La televisione è un diritto inalienabile dell’uomo? Se lo chiede ironicamente The Atlantic, magazine statunitense che racconta la storia di Vano Merabishvili, ex primo ministro georgiano (ed ex star televisiva) rinchiuso da un mese nel carcere di Tbilisi per abuso d’ufficio. Membro dell’inner circle dell’ex presidente Mikheil Saakashvili, Merabishvili ha deciso di fare uno sciopero della fame. Motivo? Niente a che vedere con la condizione dei detenuti o l’infondatezza delle accuse nei suoi confronti, che sembrano di natura politica. No, la vera ragione è che le sue richieste di avere una televisione in cella sono rimaste inevase. I secondini raccontano che dallo scorso 19 giugno l’ex falco dello United National Movement di Saakashvili avrebbe però ricominciato ad alimentarsi dopo aver ricevuto ampie rassicurazioni. E Sozar Subari, ministro con delega alla gestione delle prigioni di Stato avrebbe garantito che un apparecchio sarà installato nei prossimi giorni, sottolineando però che «Può informarsi ugualmente». Il carcere di Tbilisi non ha televisioni, e il ministro della giustizia Tea Tsulukiani ha suggerito di farla avere al detenuto come “incoraggiamento” alla buona condotta.
La questione non è peregrina come sembra. Le linee guida delle Nazioni Unite prevedono che i detenuti abbiano accesso a libri, giornali, riviste e trasmissioni radiofoniche, ma non fanno riferimento alla televisione, essendo state scritte nel 1955. La Corte europea per i diritti dell’uomo considera invece l’accesso alla televisione un diritto dei cittadini comunitari. Nel 2011 l’organo con sede a Strasburgo ha stabilito, ad esempio, che le parabole per le trasmissioni satellitari sono essenziali agli immigrati che vogliono seguire gli appuntamenti religiosi dei rispettivi Paesi di provenienza.
Non è la prima protesta stramba da parte di un detenuto. In Australia nel 2011 un serial killer chiese tramite una petizione il diritto di poter giocare alla Playstation, mentre Anders Breivik, l’autore della strage di Utoya, in Norvegia, scrisse una lettera di 27 pagine lamentandosi del caffè freddo e dell’assenza di crema idratante. In Germania, invece, i detenuti sono riusciti clamorosamente a ottenere il diritto di bere birra.