Immigrati: la burocrazia che nega la cittadinanza

Il caso di un portiere cingalese

Mentre si parla di ius soli e cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia, c’è chi dovrebbe avercela già la cittadinanza, avendo maturato tutti i requisiti, ma non riesce a ottenerla. Il motivo: la matassa inestricabile della macchina burocratica, che nemmeno il superdirettore megagalattico fantozziano riuscirebbe a districare. Ma qui purtroppo non siamo in un film e quelli agli sportelli sono immigrati in carne e ossa, che nell’attesa spesso sono costretti a rinunciare a posti di lavoro appetibili o concorsi pubblici. Quella che segue è una storia vera.

Succede che un signore qualsiasi telefoni agli uffici della prefettura di una grande città del Nord, chiedendo che fine avesse fatto il decreto ministeriale per la concessione della cittadinanza italiana che il portiere cingalese del suo palazzo aspetta ormai da anni (qui i requisiti su come ottenere la cittadinanza). Prima di andare avanti con la storia, bisognare precisare che le norme prevedono che il procedimento amministrativo si completi in due anni dalla domanda, con la presentazione dei documenti e la verifica che il richiedente “non sia pericoloso per la sicurezza nazionale”. Nel nostro caso, anziché due, di anni ne sono passati cinque.

L’utente telefona e dall’altra parte si sente rispondere: «Mi spiace, non so cosa dirle, non ho la più pallida idea in quanto tempo il signor x riuscirà ad avere il decreto. Non ce ne occupiamo più noi, abbiamo passato le pratiche al Comune perché non eravamo più in grado di gestire la cosa, ma non so a quale ufficio». E quando l’utente indignato insiste, facendo notare che appare quantomeno assurdo che da un ufficio governativo non abbiano alcuna informazione, il funzionario precisa che ha alzato la cornetta «solo per pura cortesia, anche se sono le 12.31 e dalle 12.30 non sono in dovere di rispondere». E ripete più volte che «se insiste ancora, approfittando della mia cortesia, butto giù il telefono». Detto, fatto. All’improvviso dall’altra parte del telefono non parla più nessuno. Con buona pace per la gentilezza. 

Il signore qualsiasi incassa il colpo, avvia il computer e invia un’email alla prefettura, incluso il vice prefetto (perché il prefetto in questo momento manca): «…Questo sarebbe l’ufficio territoriale del Governo italiano in una città importante come ——? È uno scandalo del quale chi amministra questo ufficio o anche solo alcune delle sue funzioni dovrebbe vergognarsi. Vergognarsi per l’immagine che diamo agli stranieri che lavorano da noi, vergognarsi per il servizio che diamo al cittadino, vergognarsi per le modalità della comunicazione. Domani mattina scrivo al Corriere della sera e a La Repubblica per lamentare questa intollerabile indecenza».

Davanti al rischio di finire sui giornali del giorno dopo, la dirigenza dell’ente si attiva immediatamente, richiamando all’ordine il “gentile funzionario”. E uno dei più alti in carica si affretta a rispondere all’email. La risposta è ancora più scoraggiante della telefonata e la dice lunga sulla condizione della pubblica amministrazione:

“Rispondo alla sua mail che ho letto pochi minuti fa. Come responsabile degli uffici amministrativi della prefettura provo molta amarezza per quanto è successo e anche un po’ di vergogna. lei ha ragione e la prego di voler accettare le mie scuse per il comportamento di un dipendente … non potendolo licenziare in tronco (nel pubblico impiego non è possibile) nei prossimi giorni il dipendente sarà destinato ad altre mansioni. so bene che ciò non eviterà altri disagi ad altri cittadini perché si tratta di persona che ha fatto tre volte il giro di tutti gli uffici della prefettura. non è l’unico purtroppo, gli uffici pubblici sono zeppi di personale inadeguato, inidoneo … eppure ce li dobbiamo tenere e dobbiamo pure stare attenti a come li trattiamo perché possiamo trovarci da un giorno all’altro sotto processo per comportamento antisindacale. lavorare in un ufficio pubblico ormai è diventata un’avventura… la saluto con ogni cordialità e ancora tante scuse”.

È inutile dire che a distanza di qualche giorno il portiere cingalese, dopo tre anni di attese e telefonate, ha “magicamente” ottenuto l’appuntamento per il ritiro del decreto ministeriale con la concessione della cittadinanza. Ma quante migliaia di persone ci sono nella sua stessa condizione? E quanti di loro sono costretti a subire le disfunzioni della pubblica amministrazione italiana senza un condomino solerte che prenda a cuore la loro causa?

La prefettura di cui parliamo ha accumulato un ritardo di tre anni nella gestione delle pratiche legate alla concessione della cittadinanza italiana. Ma visto che «gli uffici pubblici sono zeppi di personale inadeguato, inidoneo», chissà quanto altro ritardo sarà accumulato. E quanti altri che avrebbero titolo a essere già considerati cittadini italiani non saranno ancora riconosciuti tali.

Twitter: @lidiabaratta
 

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