. Sul piazzale dalla stazione, un poliziotto con fare annoiato indica ai pochi venuti la direzione del Grove Hotel, l’albergo dove si tiene il meeting. Dalla strada che esce da Watford comincia il viale che porta proprio davanti all’albergo, ma di lì non si passa. All’entrata una schiera di agenti presidiano il cancello e salutano sorridenti e divertiti i passanti: “Good morning sir!” ripetono con educazione. Sul lato della strada, pochi metri dopo l’ingresso dell’albergo, c’è una fila ordinata di persone che aspetta di entrare al Bilderberg Fringe Festival, il nome dato all’area designata per la manifestazione.

Per entrare bisogna superare due postazioni di controllo, come in un aeroporto: ispezione borse e scansione al metal detector incluse. Quello che sorprende è che non c’è un filo di tensione. Tutti si sottopongono al controllo della sicurezza senza problemi. Qualcuno sembra essere persino divertito. Dentro si prende il sole, c’è chi aggiusta uno striscione che denuncia le scie chimiche, bambini che si arrampicano sulle recinzioni (prima di essere ripresi dagli agenti della security che sorvegliano il posto). Una signora, in compagnia della figlia dodicenne, mostra orgogliosamente un cartello che rappresenta un Obama circondato da simboli massonici.

Da lì il Grove hotel si vede appena, in lontananza, tra gli alberi, su una collina circondata da un’alta palizzata di acciaio. Tra i manifestanti e l’albergo si stende un grande prato, disseminato di agenti di polizia – addiritttura più annoiati, forse, di quelli di presidio alla stazione. Sul viale che porta all’albergo un gruppo di signori sulla cinquantina lanciano insulti alle mercedes con i vetri oscurati che portano gli invitati al meeting: «Scum!», gridano con scarsa convinzione. Non lontano un gruppo di ragazzi con capelli e barbe lunghissime canta canzoni contro la guerra in Vietnam, mentre un predicatore cristiano che si presenta a Linkiesta come Carl cerca di convertire i pochi che si fermano ad ascoltarlo.

Elik Pritchard, 34 anni, attivista con mamma italiana, spiega: «L’obbiettivo del gruppo Bilderberg è di gettare il mondo nel caos così da poterlo poi controllare. Se non ci opponiamo finiremo tutti con un microchip sotto la pelle implorandoli per qualcosa da mangiare». Dal palco allestito dai manifestanti giungono storie sul passato del Bilderberg e il pubblico, circa 2000 persone secondo le guardie all’ingresso, applaude volentieri, anche quando viene menzionato Mario Monti e i suoi legami con il Bilderberg. Il culmine del pomeriggio, però, si raggiunge quando David Icke, autore noto tra i fan dei complottismi globali, grida che l’undici settembre è stato un “inside job”, cioè, un lavoro fatto in casa.

Qualcosa di diverso, quest’anno, c’è. Phoenix Rainbow, attivista del gruppo Occupy London, spiega a Linkiesta che «è la prima volta che i media mainstream si occupano del Bilderberg: ci sono tutti, anche la Bbc», racconta entusiasta. «Qualche anno fa – conclude – quando Rupert Murdoch (membro del Bilderberg, n.d.a.) controllava tutto, sarebbe stato impensabile».

Nel tardo pomeriggio, all’improvviso, la folla si anima. Circola voce che le guardie abbiano bloccato gli ingressi al festival. Un centinaio di persone, dall’interno, si dirigono agitate verso i cancelli, qualche coro : «Let them in!» (i.e. “lasciateli entrare”) e tutto si risolve.

Alla fine della giornata i partecipanti lasciano ordinatamente la spiazzo vicino all’Hotel. I più giovani si spostano verso un altra area, dove è stata organizzata una festa, gli altri si dirigono verso la stazione per rientrare a Londra. Di quello che succede dentro al Grove qui non se ne sa nulla, ma, come afferma Lilly, 24 anni, una delle organizzatrici del festival parlando con Linkiesta, «forse domani qualcuno di loro (del Bilderberg, n.d.a.) verrà a parlare con noi. O almeno così ci hanno promesso».

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