PECHINO – La città fa incontrare, la città produce cultura, la città crea valore aggiunto. L’idea che ispira la leadership cinese nel suo progetto di chengzhenhua – l’urbanizzazione delle città di grandezza medio-piccola – sembra trovare conferma nella fioritura di cinema in tutto il Paese. La tendenza è già in atto. Mille nuovi cinema per tremila schermi a livello di contea, sono le ultime cifre che i media cinesi snocciolano orgogliosamente in questi giorni.
Panem et circenses, direbbero i soliti occidentali in malafede. Nella versione contemporanea, un bel polpettone cappa e spada di produzione locale sostituisce perfettamente leoni e gladiatori e, nella Cina che verrà, milioni di contadini inurbati passeranno le proprie sere di fonte ad avveniristici grandi schermi sparsi in decine di future città «sostenibili».
Da questo punto di vista, il cinema è l’esempio perfetto per intuire quali potrebbero essere in concreto i meccanismi virtuosi scatenati dalla chengzhenhua, la nuova urbanizzazione: il trasferimento di 400 milioni di ex contadini in città vivibili dove, accedendo a nuovi servizi e opportunità e grazie ai propri consumi, trasformeranno l’economia e trasformeranno, in parallelo, se stessi. Un processo governato dall’alto nel big-bang iniziale e che poi, almeno nelle intenzioni della leadership, dovrebbe autoclonarsi.
L’esempio è Panjin, città di quarto livello, un milione e duecentomila abitanti nella provincia nordoccidentale del Liaoning. In uno dei multisala locali, in un mese vanno via oggi gli stessi biglietti che due anni fa venivano venduti nel giro di dodici. Nella città, i ricavi annuali al botteghino sono passati nel 2012 a 25,6 milioni di yuan (oltre 3 milioni di euro) dai 2,65 milioni dell’anno precedente, per una crescita anno su anno dell’867 per cento. I cinema sono oggi quaranta contro i diciannove del 2011. E i numeri sono ulteriormente in crescita. China Daily, giornale ufficiale in lingua inglese, cita anche Langfang, nell’Hebei (3 milioni e 850mila abitanti), e Yueyang nell’Hunan (5 milioni e 477mila abitanti), come nuove Mecche del cinema. Sono tutte città-prefetture di media grandezza, proprio l’epicentro della nuova urbanizzazione che si programma a Pechino.
Così, lo scorso maggio la Cina ha potuto annunciare trionfalmente che, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente i ricavi al botteghino sono ulteriormente cresciuti del 39 per cento, attestandosi su più di 8 miliardi di yuan (quasi un miliardo di euro). Il Dragone è già il secondo mercato al mondo dopo gli Usa, stando ai numeri del 2012.
Le città di terzo-quarto livello offrono alla leadership cinese un altro assist importante. La gente che ci abita preferisce in genere produzioni autoctone piuttosto che film d’importazione: tutto grasso che cola sia per il business, sia per la diffusione di un immaginario legato al «grande sogno cinese» lanciato dal presidente Xi Jinping: valori confuciani battono valori occidentali uno a zero.
A livello nazionale, dicono le non sempre attendibili statistiche ufficiali (che per altro non tengono conto dei dvd che circolano illegalmente), i film made in China hanno conquistato a maggio 2013 una fetta di mercato del 64 per cento, contro il 34 dell’anno scorso (un sondaggio dello scorso marzo rivela tuttavia che oltre il trenta per cento degli spettatori cinesi vorrebbe avere un’offerta più varia quando si reca al cinema). Il boom dei cinema in Cina assomiglia un po’ al modello che ha funzionato finora in altri ambiti dell’economia: grandi investimenti e progressivo aumento dei prezzi che si traducono in ritorni economici. In questo processo, la digitalizzazione progressiva ha giocato un grande ruolo.
Secondo fonti cinesi, l’adozione del digitale si attesta all’85 per cento oltre Muraglia, contro una media globale del 70. Sono attualmente 12.400 gli schermi digitali sul territorio nazionale, il 25 per cento del totale al mondo. A questo si accompagna l’aumento dei prezzi, che ha già prodotto qualche isolata protesta da parte degli spettatori: si parte da 40 Rmb (circa 5 euro), ma si può arrivare a 120 (quasi 15 euro) nel caso dei blockbuster. Così funziona soprattutto a Pechino e Shanghai. Nelle città di terzo-quarto livello, dove la gente vuole soprattuto il grande successo, meglio se cinese, i prezzi si mantengono ancora contenuti e la tecnologia non è necessariamente il valore aggiunto.
La multinazionale dei servizi Pricewaterhouse Coopers ha svolto una ricerca da cui emerge che la passione per il cinema è la punta dell’iceberg di un generale boom di tutto ciò che fa intrattenimento in Cina. Prima di tutto i videogiochi, che già dominano, dove i ricavi sono destinati a crescere del 7,8 per cento all’anno, fino a raggiungere 11,38 miliardi dollari nel 2017. Ma il mercato della musica, che nel 2012 aveva un giro d’affari da 653 milioni di dollari, dovrebbe crescere ancora più velocemente, con un 8 per cento annuo (qualcosa in più della crescita del Pil) che dovrebbe fargli raggiungere quota 960 milioni nel 2017. Così, secondo le proiezioni, la spesa pubblicitaria complessiva è destinata a crescere del 12,4 per cento ogni anno, con all’avanguardia quella su Internet: 21,5 per cento.
E già che ci siamo, perché non strizzare un po’ l’occhio anche alla sana, vecchia, colata di cemento? Il settore delle costruzioni, che nel residenziale ha dato luogo a quella bolla immobiliare che non lascia dormire sonno tranquilli ai leader di Pechino, non può essere certo sparire dall’oggi al domani: anche perché lì finisce una bella fetta di risparmio dei cinesi e da esso dipendono in gran parte gli introiti dei governi locali. Ebbene, a fine 2012, in Cina c’erano oltre 13mila cinema, dieci volte più di quanti ce ne fossero nel 2002 (1.300). Nei prossimi cinque anni se ne costruiranno altri 25mila.
Aggiungiamoci stadi, palazzetti, biblioteche, sale concerti a disposizione del nuovo ceto medio cittadino. Per un settore immobiliare che inghiotte denaro e non ne restituisce – i famosi bad loans – una svolta verso le infrastrutture per l’intrattenimento sarebbe prendere i classici due piccioni: denaro e operazione maquillage.