Piazza Taksim: ecco chi si raduna e perché

Intervista a un ricercatore sul campo

Kivanc Atak è un ricercatore dell’Istituto universitario europeo di Fiesole, appartiene al gruppo di studi sul Medio oriente guidato da Donatella della Porta ed è esperto di Turchia. È arrivato a Istanbul sabato sera e ha visto evolversi la protesta di piazza Taksim. Gli abbiamo chiesto di raccontarci chi c’è in piazza, cosa chiede e contro cosa protesta. «Sono soprattutto giovani», ci ha risposto, «arrabbiati contro un governo che dice: “Ho la maggioranza dei voti, quindi posso fare quello che voglio”». L’intervista.

Manifestanti in piazza Taksim la sera del 2 giugno (Afp)

Chi sono le persone che si radunano in questi giorni in piazza Taksim, e come si sta evolvendo la situazione?
A Istanbul le persone continuano a raccogliersi. Quando tutto è iniziato, martedì 28 maggio, le persone erano un centinaio, poi sono cresciute tra venerdì e sabato. Arrivano a Gezi park, ascoltano musica, ballano. Stasera [l’intervista è delle ore 18.00 di martedì 4 giugno] dentro al parco ce ne sono diverse migliaia, in piazza le persone sono sparpagliate su tutta la superficie. Sono soprattutto giovani, tra i 18 e i 22 anni, è la generazione degli anni ’90 appartenente alla middle class. Molti sono studenti universitari. Tra gli adulti ci sono soprattutto professionisti. Le proteste però si stanno diffondendo anche nel resto del Paese, e toccano ormai 30, 40 cittadine. Sono quasi ovunque pacifiche, pochi i gruppi da cui nascono scontri.

La posizione di Piazza Taksim a Istanbul (Google maps)

Qual è la principale motivazione che li spinge a radunarsi?
È una reazione generale contro il governo, e soprattutto contro la persona di Erdogan (il vero target delle proteste, più del suo governo e del suo partito, l’Akp), frutto di un risentimento accumulato nel tempo. Non accettano la logica che il primo ministro ha adottato, quella di poter decidere dello sviluppo del Paese e delle città senza considerare i bisogni delle persone. “Abbiamo la maggioranza dei voti – dice il governo di Erdogan – quindi possiamo fare quello che vogliamo”. Ma la gente non lo accetta. E ribatte: “Rispettate le nostre preferenze, non potete imporci qualsiasi cosa”.

Gli scontri tra manifestanti e polizia in piazza Taksim nella notte successiva all’intervista con Kivanc, tra il 5 e il 6 giugno . La protesta vera e propria è scoppiata venerdì 31 maggio per fermare i progetti governativi di demolizione del parco e di costruzione un centro commerciale

Quale invece il ruolo delle leggi restrittive sull’alcol? Sono paragonabili a quelle europee come dicono molti filo-governativi, oppure no?
In parte sono equiparabili alle leggi europee. Anche in Italia, ad esempio, in molte città non si vende alcol di notte. Altre invece no, e nascondono una matrice religiosa: il governo Erdogan ad esempio ha proibito la pubblicità di qualsiasi prodotto alcolico, e ha fatto propaganda un paio di mesi fa dicendo pubblicamente che chi consuma alcol è un alcolizzato. Qualcosa di simile è accaduto anche a proposito del programma di riforma scolastica: quando lo proponevano, i ministri indicavano come obiettivo della riforma quello di rendere i piccoli più religiosi e più devoti. Le proteste di oggi sono il risultato di un accumulo di fatti simili.

Piazza Taksim la sera di domenica 2 giugno

Piazza Taksim mette a rischio il potere di Erdogan?
No, il primo ministro gode ancora del sostegno della maggioranza della popolazione. E non ci sono motivazioni sociali alla base della rivolta: in Turchia non c’è forte disoccupazione, è un Paese in crescita. La maggior parte delle persone scese in piazza non ha problemi economici. È solo una protesta contro l’idea che la maggioranza dei voti ti permette di fare quello che vuoi, contro questa idea di democrazia. Ma forse per indovinarne gli esiti dobbiamo capire quanto durerà.

C’è una relazione tra la crescita economica che il Paese sta attraversando e le proteste? È il desiderio della middle class di ottenere maggiore potere politico?
No, direi che non ci sono legami evidenti tra crescita economica e protesta politica, almeno non per ora.

Un uomo vende le maschere simbolo delle primavere arabe al Gezi park di piazza Taksim

Possiamo considerarlo un nuovo episodio della Primavera araba?
No, non è nemmeno questo. Quella di piazza Taksim non è una rivolta contro un regime. Non ci sono questioni economiche e sociali alla base. L’unica cosa che accomuna quella turca alle altre piazze arabe è l’uso dei media: nei primi due giorni quelli tradizionali non riportavano nessuna notizia delle proteste, cosa che ha alimentato ancora di più la rabbia delle persone. Ci si informava solo sui social network e su alcuni blog indipendenti. I ragazzi si organizzano tra loro usando Facebook e Twitter. Una delle foto simbolo della rivolta è quella circolata su Facebook di una studentessa universitaria che è stata in piazza nel fine settimana: al ritorno in università ha consegnato il foglio dell’esame scrivendo: “Non so rispondere, non ho studiato perché ero in piazza Taksim”. E su Facebook ha messo la foto del foglio.  
C’è poi un altro elemento simile: le persone non si radunano come membri di partiti o di organizzazioni sindacali. Ma come singoli individui. E ci tengono ad essere considerati tali. 

@SilviaFavasuli

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