Elisabetta Gualmini, professoressa di Scienza Politica, autrice de Il partito di Grillo
Finora la giustificazione interna al Movimento 5 Stelle, rispetto agli ultimi risultati, era che non si possono confrontare i risultati del voto politico con quello amministrativo. Lo svuotamento di consensi nelle votazioni siciliane, però, è stato talmente considerevole da far pensare che davvero lo tsunami stia rientrando. Come la vede?
Così come il fenomeno Movimento 5 Stelle è stato a lungo sottovalutato prima del voto di febbraio, ora è in corso sui giornali una drammatizzazione sulla sua presunta fine. Grillo ha ragione quando dice che le elezioni amministrative hanno una storia a parte rispetto alle Politiche, anche se questo non toglie che il segnale che gli elettori hanno dato debba essere tenuto bene in considerazione. La cosa vera è che una riduzione di voti era prevedibile. Tutti i partiti con una forte componente di protesta, in Europa, e ancor più in Italia, sono soggetti, dopo il boom e lo scoppiettio iniziale, a non superare certe soglie e a ridimensionarsi. Dopo il 25% di febbraio nessun serio analista poteva aspettarsi il ripetersi di simili performance. Ma se il Movimento si attestasse all’8 o 10% sarebbe una forza significativa nella politica italiana. Anche perché è possibile che gli altri partiti abbiano imparato la lezione e agiscano diversamente per quanto riguarda la scelta dei candidati e la loro offerta politica. Insomma, il Movimento 5 Stelle non scomparirà, anche se deve far tesoro della lezione ricevuta dal territorio.
Certo, gli elettori meno militanti – soprattutto quelli confluiti sul Movimento 5 Stelle solo perché hanno trovato lì l’ultima spiaggia – sono quelli che potrebbero aver percepito di più la sensazione di avere sprecato il voto. E quindi, in parte, a queste ultime elezioni, potrebbero essere rientrati negli altri partiti o nell’astensione, accusando il Movimento di impotenza politica. Ma attenzione a non sopravvalutare il dato. A livello amministrativo c’è una strutturale difficoltà: non dappertutto il Movimento ha candidati, non dappertutto li ha della stessa qualità, e quando, come per le elezioni dei sindaci, conta ben poco il leader nazionale, Grillo ottiene ottimi risultati dove trova una buona base di movimenti civici che il Movimento può raccogliere, strutturare e capitalizzare. Ad esempio a Parma ha raccolto tutti i gruppi anti inceneritore…
Cosa ha influito di più nel generare il crescente sentimento negativo nei confronti del Movimento 5 Stelle? C’è stato un riflusso di voti di elettori di centrosinistra delusi dalla linea dura contro il Pd di Bersani o un riflusso verso l’astensione di chi era tornato al voto, magari dopo molto tempo, invogliato da questa nuova proposta?
In assenza di dati, posso dire solo la mia impressione. Credo che ci siano entrambe le componenti. Alcuni del Pd che avevano voluto dare un messaggio al partito o che erano talmente scontenti da cercare nuovi approdi che, anche di fronte a un’offerta sul territorio magari deludente da parte del Movimento 5 Stelle hanno deciso di tornare al Partito democratico, nella scelta del sindaco, visto che con tutti i suoi difetti gli viene comunque riconosciuta una capacità e una tradizione nell’amministrazione locale. La componente dell’elettorato più fluido e contestatario che si era buttato pancia a terra nel nuovo Movimento può essere rientrata nel non voto criticando la scarsa incisività sulla politica. Ricordiamoci che ormai non si va più a votare perché ce lo dice la mamma, il prete o il sindacalista. Gli elettori sono diventati molto esigenti e vanno alle urne se proprio non possono farne a meno: se hanno una proposta che li convinve in pieno: un candidato valido e/o motivazioni forti. In Sicilia però non c’è solo il flop del Movimento 5 Stelle, che non ha capitalizzato il buon risultato alle regionali; anche il centrodestra, che era fortissimo è scomparso. E il centrosinistra si afferma con i nomi che fecero la Primavera degli anni Novanta, gente che era al potere oltre vent’anni fa…
Un altro tema è quello della qualità della classe dirigente. Quanto ha influito negativamente la scelta di Grillo e Casaleggio di candidare solo i trombati di precedenti elezioni locali, spesso semplici riempilista in comuni minori?
All’epoca è stato necessario per evitare il rischio che, di fronte a sondaggi che davano il Movimento in forte crescita salissero a frotte sul carro del vincitore tanti approfittatori. Certo, alla lunga, si sta pagando quella cattiva selezione, anche perché si vota sempre di più la persona che non il partito o le idee. Anche se questo non piace al Movimento 5 Stelle, è così che funziona… Anche nella gestione del rapporto con la stampa sarebbe stato necessario avere persone più “attrezzate”. Fare black list di giornalisti e alzare in modo maldestro lo scontro è stato controproducente.
Nel disamore degli italiani per i pentastellati pesano di più gli scontrini o la litigiosità? In fondo, con tutte queste beghe, correnti, discussioni infinite anche l’M5S sembra l’ennesimo partito che pensa più alle sue dinamiche interne che al Paese…
È difficile da dire, anche considerando come tutto è stato enfatizzato e stressato dal mondo della comunicazione. Cose ne hanno fatte, provvedimenti ne hanno proposti. Magari sono un po’ goffi, ma in Parlamento sono attivi. Eppure è passato molto un altro messaggio. Certo, si sono fatti irretire in cose di bassa cucina. C’è stato un po’ un ripiegamento su questioni interne, organizzative. E la sensazione data è stata che fossero più impegnati a far quello che non a contribuire al dibattito largo sui problemi del Paese. Ma bisogna considerare che sono un partito (lo chiamo così con cognizione di causa) giovanissimo. E come organizzativisti sappiamo bene che le fasi iniziali di ogni movimento politico sono attraversate da contraddizioni fortissime. L’M5S ha avuto un consenso straordinario saltando molte fasi intermedie e ora deve fare molti conti al suo interno. Se il 10% dei 163 parlamentari eletti se ne andasse non ci sarebbe niente di anormale, e anzi sarebbe forse salutare. Del resto era messo in conto. Grillo ripeteva spesso in campagna elettorale “avremo i nostri Scilipoti”. Però non c’è solo una questione di classe politica inadeguata, ma anche di elettorato inadeguato. Chi ha votato il Movimento 5 Stelle aspettandosi una rivoluzione civile in tre mesi («Cosa volevano? Che appiccassimo il fuoco al Parlamento?», ha detto Grillo) ha sbagliato. Era impossibile. Il Movimento 5 Stelle non si pone come movimento rivoluzionario in senso stretto e, comunque, anche per fare la rivoluzione serve tempo. Grillo e i suoi fedelissimi sono stupiti di chi è deluso. Non credevano che le aspettative della gente fossero così enormi nei loro confronti. I cittadini che si aspettavano un immediato cambiamento palingentico erano esasperati ma anche ingenui.
Andrea Malaguti, giornalista de La Stampa
Finora la giustificazione interna al Movimento 5 Stelle, rispetto agli ultimi risultati, era che non si possono confrontare i risultati del voto politico con quello amministrativo. Lo svuotamento di consensi nelle votazioni siciliane, però, è stato talmente considerevole da far pensare che davvero lo tsunami stia rientrando. Come la vede?
Di sicuro Grillo si sta fortemente ridimensionando. Il risultato delle elezioni di febbraio è stato abnorme rispetto alle aspettative non solo dei politologi, dei sondaggisti e dei media in generale, ma persino dello stesso Movimento 5 Stelle, che in campagna elettorale ha puntato più sulla pre-politica che sulla politica. Più sulle regole, sulla forma, sul metodo, che sui contenuti e sulle soluzioni. Riduzione dei privilegi, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, abolizione delle province, nuova legge elettorale, ma soprattutto lo slogan “tutti a casa”. Messaggi trasversali, facilmente condivisibili, fondati più sul rifiuto collettivo di vent’anni di malapolitica e sulla crisi economica europea, che su un progetto realmente comprensibile. Giudizi sintetici a priori poi difficilmente applicabili nel quotidiano. Il risultato delle amministrative – dove contano le persone e le scelte precise – non è casuale. Eppure, se anche Grillo avesse perso in tre mesi il 10% dei consensi, il suo peso nel Paese sarebbe comunque forte e paradossalmente la sua capacità d’azione persino più semplice. Certo la partenza non è stata brillante. E la strategia post elettorale, evidentemente sbagliata, rischia di compromettere l’intero progetto.
Cosa ha influito di più nel generare il crescente sentimento negativo nei confronti del Movimento 5 Stelle? C’è stato un riflusso di voti di elettori di centrosinistra delusi dalla linea dura contro il Pd di Bersani o un riflusso verso l’astensione di chi era tornato al voto, magari dopo molto tempo, invogliato da questa nuova proposta?
L’impressione è che pur essendo entrato nel Palazzo con una forza così larga – 163 parlamentari – il Movimento non sia stato in grado di incidere sul senso complessivo delle cose. Che non abbia agevolato alcun tipo di miglioramento sociale. Che non sia stato in grado di comprendere che la politica è mediazione con le altre forze parlamentari (da qui il successo della prima operazione siciliana) e non muro contro muro. Le rivoluzioni si fanno fuori dai Palazzi. Se nei Palazzi invece decidi di entrarci devi rimetterti agli strumenti condivisi del confronto. Il che non significa rinunciare al senso di sé, ma vuole dire non rendersi irrilevanti. Ovvio che se poi passi molte delle tue riunioni a discutere di diaria e di rimborsi, di black list e di interviste da dare e da non dare, e magari ti fai trovare impreparato – come è successo – sulla riforma elettorale, restituisci l’impressione di un gruppo senza bussola, litigioso e disorientato. Fondamentale anche la scelta comunicativa di Grillo. Ogni picconata che parte dal suo blog cancella il lavoro parlamentare – che è più largo di quanto appaia – lo nasconde, lo fa sparire. E oltretutto spaventa gli elettori, non solo (ma soprattutto) di centro-sinistra, stanchi della politica delle cannonate e dell’annichilimento dell’avversario. Con questo quadro l’esplosione dell’astensionismo è inevitabile.
Un altro tema è quello della qualità della classe dirigente. Quanto ha influito negativamente la scelta di Grillo e Casaleggio di candidare solo i trombati di precedenti elezioni locali, spesso semplici riempilista in comuni minori?
Molto. Quello della classe dirigente è un tema centrale. Lo è in generale, ma per il Movimento anche di più, perché lo costringe a fare i conti con una contraddizione apparentemente irrisolvibile. Da un lato devi sostenere che uno vale uno perché chi entra in Parlamento è solo un portavoce, dall’altro ti accorgi che la qualità di chi sta nel Palazzo definisce la forza e la profondità del messaggio. E dunque non è più vero che uno vale uno. Perché i messaggi vanno recepiti, compresi, valutati, applicati e trasformati a seconda delle necessità e delle urgenze. La democrazia rappresentativa si basa, in teoria (perché è ovvio che la storia di questi anni è stata diversa) sulla scelta dei migliori, la democrazia orizzontale si fonda sull’intelligenza diffusa della rete, criterio rispetto al quale i dubbi sono piuttosto larghi. Anche Grillo e Casaleggio valgono come gli altri? E se la risposta è sì, perché non lasciano il timone? Perché evidentemente, al mondo, uno non vale mai uno. Non dal punto di vista della dignità, ovviamente, ma delle capacità. La differenza è ricchezza. Stimolo. Opportunità. Il mare indistinto della orizzontalità rischia di diventare annichilimento, nullismo, superficialità.
Nel disamore degli italiani per i pentastellati pesano di più gli scontrini o la litigiosità? In fondo, con tutte queste beghe, correnti, discussioni infinite anche l’M5S sembra l’ennesimo partito che pensa più alle sue dinamiche interne che al Paese…
Contano sia gli scontrini sia la litigiosità. I parlamentari pentastellati sono uomini e donne, non santi. Alcuni hanno grandi qualità, altri sono in evidente affanno col compito che sono chiamati a svolgere. La rete non produce persone perfette, ma esseri umani identici agli altri dal punto di vista delle debolezze. In questo senso sì che uno vale uno.