«Non c’è stata alcuna perquisizione, solo una richiesta di documenti riguardanti il passato. Nulla di preoccupante, siamo tranquilli». Così Massimo Moratti, proprietario dell’Inter, all’ingresso nella stessa sede del club milanese dove stamattina è entrata la Guardia di Finanza al pari di altre 40 sedi di altrettante società di calcio italiane tra club professionistici e minori. Nessun calciatore o società al momento risultano indagati, a differenza di 12 agenti di giocatori. Non basta. La scorsa settimana Lionel Messi e il padre sono risultati indagati dalla Fiscalidad spagnola per presunte tasse inevase attraverso società create ad hoc per la gestione dei diritti d’immagine del quattro volte Pallone d’oro. Siamo in presenza dell’ennesimo scandalo nel calcio?
Il filone d’indagine italiano è cominciato poco meno di un anno fa, nell’ottobre 2012, quando i militari fecero visita alla sede della FilmAuro di Aurelio De Laurentis, proprietario del Napoli, riguardo il trasferimento di Ezequiel Lavezzi dal Napoli al Paris Saint Germain. Un’indagine che aveva portato inoltre, lo scorso aprile, a perquisizioni nelle abitazioni dei procuratori Alessandro Moggi (figlio di Luciano) e Alejandro Mazzoni, manager argentino proprio di Lavezzi, concentrate su presunte irregolarità in alcuni pagamenti estero su estero.
Le stesse presunte irregolarità al centro delle acquisizioni di documenti (e non di perquisizioni) relative ai contratti di alcuni calciatori cominciate proprio questa mattina. L’inchiesta della Procura di Napoli si allarga ad almeno 12 procuratori sportivi, oltre a nuove contestazioni: associazione per delinquere, evasione fiscale internazionale, fatture false, riciclaggio, abuso di professione e illecita intermediazione. Secondo la nota emessa dalla Procura, le indagini si concentrano su «reiterate condotte finalizzate all’evasione dell’imposta sui redditi e, più in generale, condotte elusive delle regole di imposizione tributaria». I nomi di squadre, calciatori e procuratori coinvolti sono in alcuni casi famosi. Si va dall’Inter al Milan passando per il Napoli, dai calciatori Ciro Immobile (oltre al già citato Lavezzi) ad Antonio Nocerino, fino al procuratore Fernando Hidalgo oltre ai già citati Moggi e Mazzoni. Al momento, sono molti gli aspetti da chiarire, rispetto ai presunti reati contestati. Per la Procura non ci sono dubbi: al momento sono indagati solo gli agenti.
Si tratta di una materia complessa, quella del rapporto tra calciatori, procuratori e club. I club del pallone sono a tutti gli effetti società di capitale secondo la legge 91 del 1981 sul professionismo sportivo. La Procura da cui è partita la richiesta di acquisizione di documenti parla di evasione fiscale internazionale. Questa può essere legata a due distinti ambiti: alla cessione di un giocatore tra due club o alle società che gestiscono i diritti di immagine dei calciatori. Il primo caso sembra essere quello privilegiato dagli inquirenti, anche perché di mezzo ci sono i procuratori, legati ai club o ai calciatori da un rapporto di mandato: le irregolarità si sarebbero verificate nei pagamenti estero su estero.
Come farebbe un club a evadere le tasse per pagare un procuratore? Potrebbe seguire il modello di quanto accaduto all’oggi fallito Piacenza, che nell’aprile 2012 (durante le indagini che avevano coinvolto il club nella cosiddetta “Scommessopoli”) a cui si contestò di avere iscritto le prestazioni fornite dagli agenti dei calciatori alla voce “Diritti pluriennali dei calciatori professionisti”. Una scappatoia che avrebbe permesso alla squadra emiliana di non pagare l’IVA, perché detratta dall’imposta indicata nella fattura emessa dai procuratori. In maniera del tutto illegale secondo le Fiamme Gialle: il lavoro di intermediazione svolto da un agente non si può non detrarre. Quindi la società avrebbe pagato i procuratori (che non lavoravano per loro, ma erano legati da un rapporto di mandato con i giocatori) per prestazioni mai effettuate per il club, attraverso fatture fasulle. All’epoca risultarono 21 i procuratori indagati, tra cui proprio Alessandro Moggi. Che un anno dopo tornò alla carica con la nuova Gea, rifondata dopo i fatti di “Calciopoli”.
Ma si parla anche di “estero-vestizione”: cioè residenze fiscali fittizie acquisite da società che mantengono la propria attività di fatto in Italia. Il sospetto è che ciò che è stato fatto a Piacenza sia stato traslato all’estero. Basti pensare allo scandalo scoppiato in Argentina lo scorso anno, quando si scoprì che alcuni giocatori del Paese sudamericano ingaggiati da squadre europee sarebbero risultati provenire da squadre uruguaiane inesistenti. E a queste squadre però venivano pagati i costi dei cartellini dei calciatori stessi, in un Paese dove la tassazione sulle transazioni è del 5% anziché del 20% come in molte altre realtà.
Un’indagine che parla anche di gestione dei diritti d’immagine, dove è presente un aspetto che le lega ai pagamenti estero su estero. Per capirci meglio, prendiamo l’esempio di quanto è accusato Messi. Il numero 10 del Barcellona, assieme al padre Jorge Horacio (che gli fa da procuratore…), avrebbe provveduto a una cessione simulata dei propri diritti d’immagine a società ad hoc create fra Belize e Uruguay. Queste società avrebbero formalizzato accordi di licenza con altre compagnie, riconducibili proprio al numero 10 blaugrana e con sede a loro volta in domicili di comodo come Svizzera o Regno Unito. Da qui, il denaro sarebbe partito verso il Sudamerica. Come spiegato nella denuncia della Procura per i reati economici di Barcellona, il padre di Messi avrebbe fatto creare «una prima società strumentale, destinata ad essere sostituita poi da un’altra, con l’unico obiettivo di evadere le tasse». Il tutto quindi raggirando la Fiscalidad spagnola. La stessa metodologia che utilizzerebbero alcuni club di Premier League, la serie A inglese, per pagare i propri top player: il 75% del loro ingaggio deriverebbe proprio da società di gestione dell’immagine degli stessi calciatori che rappresentano, dribblando (è proprio il caso di dirlo) le tasse di Sua Maestà.
Da quanto emergerebbe, tra l’altro, le indagini si starebbero concentrando anche sui cosiddetti fringe benefits: ovvero, tutti quei benefici che una società può fornire a un proprio dipendente, come cellulare e auto aziendale. Gli stessi benefici che spettano a molti calciatori, soprattutto nel caso delle auto, spesso di grande cilindrata (e non è un caso che diverse aziende produttrici facciano parte del bouquet di sponsor di un club). Perché concentrare l’indagine su questi benefits? Perché intestandoli ad una società, c’è la possibilità di scaricarne il costo. E fin qui tutto chiaro, tutto lecito. Il problema sta nel come questi benefits risultano una volta ceduti ai calciatori: se rientrano cioè nella retribuzione del giocatore e sono quindi soggetti a contribuzione, o se risultano come premi aggiuntivi all’atleta (regalati in caso di raggiungimento di obiettivi) e quindi soggetti ad altro tipo di tassazione. Non solo procuratori, quindi. Nel frattempo, benvenuti ad “Agentopoli”.