Le “superscuole” tecniche che sfornano occupati

Alternative all’università

Le aziende italiane hanno sempre lamentato l’assenza di scuole capaci di formare tecnici qualificati già pronti per lavorare. Ora queste scuole ci sono e hanno un nome: Istituti tecnici superiori (Its). Si tratta solo di capire quanto riescano davvero a connettere il mondo della formazione con quello del lavoro.

Gli Its sono scuole speciali di tecnologia di livello post secondario, alternative all’università, istituite nel 2008 e attive dal 2011, anno in cui è partito il primo biennio. Le gestiscono insieme soggetti pubblici (scuole superiori, università, istituzioni ed enti locali) e privati (aziende, agenzie di lavoro) nell’ambito di fondazioni di diritto privato a capitale misto. A oggi ce ne sono 62 su tutto il territorio nazionale e i percorsi formativi attivati sono 116. Le uniche regioni italiane in cui non sono presenti queste “superscuole” sono la Basilicata, il Trentino Alto Adige e la Valle d’Aosta.

Riscontri sull’occupazione generata dagli Its ancora non ci sono perché i ragazzi che hanno frequentato il primo ciclo sosterranno gli esami finali tra giugno e luglio. Il primo istituto a consegnare i “superdiplomi” sarà, il 3 giugno prossimo, l’Its agroalimentare e vitivinicolo di Conegliano Veneto, in provincia di Treviso.

Secondo il primo monitoraggio fatto dal Ministero dell’Istruzione, che arriva fino al 31 dicembre 2012, i frequentanti degli Its sono 2.421. Si tratta in prevalenza di giovanissimi (l’84% degli iscritti ha meno di 24 anni), maschi (79%) e in possesso di diploma. Ben 87 corsisti, pari al 4%, hanno invece in tasca una laurea: hanno preferito questa strada dopo aver verificato che il titolo di studio universitario non bastava loro per trovare un impiego.

Ciascun Its eroga formazione in una di queste sei aree: nuove tecnologie per il Made in Italy; efficienza energetica; mobilità sostenibile; nuove tecnologie della vita; tecnologie innovative per i beni culturali/turismo; tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’area più presidiata, con 28 fondazioni, è quella delle nuove tecnologie per il Made in Italy, anche perché al suo interno comprende diverse sotto aree (meccanica, moda, alimentare, casa, servizi alle imprese). Il maggior numero di corsi, 29 su 116, è però nell’ambito della mobilità sostenibile.

I percorsi sono di durata biennale (in alcuni casi triennale) e a numero chiuso: 25 corsisti in media, selezionati in base a titoli, attitudini e motivazioni. In ogni istituto possono essere attivati anche più corsi. La grossa novità rispetto alle altre scuole italiane è però la modalità di insegnamento, ispirata al “modello duale tedesco”: per fare in modo che i ragazzi imparino davvero un mestiere high skilled, è previsto che nelle 2.000 ore complessive di formazione, 1.000 vadano svolte in aula con almeno il 50% di insegnanti provenienti dal mondo del lavoro e le altre 1.000 siano di tirocinio in azienda.

«Oltre a quelli in Italia, in tutti gli Its c’è la possibilità di fare uno stage all’estero: Unioncamere ha finanziato 700 borse di studio per tirocini fuori confine», dice Elena Ugolini, ex sottosegretario all’Istruzione nel governo Monti che ha seguito da vicino gli sviluppi di queste scuole speciali.

Secondo Ugolini, i vantaggi degli Its sono molti, tant’è che sulla loro crescita hanno puntato esecutivi di orientamento politico diverso, da Prodi a Monti passando per Berlusconi: «piace il fatto che queste scuole prevedano un forte coinvolgimento delle realtà produttive e permettano di formare profili iperqualificati tagliati in base alle esigenze delle aziende. Non a caso, nella legge di stabilità è stato previsto un fondo per gli Its di 13,5 milioni di euro, che a regime saranno erogati agli istituti che rispettano gli standard indicati a livello nazionale e raggiungono i risultati attesi».

In parole povere, le risorse saranno destinate alle fondazioni che riescono a rendere più fluido possibile il collegamento tra scuola e lavoro. Certo, negli Its il legame tra questi due mondi è già piuttosto saldo in partenza perché le imprese rappresentano il 45,3% dei soci partecipanti alle fondazioni, progettano insieme ai dirigenti delle scuole i percorsi di formazione e forniscono laboratori tecnologici, strumenti e una buona parte dei 2.441 docenti, il 35%. Gli altri insegnanti provengono invece dagli istituti tecnici secondari (che spesso sono anche le sedi degli Its), dal mondo accademico, dalle libere professioni e dalle agenzie formative.

La maggior parte dei soggetti coinvolti dagli Its non ha a che fare con le fondazioni, a dimostrazione che il network creato dalle superscuole va ben oltre i soci. L’83% delle imprese che ospitano i ragazzi in stage non fa infatti parte dei partenariati. I numeri per fare bene ci sono ma la sfida non può considerarsi vinta finché non si avrà la prova che queste scuole tecniche di eccellenza costituiscono un canale privilegiato per trovare lavoro.

«Le prospettive occupazionali – continua Elena Ugolini – sono ampie. Da una parte il sistema delle aziende ha sempre bisogno di lavoratori specializzati e quindi è molto probabile che tenda a considerare queste scuole un serbatoio per reperire personale. Dall’altra, favorendo l’innovazione tecnologica, gli Its possono essere di stimolo all’imprenditoria e spingere molti ragazzi a dare vita ad attività in proprio».

Ottimista sulle possibilità che i giovani usciti dagli Its vengano subito assunti è anche Francesco Mantovani, direttore formazione e sviluppo risorse umane di Finmeccanica, gruppo presente in sette fondazioni Its attraverso otto aziende del gruppo: «pur non essendoci un impegno formale di assunzione è evidente che questi ragazzi sono stati visti e seguiti e hanno imparato le competenze che servono alle imprese. Perciò, la possibilità che trovino un’adeguata collocazione in questo mondo è molto elevata».

Le aziende Finmeccanica che hanno investito in questo circuito, tra cui Agusta Westland, Ansaldo Breda e Ansaldo Sts, hanno fornito nel complesso aule, laboratori e 114 docenti. «Ma non ci sono soltanto compagnie del gruppo – aggiunge Mantovani –. Abbiamo fatto in modo di coinvolgere anche imprese della filiera, della cosiddetta supply chain».

Secondo il dirigente del gruppo pubblico, in questo modo l’Its può diventare un polo di riferimento per tutto il territorio. «All’istituto per i trasporti ferroviari di Maddaloni, in provincia di Caserta, è nata un’esperienza incoraggiante», racconta Mantovani. «Oltre alle società Finmeccanica, ovvero Ansaldo Breda e Ansaldo Sts, intorno alla scuola si sta addensando tutta la filiera delle aziende che operano su rotaia nel territorio. E in un contesto difficile come quello di Maddaloni, una spinta del genere rappresenta un motivo di speranza».

Chi invece è in grado persino di assicurare che alcune aziende assumano i neodiplomati è Giuseppe Nardiello, presidente dell’Its per le nuove tecnologie della vita di Bergamo: «ora gli allievi sono in stage presso imprese del Bergamasco attive nel settore della nutraceutica, la farmaceutica dedicata alla nutrizione. Ma posso garantire che a luglio, nel giorno della consegna dei diplomi, ci saranno alcuni ragazzi che riceveranno anche i loro primi contratti di lavoro».

Per gli altri studenti – sostiene il dirigente scolastico – sarà solo questione di tempo: «il profilo che formiamo in questa scuola ha il nome lungo (“tecnico superiore per la ricerca e lo sviluppo di prodotti e processi a base biotecnologica”, ndr) ma è richiesto. Prevedo che la maggior parte dei ragazzi troverà una sistemazione nei prossimi mesi. E non escludo che qualcuno tenti la strada dell’imprenditoria. Questo Its sta promuovendo infatti un incubatore di impresa per startup attive nelle bioscienze all’interno di una fabbrica ristrutturata ad Alzano Lombardo: la scuola si trasferirà lì, le imprese di questo distretto avranno un importante polo di riferimento per fare ricerca e i ragazzi che vorranno fondare nuove attività troveranno spazi, risorse e strumenti».

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