Obama in Africa, fra stati falliti e nuovi mercati

Scelto per voi da Foreign Policy

Mark Mobius è quel tipo di guru a cui gli altri guru si rivolgono per chiedere consiglio. Con il suo distintivo abito bianco e glamour, la testa rasata con cura, il suo aspetto ben si addice al ruolo. Capo esecutivo del Templeton Emerging Markets Group, gruppo da 45 miliardi di dollari e 18 uffici oltreoceano, mezzo tedesco, mezzo portoricano è un leggendario investitore visionario in grado di vedere opportunità in ogni angolo del mondo, spesso in luoghi non adatti agli schizzinosi. Dopo quattro decadi ai vertici del suo settore, il suo nome è in tutte le liste delle persone che contano nel mondo della finanza. Esiste perfino un fumetto sulla sua vita, tradotto in sei lingue, “Mark Mobius: una biografia illustrata del padre dei fondi dei mercati emergenti”. Foreign Policy ha parlato con lui circa le incursioni della Cina in Africa, come fare soldi negli Stati falliti, e perché nessuno Stato è veramente senza speranza.

L’Africa è una causa persa o un’opportunità? Io direi entrambi. In molti casi è la causa persa ma è anche la migliore opportunità per il futuro. S’è verificato un cambiamento di attitudine, un cambio di percezione. Ma sul campo, ovviamente, le cose non sono ancora perfette.

Probabilmente la variabile determinante sarà quello che succederà negli mercati emergenti. Cina, Brasile, Russia, India – questi paesi ora stanno arrivando al punto di avere un eccesso di riserve. Hanno soldi da investire in altre parti del mondo. E ovviamente hanno messo i loro soldi in America, in Europa, ma stanno andando anche in Africa. Da una parte hanno bisogno di risorse naturali, in particolare la Cina. Dall’altra parte vedono l’opportunità di fare soldi e ottenere alti ritorni.

La gamma delle possibilità offerte da questi paesi è impressionante, soprattutto perché partono da una base così bassa. Negli ultimi 10 anni, per esempio, sei dei dieci paesi con la maggiore crescita economica del mondo si trovavano in Africa. Ma anche perché l’America, il Giappone, e anche l’Europa stanno stampando una quantità eccessiva di moneta. Ci sono parecchi soldi da investire, e molto di questo è dovuto alla paura che l’inflazione s’infiltri tra i titoli azionari. Per questo ci troviamo in una situazione inusuale dove i fondi pensione fungono da veri e propri cuscinetti di liquidità perché investimenti come i titoli del tesoro Usa stanno pagando interessi molto bassi – ciò fa sì che questi soldi finiscano nei mercati emergenti di frontiera, dove per frontiera intendo Africa, Asia centrale e la parte più orientale dell’Europa dell’est. I paesi africani che sono maggiormente sotto la mia attenzione in questo momento sono il Sud Africa, la Nigeria ed l’Egitto. Sono mercati importanti, e stanno diventando meglio organizzati. So che molte persone hanno da dire cose non molto carine a riguardo dell’Egitto in questi giorni. Ma, alla fine, si organizzeranno sempre meglio e continueranno a lavorare.

Circa sei mesi fa, siamo stati in Rwanda. Siamo rimasti sconvolti dalla qualità delle infrastrutture, almeno nella capitale, dal livello di governance e dal modo in cui la legge e l’ordine sono applicati nel paese. Ci sono delle enormi differenze in Africa da un paese all’altro: differenze nei temperamenti, differenze nei comportamenti, e così via. Il Rwanda è un bell’esempio di paese che è riuscito a rimettersi in carreggiata veramente bene nonostante il suo passato, l’immagine del genocidio e tutto il resto.

Prendi la Somalia, loro hanno le risorse naturali. Le grandi compagnie vogliono andarci, trivellare e cercare risorse. Questo vuol dire che nel paese entreranno molti soldi, le persone iniziano ad aumentare i loro standard di vita, e poi ti ritrovi con un mercato. Noi non stiamo escludendo nessuno di questi paesi. Secondo me, non esiste uno stato fallito. Potrà essere in difficoltà, ma non ha fallito. Il solo fatto che è uno stato implica che è vivo.

Un altro bell’esempio è lo Zimbabwe. Appena menzioni quel nome, le persone subito pensano “Oh mio dio, che causa persa”. Ma noi stiamo investendo in Zimbabwe. È un paese dove devi scegliere la compagnia giusta e con il giusto management. Ma a queste condizioni, si può fare molto bene.

La Cina è un elemento molto positivo di questo affresco, e ci sono due facce della medaglia: c’è il governo cinese e l’imprenditore cinese. Il governo cinese va lì e dice al paese, «senti, voglio essere tuo amico». E poi dice, «senti, sappiamo che avete il carbone e noi ne abbiamo bisogno. Possiamo fare un patto per esportarlo in Cina, ma per farlo dobbiamo costruire una ferrovia. Se fate un accordo di lungo termine con noi, noi vi costruiremo una ferrovia». Una volta iniziato, arriveranno appaltatori e lavoratori cinesi e creeranno delle piccole attività di business e di commercio. Poi arriveranno anche le loro famiglie e cercheranno delle opportunità di lavoro. Così il paese ospite inizierà ad avere un mercato privato di prodotti cinesi, ad espandersi e ad attrarre nuove persone. Inizierà così ad avere più di un’economia di mercato. Poi ci saranno persone, come i rivenditori del Sud Africa, che si sveglieranno e si domanderanno, «Hey, quelli hanno un mercato. I Cinesi stanno vendendo questo e quello. Perché non ci entriamo e non iniziamo delle attività commerciali?» Così direi, generalmente parlando, che l’influenza dei cinesi è stata molto positiva per questi paesi. Ovviamente ci sono degli aspetti negativi. Alcuni paesi pensano che i cinesi stiano facendo tutto il lavoro e che a loro non rimanga nulla e così via, ma queste sono questioni che possono essere risolte.

Il dipartimento di Stato americano è perfettamente cosciente di quello che sta succedendo, ma a livello di politiche non sta concretamente impegnato la stessa quantità di denaro che i cinesi hanno impegnato. È un peccato ma credo che in futuro ci sarà un maggior coinvolgimento da parte del settore privato statunitense. Bisognerebbe essere leader in termini di analisi, su cosa sta succedendo sul campo, e riportare quelle informazioni ai cittadini statunitensi. Un buon esempio potrebbe essere il Sudan. In Sudan, le cose sono cambiate in modo improvviso e inaspettato. Ora c’è un Sudan del sud. E i cinesi stanno dicendo «noi possiamo lavorare con queste persone,» anche se i cinesi erano stati accusati di aver delle responsabilità nel genocidio, avendo commerciato con il governo del Sudan.

I cinesi sono più bravi [a lavorare in Africa] perché stanno costruendo un intero sistema, accettando ciò che si trova davanti e lavorando nel contesto locale. Questo può portare all’accusa di corruzione, che stanno lavorando con dittatori, etc. Ma penso, personalmente, se tu voglia vedere dei cambiamenti, devi accettare quello che ti si presenta davanti e lavorare con quello.

* articolo originariamente pubblicato su Foreign Policy, il 27 giugno 2013
 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter