Cinquant’anni fa, il 26 giugno 1963, il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy in visita ufficiale in Germania dell’Ovest tenne dal balcone del Rathaus Schöneberg, il municipio del distretto di Schöneberg, allora sede dell’amministrazione comunale dell’intera Berlino Ovest, il famosissimo discorso: «Ich bin ein Berliner».
Il discorso, passato alla storia uno dei migliori della sua carriera, fu un momento topico della guerra fredda. Si trattò di un grande incoraggiamento morale per gli abitanti di Berlino ovest, 22 mesi dopo che la Germania dell’Est, supportata dall’Unione Sovietica, fece erigere il Muro di Berlino per impedire una migrazione di massa da est verso ovest.
“Sono fiero di trovarmi in questa città come ospite del vostro illustre sindaco, che ha simboleggiato nel mondo lo spirito combattivo di Berlino Ovest. E sono fiero di visitare la Repubblica federale con il vostro illustre cancelliere, che da tanti anni impegna la Germania per la democrazia, la libertà e il progresso, e di trovarmi qui in compagnia del mio compatriota generale Clay, che è stato in questa città nei grandi momenti di crisi che essa ha attraversato, e vi ritornerà, se mai ve ne sarà bisogno.
Duemila anni fa, il vanto più grande era questo: Civis romanus sum. Oggi,
nel mondo della libertà, il maggior vanto è poter dire: Ich bin ein Berliner.C’è molta gente al mondo che realmente non comprende – o dice di non comprendere – quale sia il gran problema che divide il mondo libero dal mondo
comunista. Vengano a Berlino.Ci sono taluni i quali dicono che il comunismo rappresenta l’ondata del futuro. Che vengano a Berlino.
E ci sono poi alcuni che dicono, in Europa e altrove, che si potrebbe lavorare con i comunisti. E vengano anche questi a Berlino.
E ci sono persino alcuni pochi, i quali dicono che è vero, sì, che il comunismo è un cattivo sistema, ma che esso consente di realizzare il progresso economico. Lass sie nach Berlin kommen.
La libertà ha molte difficoltà, e la democrazia non è perfetta; ma noi abbiamo mai dovuto erigere un muro per chiudervi dentro la nostra gente e impedirle di lasciarci. Desidero dire a nome dei mie concittadini, che vivono molte miglia lontano, al di là dell’Atlantico -e sono remoti da voi – che per loro è motivo di massima fierezza il fatto di avere potuto condividere con voi, sia pure a distanza, la storia degli ultimi diciotto anni. Non so di alcuna città che, contesa per diciot-to anni, conservi ancora la vitalità, la forza, la speranza e la risolutezza della città di Berlino Ovest.
Sebbene il muro rappresenti la più ovvia e lampante dimostrazione degli insuccessi del sistema comunista dinanzi agli occhi del mondo intero, non ne possiamo trarre soddisfazione. Esso rappresenta infatti, come ha detto il vostro sindaco, un’offesa non solo alla storia, ma un’offesa all’umanità, perché divide le famiglie, divide i mariti dalle mogli e i fratelli dalle sorelle, e divide gli uni dagli altri i cittadini che vorrebbero vivere insieme.
Ciò che vale per questa città, vale per la Germania. Una pace veramente durevole in Europa non potrà essere assicurata fino a quando a un tedesco su quattro si negherà il diritto elementare di uomo libero, e cioè quello della libera scelta. In diciotto anni di pace e di buona fede, questa generazione tedesca si è guadagnata il diritto di essere libera e con esso il diritto di unire le famiglie e la nazione in pace durevole e in buona volontà verso tutti i popoli.
Voi vivete in un’isola fortificata della libertà; ma la vostra vita è parte della vita del mondo libero. Vorrei quindi chiedervi, concludendo, di levare il vostro sguardo al di là dei pericoli di oggi e verso la speranza di domani, al di là della semplice libertà di questa città di Berlino o della vostra patria tedesca e verso il progresso della libertà dovunque, al di là del muro e verso il giorno della pace con giustizia, al di là di voi stessi e di noi, verso l’umanità tutta.
La libertà è indivisibile, e quando un uomo è in schiavitù, nessun altro è libero. Quando tutti saranno liberi, allora potremo guardare al giorno in cui questa città sarà riunita – e così questo Paese e questo grande continente europeo -in un mondo pacifico e ricco di speranza. Quando questo giorno infine verrà – e verrà –la popolazione di Berlino Ovest potrà avere motivo di misurata soddisfazione per il fatto di essersi trovata sulla linea del fronte per quasi due decenni.
Tutti gli uomini liberi, ovunque si trovino, sono cittadini di Berlino. Come uomo libero, quindi, mi vanto di dire: Ich bin ein Berliner.”
Il messaggio di sfida era diretto sia ai sovietici che agli abitanti di Berlino, ed era una chiara dichiarazione della politica statunitense in risposta alla costruzione del muro di Berlino. Tuttavia Kennedy fu criticato per aver fatto un discorso che riconosceva lo status quo di Berlino nella realtà in cui era. Ufficialmente lo status di Berlino in quel momento era di occupazione comune delle quattro potenze alleate, ciascuna con un proprio territorio di competenza. Fino a quel momento gli Stati Uniti avevano riconosciuto quello status. Il discorso di Kennedy segnò il momento in cui gli Stati Uniti riconobbero ufficialmente che Berlino Est faceva parte del blocco sovietico insieme al resto della Germania Est.
Ci sono dei luoghi commemorativi a Berlino, come la scuola Tedesca-Americana John F. Kennedy, l’Istituto John F. Kennedy per gli studi sul Nord America e la Freie Universität di Berlino. Nell’immagine si può vedere l’scrizione commemorativa del discorso di Kennedy posta a fianco dell’ingresso anteriore del Rathaus Schöneberg.