La destra è finita? Consigli per una rinascita politica

Forum con Campi, Lottieri e Buttafuoco

Dopo la debacle alle ultime elezioni, il vuoto del centrodestra in Italia provoca interrogativi. Non è semplice comprenderne le cause, individuare le possibili soluzioni, immaginare una via per il futuro e rifondare un’area politica smarrita. 

Al momento appare ancora ancorato alla figura di Silvio Berlusconi, forte ma sempre meno vincente. E non riesce a presentare nuovi leader o nuove forme per ritornare maggioranza nel Paese, soprattutto al nord. Dova ha sbagliato? E da cosa ripartire? 

Linkiesta ha sottoposto la questione a tre anime della destra italiana: due professori e un giornalista. Alle tre domande del forum hanno risposto Alessandro Campi, docente di Storia del pensiero politico all’Università di Perugia; Carlo Lottieri, filosofo liberale e fondatore del centro studi Istituto Bruno Leoni; il giornalista del Foglio Pietrangelo Buttafuoco.

L’analisi è pessimista, ma le soluzioni ci sono: nuovi valori e nuove battaglie. Dalla ricerca del leader a una destra nuova, europea e plurale.

Alessandro Campi

Carlo Lottieri

Pietrangelo Buttafuoco

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Alessandro Campi: “Creare una destra europea è difficile, forse impossibile”

Tutte le elezioni del 2013 sono state una batosta per il centrodestra italiano: anche il consenso per Silvio Berlusconi è in calo. Quali sono le ragioni di una crisi così grave (che sembra anche richiedere molto tempo per risolversi)?
Il paradosso è che, a dispetto dei numeri, la destra è convinta di aver conseguito un grande risultato politico, per il solo fatto di aver costretto la sinistra ad un esecutivo di coalizione. In realtà il calo di consensi è stato talmente vistoso da non poter essere camuffato dietro una formula di governo che si vorrebbe nato nel segno della responsabilità e dell’interesse generale. In questo arretramento hanno pesato, più che il discredito d’immagine del Cavaliere e i suoi interminabili processi, le cattive prove che egli ha dato quando ha guidato il governo, il venir meno di un progetto politico riconosciuto e credibile, il fatto che Berlusconi e il suo gruppo dirigente, un tempo campioni dell’antipolitica, abbiano finito per essere considerati anch’essi come parte integrante dell’establishment dagli italiani arrabbiati per via della crisi economica.

Cosa può fare la destra in Italia senza Silvio Berlusconi? Se la leadership è componente essenziale nella politica di oggi, sostituire il Cavaliere sarà, nel migliore dei casi, un compito difficilissimo. Alfano, ad esempio, non è stato all’altezza. Quali altre strade possono intraprendere?
Al momento niente, dipende totalmente dal Cavaliere, anche dal punto di vista delle risorse finanziarie. C’è solo da sperare che nel Pdl si mettano in moto, prima o poi, dinamiche competitive che permettano l’emergere di una leadership alternativa a quella dominante da un ventennio. Ma sembra davvero un’ipotesi remota, se si guarda a che fine hanno fatto – cacciati o emarginati o costretti ad andarsene – tutti coloro che nel corso degli anni hanno assunto atteggiamenti critici o concorrenziali nei confronti di Berlusconi: da Casini a Tremonti, da Follini a Fini. L’idea di Berlusconi, che considera il centrodestra una sua proprietà, è di scegliere lui chi dovrà prenderne il posto. L’unica certezza è che non si tratterà di Alfano.

Quali sono le componenti ideologico-politiche che non possono venire dimenticate da una nuova destra? Quali battaglie e valori mettere in risalto per diventare una destra europea?
Legalità, senso dello Stato e dell’ordine, attaccamento ai valori sociali tradizionali, laicità delle istituzioni pur nel rispetto dei principi religiosi, un moderato patriottismo, inteclassismo, difesa del libero mercato ma in una prospettiva solidale, difesa del merito individuale ma in una cornice comunitaria sono componenti che si ritrovano in quasi tutte le destre democratiche europee, diversamente declinate. E sono la base sulla quale dovrebbe costituirsi un’ipotetica nuova destra italiana. Ma è un lavoro lungo e difficile, probabilmente destinato al fallimento, come dimostra l’esperienza di Fini, dal momento che per vent’anni la destra in questo Paese è stata la sommatoria di tutt’altre tendenze: il patrimonialismo berlusconiano, il territorialismo a sfondo etnico della Lega e un partito come An che non si è mai realmente evoluto, a livello di classe dirigente, dal suo passato missino e nostalgico.  

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Carlo Lottieri: “Dalla destra berlusconiana si andrà alle destre locali”

Tutte le elezioni del 2013 sono state una batosta per la destra italiana: anche il consenso per Silvio Berlusconi sta diminuendo. Quali sono le ragioni di una crisi così grave (che sembra anche richiedere molto tempo per risolversi)?
Credo che la ragione fondamentale sia il disastro economico e sociale dell’ultimo ventennio, durante il quale Berlusconi, Bossi, Fini, Tremonti e gli altri protagonisti del centro-destra hanno spesso avuto posizioni di rilievo. Una società in ginocchio non può che esprimere una tremenda disillusione.

Non penso affatto che la destra italiana abbia fallito perché ha tradito le attese di quanti speravano in una “rivoluzione liberale”. La maggior parte degli elettori è avversa alla sinistra, ma tutt’altro che favorevole al mercato. È però vero che la ricerca costante del consenso ha indotto a fare politiche di breve periodo (benefici immediati e costi posticipati) e ora ci troviamo in una situazione tragica: con il sistema delle imprese private che è vicino al collasso, mentre il debito pubblico e il debito pensionistico spingono molti giovani ad andarsene all’estero, per evitare di essere vampirizzati dalle esigenze dei conti di Stato.

Cosa può fare la destra in Italia senza Silvio Berlusconi? Se la leadership è componente essenziale nella politica di oggi, sostituire il Cavaliere sarà, nel migliore dei casi, un compito difficilissimo. Alfano, ad esempio, non è stato all’altezza. Quali altre strade possono intraprendere?
Onestamente, non credo – ma questo vale per la destra come per la sinistra – che vi sia più la possibilità d’interpretare una leadership unitaria: d’individuare qualcuno che possa piacere a Milano e a Palermo. Al contrario, penso che le enormi difficoltà di questa destra e in particolare lo stato comatoso della Lega possano aprire la strada – specie in Lombardia o in Veneto – a un protagonismo politico locale, volto ad affermare l’autogoverno dei territori e a porre fine alla redistribuzione delle risorse. I circa 100 miliardi di residuo fiscale – la ricchezza prodotta al Nord e non spesa in servizi locali o nazionali che riguardano l’area settentrionale – rappresentano un’occasione politica troppo ghiotta perché non vi sia qualcuno che l’interpreti. Non avremo quindi una destra, ma almeno due: una volta a rivendicare la fine dei trasferimenti e l’altra schierata a difesa dello status quo.
C’è poi un altro fatto. Se una cosa Berlusconi aveva certamente capito, è che l’età dei partiti è finita. Oggi il gioco politico sta trovando altri luoghi e altri attori, e quindi le nuove leadership non possono uscire dalle Frattocchie di un tempo o dalle federazioni giovanili. I nuovi protagonisti potrebbero essere figure pubbliche capaci di convertire in credibilità politica la loro immagine.

Quali sono le componenti ideologico-politiche che non possono venire dimenticate da una nuova destra? Quali battaglie e valori mettere in risalto per diventare una destra europea?
Dire “destra” vuol dire tante cose diverse. Da noi, in particolare, la destra è spesso associata a orientamenti anti-liberali: dal fascismo al giacobinismo nazionalista, dalla tecnocrazia alla difesa di posizioni acquisite (anche parassitarie). E nel resto d’Europa molte destre non sono differenti da quella italiana: penso al variegato mondo politico gollista, conservatore e sciovinista che esiste in Francia.
Altra cosa è il mondo di lingua inglese. Per crescere e per dare un valido contributo all’evoluzione della nostra società, l’area di centro-destra dovrebbe allora farsi più aperta al mercato, avversando le tasse ma anche la spesa, interpretando la crisi dello Stato nazionale e mettendo in discussione i tabù dello statalismo. Un leader conservatore come David Cameron, ad esempio, ha accolto la richiesta di un referendum sull’indipendenza della Scozia: e nel settembre del 2014 gli scozzesi potranno scegliere –pacificamente, con un semplice voto – se restare nel Regno Unito oppure no.
C’è poi l’esigenza di colpire la spesa, iniziando a mettere in discussione la posizione di quanti lavorano nel settore pubblico. A Londra si sta iniziando a farlo, mentre da noi tutto è fermo.
Il protagonista di una destra innovativa e capace di stupire dovrebbe dunque fare una scelta di campo: sposando le ragioni delle vittime dell’azione pubblica (i tartassati che danno senza ricevere) e avversando gli interessi dei vincenti (i beneficiari dell’azione governativa). Al momento attuale mi pare comunque improbabile che questo avvenga. Nulla si vede all’orizzonte e non esiste ancora un serio candidato alla rottamazione di questo mondo.

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Pietrangelo Buttafuoco: “Il futuro della desta? Il senso del Sacro”

Tutte le elezioni del 2013 sono state una batosta per la destra italiana: anche il consenso per Silvio Berlusconi è in calo. Quali sono le ragioni di una crisi così grave (che sembra anche richiedere molto tempo per risolversi)?
In verità devo dire che, in sé, l’argomento mi annoia moltissimo. Parafrasando Woody Allen, la destra è morta e nemmeno Berlusconi si sente tanto bene. In ogni caso, le ragioni di questo declino sono assai chiare e si possono riassumere così: la destra ha mostrato grande inadeguatezza nella sua classe dirigente a far fronte alla realtà. Non l’ha capita. E Berlusconi, invece, che ha governato per vent’anni, non ha saputo costruire qualcosa di duraturo.

Cosa può fare la destra in Italia senza Silvio Berlusconi? Se la leadership è componente essenziale nella politica di oggi, sostituire il Cavaliere sarà, nel migliore dei casi, un compito difficilissimo. Alfano, ad esempio, non è stato all’altezza. Quali altre strade possono intraprendere?
Non ne ho idea, non è nemmeno questo un problema che mi pongo. Non sono bravo in democrazia, questi sono problemi che non riesco a decifrare. Il compito della destra, però, è di essere contemporanei, di capire il presente e la realtà. E soprattutto devono dare sovranità politica all’Italia, una cosa ormai assente e forse perduta.

Quali sono le componenti ideologico-politiche che non possono venire dimenticate da una nuova destra? Quali battaglie e valori mettere in risalto per diventare una destra europea?
Siamo in un periodo storico particolare: la fine di un impero in cui tutto è livellato, si tende verso il basso, non c’è spazio per la spiritualità. Ecco, secondo me dovrebbe fondarsi per il futuro su valori spirituali alti, metafisici, ultraterreni. In una parola, il Sacro. Il problema è che la cosa non appassionerà la destra, ma è l’unica che può portare avanti.

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