Lo sappiamo da molto tempo, le grandi compagnie possono controllare ogni nostra mossa digitale e sfruttare commercialmente ogni nostra interazione sul web. I nostri movimenti sono tracciati attraverso le nostre carte di credito, Gmail e i caselli autostradali, e non sembra che ce ne sia mai importato molto.
Almeno fino alle notizie di questa settimana che hanno rivelato le azioni di controllo del governo, con l’aiuto di quelle stesse grandi compagnie – Verizon, Facebook e Google, tra gli altri. Per la prima volta, l’America sta realizzando cosa tutte queste informazioni – conosciute come “big data” – consentono al governo e alle corporation di fare.
Che abbia bisogno di una richiesta di comparizione o di un mandato, se il governo vuole veramente identificare la tua posizione fisica, con quali amici parli, o cosa hai acquistato di recente, i dati che gli servono sono tutti a sua disposizione. Un’interpretazione libera del Patriot Act da parte della Nsa (National security agency) fa intendere che le agenzie governative applicheranno la legge nel modo più aggressivo possibile, se questo è necessario, per raggiungere i loro obiettivi.
Ci stiamo improvvisamente domandando: la crescita dell’enorme sistema di dati che permette questa sorveglianza può essere fermata o quantomeno controllata? È possibile tornare indietro nel tempo?
Gli esperti di tecnologia vedono la crescita dei big data come un’inevitabile avanzata della storia, impossibile da impedire o da alterare. Il recente libro di Viktor Mayer-Schönberger e Kenneth Cukier, Big Data, è emblematico sull’argomento: dice che in un futuro non troppo lontano dovremo fare i conti con le conseguenze di questo cambiamento, ma che non è mai stato considerato in modo approfondito il ruolo che noi giochiamo nel creare e supportare queste stesse tecnologie.
Larry Page giusto la settimana scorsa ha minimizzato le perplessità sollevate dal lancio dei Google Glass – degli occhiali che possono effettuare identificazioni facciali o scattare fotografie silenziose a chiunque si trovi nei paraggi – come prevedibile che facesse. «Ovviamente, ci sono macchine fotografiche ovunque» ha detto Page nell’incontro con i suoi shareholder, suggerendo che «da quando esiste la macchina fotografica degli iPhone, il passaggio successivo e inevitabile è una tecnologia che permetta scatti silenziosi.
Ma i sostenitori della tecnologia hanno dimenticato che in quanto componenti della società, siamo noi stessi a determinare il nostro stesso destino e siamo noi a imporre i nostri stessi standard, norme e politiche. Parlare di progressi tecnologici come se fossero i risultati di una scienza preordinata e ignorare il ruolo dell’autonomia umana e il processo decisionale coinvolto nella definizione del nostro stesso destino. I big data non sono un Leviatano con cui dobbiamo fare i conti, ma uno sviluppo tecnologico che noi abbiamo reso possibile e supportato con le nostre scelte sociali e politiche.
Sfortunatamente, questo approccio teleologico alla tecnologia non è un fenomeno recente. L’esempio più evidente è la legge della Silicon Valley, una legge sociologica pseudo-scientifica che risale a un paper del 1965, chiamata anche “legge” di Moore. Secondo il suo autore Gordon Moore, co-fondatore di Intel, il numero di persone che transitano su circuiti integrati raddoppia all’incirca ogni 18 mesi. O ogni due anni? Moore ha corretto le sue predizioni iniziali del 1975, affermando che le transizioni raddoppiano ogni due anni. O in un periodo ancora più lungo? In un aggiornamento della legge del 2010, ha predetto che le interazioni inizieranno a diminuire a partire dalla fine del 2013.
Tra gli accademici, c’è un consenso abbastanza diffuso nel pensare che “legge” sia una denominazione impropria, poiché non è chiaro se gli avanzamenti siano trainati dall’economia, dalle corporation, o da qualche altro fattore. Per sostenere che quella crescita è trainata dalla natura della tecnologia stessa bisognerebbe ignorare lo sfondo economico, sociale e politico nel quale l’innovazione si sviluppa. Craig Barrett, l’ex-amministratore generale di Intel, ha detto in un discorso all’inizio di quest’anno che la legge di Moore è stata più un piano strategico per Intel che una legge scientifica.
Le “leggi” della Silicon Valley non sono, infatti, delle vere e proprie leggi ma delle svolte di pensiero che noi stessi rendiamo possibili. L’Europa è nel mezzo di un dibattito per definire il suo approccio alla questione della privacy e sta considerando si introdurre il “diritto ad essere dimenticati”. La tecnologia può continuare a crescere e diventare sempre più complessa, ma quella necessità non preclude un dibattito – e una potenziale quadro legislativo – su come può e dovrebbe essere usata.
La crisi della sicurezza e della privacy che è scoppiata nelle scorse settimane è un’occasione perfetta per domandarci quali politiche pubbliche dovremmo adottare non solo per limitare l’abilità del governo a raccogliere dati, ma soprattutto per limitare l’abilità dei sistemi tecnologici di immagazzinare ed elaborare questi dati.
Non siamo costretti a vivere in una società dove le foto possono essere scattate in modo impercettibile da un paio di occhiali o dove le conversazioni possono essere intercettate da sconosciuti dalla stanza di fianco. Non siamo obbligati a vivere in un mondo dove il governo o satelliti in orbita per uso commerciale sono in grado di sbirciare nelle nostre case in qualsiasi momento senza un mandato. E ci sono altri ipotetici avanzamenti tecnologici, ma per quanto tempo ancora?
*originariamente pubblicato su Newrepublic, l’11 giugno 2013