La Rete ha deciso: Adele Gambaro è fuori dal gruppo parlamentare del M5s. Il 65,8% dei votanti ratifica la cacciata della senatrice che aveva criticato i toni di Beppe Grillo e che per tale ragione era stata giudicata dall’assembela dei parlamentari. Su 48.292 aventi diritto si sono espressi in 19.790, di cui 13.029 favorevoli alla cacciata. I numeri evidenziano percentuali poco bulgare e molto italiane, quantomeno sul lato dell’astensionismo che si assesta al 59% anche per via del mancato preavviso, tattica scelta dalla Casaleggio Associati onde evitare fenomeni di hackeraggio.
«Grazie a tutti coloro che hanno partecipato», recita un laconico comunicato sul blog di Grillo. Dopo la fuoriuscita dei deputati Furnari e Labriola, l’espulsione di Gambaro segue a quella di Mastrangeli, fatto fuori con il placet dell’88,8% degli attivisti. Nel caso della senatrice genovese si apre una vera e propria faglia: ha detto sì all’allontanamento solo il 27% degli aventi diritto, mentre il 34,2% dei votanti che hanno cliccato “no” rappresenta plasticamente la rottura consumatasi all’assemblea congiunta quando 42 parlamentari si erano opposti all’espulsione, 9 si erano astenuti e altri (Gambaro compresa) avevano disertato la conta.
Nella mattinata di mercoledì si è fatta sentire la voce dei colleghi contrari all’espulsione. Prima Cristian Iannuzzi: «non ravvedo la violazione grave del regolamento, c’era troppa fretta da parte di qualcuno e poca possibilità di chiarire le ragioni». Poi Lorenzo Battista: «Ma dov’è l’articolo 21 della Costituzione?». A ruota pure Alessandra Bencini, che in riunione aveva fatto scudo su Gambaro. Nel frattempo il deputato Walter Rizzetto pubblica su Facebook la parabola del Figliol prodigo.
Il voto sulla Gambaro è nodo cruciale per gli assetti del Movimento a Palazzo. Un vaso di Pandora che custodisce l’esasperazione dei malpancisti e la linea dura dei pretoriani decisi ad archiviare l’affare dissidenze. Con la base che comincia ad accusare i primi colpi. Beppe Grillo se n’è accorto e nel pomeriggio di mercoledì decide di telefonare ai parlamentari dissidenti, primo tra tutti il siciliano Tommaso Currò. Con lui un colloquio di diversi minuti per ragionare del terremoto interno e del proliferare di voci da tenere in considerazione. «È un buon segno che ci siamo sentiti – smorza il deputato – io non voglio spaccare niente e tengo all’unità del M5s, dobbiamo andare avanti uniti per il bene di questo paese».
La svolta diplomatica di Grillo mira alla ricerca di una piattaforma per la mediazione con i malpancisti onde evitare un’agonia che potrebbe protrarsi a lungo e sfuggire di mano allo Staff. Non a caso la telefonata del leader giunge nel momento in cui sta per infiammarsi un nuovo caso, quello di Paola Pinna, citata dallo stesso Currò che poco prima aveva affidato a La Stampa il suo malcontento: «Paola è diventata il nuovo bersaglio su cui sfogare le loro pulsioni medievali». Rea di aver rilasciato interviste con dichiarazioni critiche sulla linea del M5s, la deputata sarda è finita nella lista di proscrizione e su di lei pende la richiesta di espulsione partita dal collega Andrea Colletti.
Quella di Pinna è l’ennesima bomba che può sconquassare gli equilibri già minati dall’addio della Gambaro. Anche per tale ragione Grillo ha deciso di fare un passo verso i malpancisti che, dopo i contatti delle ultime ore, potrebbero assumere un diverso potere contrattuale in seno alla dialettica interna. Se non bastasse, a breve è previsto il restitution day con deputati e senatori che dovranno rendicontare spese e diarie per poi versare parte dei propri emolumenti nel fondo comune. Sui soldi i fedelissimi non vogliono abbassare la guardia perchè, sussurrano, è verosimile che si consumino nuovi strappi. Nel mezzo infuria la battaglia parlamentare con l’ostruzionismo in Aula sul ddl emergenze e mille fronti aperti. Ora più che mai le truppe vanno ricompattate, altrimenti la guerra è persa in partenza.
Twitter: @MarcoFattorini