Pechino— 29 aprile: la China Southern Airlines annuncia l’acquisto di quattro nuovi Airbus A320 per il 2013, in un programma che si propone di incrementare la flotta di tre unità ogni anno. I nuovi aerei si aggiungono ai 21 Airbus già in servizio nell’hub di Dalian. 19 maggio: la China Eastern Airlines comunica di avere acquistato un nuovo Airbus A320. «In quanto primo e maggiore cliente di Airbus in Cina, China Eastern si augura che le nostre compagnie coopereranno a lungo termine» annuncia Shu Mingjiang, vice presidente dell’aviolinea. China Eastern è onorata di essere il primo acquirente in Cina di un A320 con sharklet [estensione dell’ala progettata per diminuire la resistenza dell’aria e risparmiare carburante, ndr]. Nel prossimo futuro, China Eastern amplierà ulteriormente la sua flotta di A320 dotati di sharklet».
Orgoglio della tecnologia europea. Sulla rotta (alla lettera) Tolosa-Pechino viaggia l’innovazione di cui la Cina è assetata e in senso contrario vola moneta sonante. Designed in Europe e Made in China: gli aerei sono infatti costruiti nella fabbrica Airbus di Tianjin, che ne ha già prodotti 126. Tutto merito del know-how di cui è ricca l’Europa? Forse. Anche. Ma è forte il sospetto che la ragion politica, nell’accezione di “politica industriale”, abbia giocato un notevole ruolo.
Nel marzo scorso, l’Unione Europea ha infatti deciso di rimandare l’approvazione di una regolamentazione sulle emissioni di gas serra da parte degli aerei di compagnie extraeuropee che operano nel Vecchio continente. Il rinvio era stato proposto al parlamento Ue nel novembre 2012. Le nuove norme avrebbero fatto parte del Emission Trading System (Ets) dell’Unione, il sistema pensato per ridurre le emissioni responsabili del global warming. Ai tempi, molti pensarono che ci fossero dietro le pressioni di Paesi extraeuropei le cui linee aeree non rispettano i limiti stabiliti da Bruxelles: Stati Uniti, Russia, India e Cina.
A breve arriverebbe la conferma. In una lettera giunta in possesso dell’agenzia Reuters, la dirigenza di Airbus avrebbe infatti gentilmente ricordato alla Cina la propria infaticabile azione di lobbying al parlamento europeo affinché l’approvazione della normativa anti-Co2 fosse congelata fino a data da destinarsi. Ed ecco che Pechino, che aveva precedentemente annullato una commessa di Airbus da undici milioni di dollari, potrebbe ora “ringraziare” il consorzio aeronautico europeo riconfermando gli acquisti. Di fatto, una prima rimozione del blocco all’acquisto di 45 Airbus A330 è avvenuta durante la visita del presidente francese Francois Hollande, nel mese di aprile.
Coincidenze? I condizionali sono d’obbligo. La lettera, nella quale secondo Reuters la dirigenza Airbus cita veri e propri “sforzi comuni” per limitare i danni che la nuova normativa avrebbe provocato alle compagnie aeree cinesi, non è stata infatti resa pubblica dall’agenzia. Nella missiva, il presidente del consorzio europeo, Fabrice Bregier, ricorderebbe a Li Jiaxiang, massimo responsabile dell’aviazione civile cinese, che il boicottaggio di Pechino metterebbe a rischio duemila posti di lavoro e che «da quando sono diventato presidente di Airbus, nel giugno 2012, ho fatto di questa vicenda una delle massime priorità per l’azienda». La compagnia, che ha declinato ogni commento sulla notizia riportata da Reuters, aveva comunque espresso il proprio apprezzamento per la decisione del parlamento europeo.
È una storia significativa per due motivi: da un lato, perché se fosse confermata darebbe una misura del potere delle lobby rispetto alle politiche dell’Unione; dall’altro, perché rivela l’ormai acquisita capacità della Cina di imporre la propria agenda. La scelta di congelare le nuove norme era apparsa da subito come un cedimento dell’Europa a logiche altrui. Cina e India avevano già imposto alle proprie compagnie aeree di non collaborare con il piano Ue, mentre il Congresso degli Stati Uniti aveva approvato una vera e propria legge che vietava ai vettori a stelle e strisce di adeguarvisi.
Dietro, c’è una differenza politico-economico-culturale che rende tutt’ora difficile prendere decisioni comuni sul problema delle emissioni. Rischiando di apparire eccessivamente semplicisti, diremo che se l’Europa applica i vincoli di Kyoto e ha sviluppato un sistema interno di compravendita delle emissioni di una certa efficacia, Cina e India, che si autodefiniscono in questo caso “paesi in via di sviluppo”, rivendicano invece per la propria categoria un regime meno vincolante: cominciate a ridurre le vostre emissioni, lasciateci raggiungere il vostro livello di sviluppo, dopo di che anche noi ci adegueremo. A questo punto, gli Stati Uniti, che da qualche anno sono stati superati dalla Cina come primi emettitori di Co2 in termini assoluti, ma che restano di gran lunga l’economia più inquinante se si considerano le emissioni pro-capite, rifiutano di prendere in considerazione qualsiasi limite.
All’accordo complessivo si sostituiscono quindi regole autoimposte da ogni economia, più o meno vincolanti e rigide. L’Europa vorrebbe imporre la propria “visione del mondo” (e le proprie regole) almeno a casa propria, ma così rischia di scatenare una guerra commerciale. Dopo tutto, cosa, meglio del trasporto aereo, rappresenta le interconnessioni sempre più strette di un mondo globalizzato e sempre più “piccolo”? Bruxelles ha tuttavia presentato il congelamento delle norme anti-Co2 come una parziale vittoria, dicendo di avere così imposto agli altri partner di mettere il problema delle emissioni all’ordine del giorno.
Oggi la Cina fa la voce grossa e comunica (18 maggio) che non pagherà all’Europa una precedente multa per le emissioni di Co2 dei suoi aerei di linea all’interno dell’Unione. Si tratta di una penale da 2,4 milioni di euro che riguarda anche due compagnie indiane (Air India e Jet Airways) oltre a otto cinesi: tra queste, ci sono Air China, la compagnia di bandiera, e anche China Eastern e China Southern, casualmente i due più recenti acquirenti di Airbus.
Yan Mingchi, vicedirettore generale dell’ufficio legale dell’aviazione civile cinese ha commentato durante un forum a Pechino che «le compagnie aeree dei paesi in via di sviluppo dovrebbero avere sostegno finanziario e tecnologico nei loro sforzi per far fronte agli effetti del cambiamento climatico». E quindi, il Dragone «non accetterà misure unilaterali e obbligatorie del mercato». Punto. È la logica cinese che si impone all’Europa. La quale si consolerebbe vendendo Airbus.