Le gole profonde Usa dal Vietnam a Wikileaks e Prism

Storie degli “insider”

«Secondo me, nella storia degli Stati Uniti non ci sono mai state fughe di notizia più importanti di quelli diffuse da Edward Snowden – inclusi senz’ombra di dubbio i documenti del Pentagono di 40 anni fa». Così Daniel Ellsberg ha commentato sul “The Guradian” le azioni di Snowden, l’ex-analista della Nsa autore delle rivelazioni sul sistema “Prism” che sorveglia elettronicamente milioni di cittadini americani.

Edward Snowden, gola profonda del “Datagate”

Daniel Ellsberg non è un commentatore qualsiasi. È stato, infatti, una delle prime “talpe” di alto profilo della storia degli Stati Uniti. Nel 1971 cedette al New York Times un dossier di 7.000 pagine coperto dal segreto di Stato, chiamato Pentagon Papers, che conteneva le strategie del governo americano sulla guerra in Vietnam. La pubblicazione di estratti del documento sul quotidiano newyorkese sfociò in una controversia politica a livello nazionale. L’allora presidente Nixon chiese un’ingiunzione volta a bloccare le pubblicazioni dei contenuti del dossier. Nel frattempo anche il Washington Post iniziò a riportare i contenuti del documento. La vicenda finì sotto lo scrutinio della Corte Suprema (New York Times Co v. United States). La questione che la Corte fu chiamata a risolvere riguardava il bilanciamento tra la libertà di stampa, protetta dalla Costituzione attraverso il Primo emendamento, e necessità di proteggere le informazioni riservate dello stato, a tutela della sicurezza nazionale. Sei giudici su nove si espressero a favore della libertà di stampa.

Due giorni dopo la sentenza, Ellsberg, la cui identità fino allora era stata mantenuta segreta, si consegnò alle autorità distrettuali di Boston, confessando di essere lui la “talpa” dei Pentagon Papers. Venne così istruito un processo a suo carico con le accuse di spionaggio, furto e cospirazione, per una pena massima di 115 anni di detenzione. Il processo iniziò il 3 gennaio 1973 a Los Angeles, ma a causa di vizi procedurali da parte dell’accusa tutte le accuse caddero e Ellsberg venne assolto.

Daniel Ellsberg rilascia una dichiarazione davanti al dipartimento di giustizia

In quell’occasione le istituzioni statunitensi si dimostrarono impreparate ad affrontare una fuga di notizie di tale portata. Da allora molte cose sono cambiate. Negli ultimi anni, gli eventi dell’11 settembre, la «guerra al terrore» e il cyber-spionaggio da parte della Cina hanno innalzato la rilevanza della sicurezza nazionale al vertice dell’agenda politica delle ultime amministrazioni. Uno degli risultati di questo cambiamento di priorità è che l’atteggiamento del governo verso chi diffonde informazioni ufficiali riservate si è fatto sempre più aggressivo.

Già prima dello scoppio del “Datagate”, il Dipartimento di giustizia americano era finito al centro di polemiche per aver messo sotto controllo i telefoni dei giornalisti dell’Associated Press e del cronista di Fox News, James Rosen, mentre stavano investigando sui dei test nucleari della Corea del nord. Ma l’esempio più eclatante di questa tendenza è la condotta del governo americano nel “caso Wikileaks”, che ha coinvolto il soldato Usa Bradley Manning.

Manning è un soldato statunitense accusato di aver passato al sito Wikileaks migliaia di documenti riservati dell’esercito e del governo. È stato arrestato il 29 maggio 2010 e gli sono contestati 21 capi d’accusa, incluso quello di “collaborazione con il nemico”, che secondo l’articolo 104 del codice penale militare statunitense è punito con la pena di morte. In seguito all’arresto è stato detenuto nel carcere militare di Quantico, in Virginia, per undici mesi in condizione di isolamento per 23 ore al giorno, chiuso in una cella di 2 metri per 3 senza finestra. Sulla vicenda si è espresso nel marzo del 2012 il relatore speciale sulla tortura dell’Onu Juan Ernesto Mendez che ha giudicato il trattamento riservato a Manning «crudele, disumano e degradante». Mendez ha anche aggiunto che «imporre condizioni di detenzioni punitive su un individuo che non è stato condannato colpevole di nessun reato è una violazione del suo diritto di integrità fisica e psicologica nonché sulla sua presunzione di innocenza». A seguito delle pressioni internazionali scatenate dal rapporto di Mendez, Bradley Manning è stato trasferito nella base militare di Leavenworth nell’aprile 2012.

Bradley Manning nell’aprile 2013

Il processo Manning è iniziato il 3 giugno scorso ed è durato meno di tre mesi. Bradley Manning si è già dichiarato colpevole dei reati minori, per una pena massima di 20 anni. Washington ha già dichiarato che non chiederà la pena di morte, ma, se verrà condannato per il reato di  “collaborazione con il nemico”, Manning rischia comunque l’ergastolo. La richiesta dell’accusa è stata di 60 anni di pena detentiva, mentre se venisse considerato colpevole di tutti i reati che gli vengono contestati, Manning potrebbe ricevere una pena fino a 90 di carcere. Ad essere allarmanti sono anche le implicazioni giuridiche del processo. Laurence Tribe, professore di diritto costituzionale di Harvard ed ex consulente per il Dipartimento di giustizia durante il primo mandato Obama, ha dichiarato in un articolo del The Guardian che «accusare un individuo di un reato gravissimo come “collaborazione con il nemico” per il solo fatto di aver pubblicato informazioni segrete sul web, accusarlo di aver “consapevolmente dato informazioni di intelligence” a chiunque avesse accesso alla rete potrebbe aver ripercussioni negative sulla libertà di parola e rendere internet un ambiente a rischio». Sulla stessa linea è il commento dello stesso Ellsberg, «Obama vuole criminalizzare il giornalismo d’inchiesta riguardante la sicurezza nazionale».

Della stessa opinione è anche Glenn Greenwald, il giornalista del The Guardian che ha dato il via al “datagate”. In un articolo del 7 giugno, Greenwald si è scagliato contro Washington accusando il governo Usa di «attaccare e demonizzare le fonti dei giornalisti per distogliere l’attenzione dalle sue attività illecite» e di voler «demonizzare il messaggero, in modo che nessuno parli più del messaggio». Sempre nello stesso articolo il giornalista si dedica ad un’appassionata difesa delle “talpe”. Evidenzia come davanti alla tante prospettive lucrative che si aprono a chi ha accesso a dati top secret, queste persone hanno deciso di «sfidare il governo più potente della terra, […], pur sapendo che non otterranno alcun vantaggio dal loro gesto». Allora perché lo fanno? «Far conoscere ai cittadini statunitensi quello che il governo fa a loro insaputa. Lo hanno fatto per informare, per democratizzare, per chiamare chi ha il potere a rispondere delle proprie azioni».

Il vero punto è l’accountability democratica. Chi gestisce il potere ha l’obbligo di rendere conto ai cittadini del suo operato. Tutte e tre le “talpe” erano degli insiders che hanno avuto una crisi di coscienza – Ellsberg era un alto funzionario del governo, Manning un analista informatico dell’esercito e Snowden un analista per un’agenzia dell’intelligence. Tutti e tre sono venuti a conoscenza di informazioni riservate sull’operato del governo. Tutti e tre hanno deciso che i cittadini americani dovevano esserne informati. 
Ellsberg: «Sento che come cittadino Americano, e come cittadino responsabile, non posso può essere partecipe dell’occultamento di queste informazioni all’opinione pubblica americana»;
Manning: «Ero certo che se l’opinione pubblica, specialmente quella americana, avesse potuto vedere cosa stava succedendo sarebbe nato un dibattito sull’esercito e sulla nostra politica estera in generale»;
Snowden: «Il mio solo movente è informare l’opinione pubblica su quello che è stato fatto [dal governo] a loro nome e quello che è stato fatto contro di loro».

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