Processo Ruby, Berlusconi condannato a 7 anni per concussione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ci risiamo nel gorgo giudiziario da cui il paese non riesce ad uscire da quasi vent’anni, come da una prigione insidiosa e invalicabile. Quella emessa dal Tribunale di Milano è una sentenza di primo grado molto pesante, che ha il difetto di intorbidare ancor di più le acque in cui nuota il governo Letta e di rafforzare le opposte, rancorose tifoserie: chi immagina che Berlusconi sia un perseguitato politico che i magistrati “comunisti”, in combutta con la sinistra, vorrebbero eliminare per via giudiziaria, e chi lo dipinge come una specie di Al Capone sceso in politica per sfuggire dai tribunali, dunque meritevole di finire a piazzale Loreto. A noi questo bipolarismo di guerra, che da anni ha sequestrato il paese rendendo impossibile qualsiasi pacificazione nazionale ma soprattutto qualsiasi riformismo concreto, non piace per niente. Ci appassiona pochissimo. E’ totalmente sconnesso con la crisi che il paese sta attraversando.
Lo abbiamo già scritto diverse volte in questi mesi. Abbiamo davanti scadenze economiche da fare tremare i polsi, la recessione morde, le imprese chiudono, la disoccupazione cresce, c’è da fare un lavoro sterminato per riformare la Pa, tagliare gli sprechi, incentivare chi fa ricerca e innovazione e attirare un po’ di investitori dall’estero eppure non riusciamo a schiodarci da quel vecchio presepe ideologico che ha avvelenato l’intera Seconda Repubblica: il cortocircuito giustizia-politica, l’eterna lotta tra berlusconiani e antiberlusconiani. Da sempre l’alibi perfetto per non misurarsi sui problemi veri del paese. Berlusconismo e anti berlusconismo hanno infatti esaurito qualsiasi spazio, qualsiasi retorica, qualsiasi discorso pubblico. Un po’ alibi, un po’ cuccia calda, un po’ ideologia dietro cui trincerarsi specularmente. Da vent’anni è così. In particolare non ha mai permesso di riformare davvero una giustizia che, depurata dagli affari personali dell’ex premier, è ormai da anni un colabrodo inefficiente.
Perchè questo è il vero paradosso: la giustizia, così ossessivamente evocata, in questi vent’anni di fissità ideologica non è mai stata nemmeno riformata. Cornuti e mazziati. Per Berlusconi l’inefficienza della macchina giudiziaria è sempre stato un grande alibi da esibire agli italiani, continuando tranquillamente a fabbricarsi leggi ad personam per evitare il giudizio dei tribunali. «Se il rapporto del Cavaliere con i tribunali è lo stesso che hanno molti di noi – è il ragionamento dell’uomo della strada – ossia burocratico, scorbutico, farraginoso, costoso, incerto e lunghissimo, vuoi vedere che qualche ragione ce l’ha nel dare addosso ai giudici? Nel dire che lo stanno perseguitando?» Quanto ci ha campato l’ex premier su questo senso comune, su questa immedesimazione? Anche in queste ore.
Per molta sinistra, invece, riformare la giustizia è sempre stato un tabù inviolabile, penale o civile non fa differenza, perchè avrebbe significato un cedimento al pericoloso Caimano, il male assoluto. Avrebbe significato spezzare la solidarietà con il partito dei giudici e con un certo establishment politicamente corretto, indebolendo l’unico collante che per molti anni l’ha tenuta insieme: appunto l’anti-berlusconismo. Il risultato è che non ha mai voluto né saputo separare le sorti del Cavaliere e le sue pendenze giudiziarie dall’urgenza di cambiare e ammodernare una macchina pletorica, poco produttiva, spesso arrogante, che espone imprese e cittadini a processi e contenziosi infiniti oltre che tenere lontani investitori stranieri e multinazionali, spaventati dall’investire in un paese dove ancora oggi, far valere i propri diritti, rischia di trasformarsi in una lotteria.
Sono nostre opinioni? Assolutamente no. Qui sotto pubblichiamo una bella infografica interattiva sullo stato della giustizia penale in Italia. Tutti possono farsi una idea del colabrodo. In particolare, la mappa descrive il problema dell’arretrato (mentre domani pubblicheremo la stessa cosa sulla giustizia civile). La sua lettura è semplice. La legenda indica il numero di casi ancora aperti ad inizio anno e il numero di nuovi casi dell’anno rapportati al numero di casi chiusi nel corso dell’anno. Questo implica che se questo rapporto assume un valore uguale ad 1, la giustizia penale è molto efficiente, mentre man mano che questo numero diventa più grande, l’inefficienza della giustizia aumenta. Nel 2010 questo valori raggiungono punte di 7 nei due comuni lucani di Matera e Potenza. I più virtuosi sono invece Aosta e Rovereto (TN). Ma la cosa più grave che si evince dalle mappe è che negli anni, l’efficienza della giustizia penale italiana si deteriora visibilmente, specialmente nel centro-sud.
Ecco. Invece che impiccarci a Berlusconi, vorremmo che si parlasse di questo quando si parla di giustizia in Italia. Superando lo stucchevole e poco dignitoso spettacolo di una intera maggioranza che al giro scorso ha votato compatta la “bufala” di Rubi nipote di Mubarak e, all’opposto, di un pezzo di magistratura che da vent’anni persegue il Cavaliere con una costanza, uno zelo e una produttività visti raramente in altri contesti. Altrimenti, non sarebbe questo lo stato della giustizia nel Belpaese…
Elaborazione mappe a cura di Paola Bertoli
Nota: Questo indicatore [(casi nuovi+casi aperti)/casi chiusi] è comunemente usato negli studi sull’argomento per misurare velocità/efficienza dei singoli tribunali; tuttavia per una interpretazione complessiva sarebbe necessario poter disporre di indicatori della qualità/complessità dei processi (difficile da individuare) e tenere anche conto dell’ampiezza degli organici.