La crisi del Pd con il proprio elettorato è ormai acclarata. Alle ultime elezioni politiche è sfuggito anche il voto di quell’elettorato cui la sinistra storicamente si rivolge. Eppure non era difficile cogliere il senso di sfiducia trasversale verso le istituzioni, in particolare verso i partiti politici. Già in occasione delle amministrative del 2011 (Milano, Napoli, Cagliari) i candidati risultati vincenti non furono quelli indicati dal Pd. Segnali chiari, ma si è scelto di non andare lontano.
In questi giorni sono molti a stracciarsi le vesti per ricostruire il Pd. Sì, ma per chi? A chi si rivolgerà questa volta? O almeno, con chi cercherà di parlare? Forse è arrivato il momento di ragionarci su, prima che il Congresso, ormai alle porte, travolga tutti con la solita solfa del tesseramento.
Da una ricerca condotta da Ipsos sul Corsera, è emerso che il Pd è stato votato dal 37% dei pensionati e dal 25% degli impiegati pubblici. Seguono i professionisti (23%), gli studenti (23%) e i lavoratori autonomi (15%). Solo il 20% degli operai e il 18% dei disoccupati ha scelto di votare per il Pd. Risultati ben lontani dalle aspettative del partito e da una campagna elettorale centrata sui temi del lavoro.
È sfuggita ai più una recente ricerca scientifica sull’analisi socio-economica in Gran Bretagna condotta dalla London School of Economics e dall’Università di Manchester, in collaborazione con la Cbs. Il risultato emerso è molto interessante: le classi sociali in Gran Bretagna non sarebbero più le tradizionali tre – upper, middle e working class – bensì sette: l’élite (6%), la classe media stabile (25%), la classe media tecnica (6%), i nuovi lavoratori benestanti (15%), i lavoratori tradizionali (14%), i lavoratori del terziario (19%) e i precari (15%).
Oltre agli indicatori standard, quali occupazione, reddito e istruzione, gli studiosi inglesi hanno preso in considerazione anche altre tre dimensioni: sociale, culturale ed economica. Le relazioni sociali, gli interessi culturali, le mete di vacanza, la propensione al risparmio e gli asset patrimoniali sono stati considerati, a tutti gli effetti, elementi rilevanti per rappresentare la società inglese di oggi.
Le classi con il profilo più interessante sono i lavoratori benestanti e i lavoratori del terziario. I primi sono socialmente e culturalmente attivi ma con un livello medio di ricchezza economica; i secondi sono i figli della storica “working class”, ormai frammentata dalla deindustrializzazione, dalla disoccupazione di massa, dall’immigrazione e dal passaggio dal manifatturiero all’occupazione nei servizi. Questi ultimi sono un nuovo gruppo urbano, relativamente povero, ma con interessi sociali e culturali molto alti. Questi dati smentiscono il pensiero comune che cultura e vita sociale siano legati ai successi economici. Parte di ciò può a giusta ragione essere considerata tra le spinte della nuova fase del Labour Party, lanciata ad ottobre scorso a Manchester da Ed Miliband nel suo “One Nation Party”.
Forse è questo l’esercizio, un “semplice” esercizio di analisi, che dovrebbe fare il Partito Democratico per capire la contemporaneità che ci circonda e ritrovare la sintonia con il proprio elettorato?
Noi ce l’auguriamo ma la strada è ancora lunga. Tenuto conto che, a differenza della Gran Bretagna, in Italia la mobilità sociale è notevolmente più limitata e il gap tra Nord e Sud aumenta. Che siamo un paese sempre più vecchio e povero, dove le disuguaglianze sociali ed economiche aumentano a scapito di giovani e donne.
*tratto da Qdr – Qualcosa di Riformista