Le parole d’ordine della politica italiana quando si affronta il tema dell’immigrazione, sono spesso state “respingere, rinchiudere, espellere”. Verbi che trovano anche consenso nell’opinione pubblica: rispedire al mittente i barconi che attraversano il Mediterraneo ed espellere gli immigrati irregolari sembra rappresentare l’opzione più facile ed economica.
Ma la spesa che il nostro Paese sostiene per affrontare questa politica (spesso gravemente lesiva dei diritti fondamentali dei migranti) è molto più salato di quanto ci si possa aspettare. Tra il 2005 e il 2012, secondo i dati dell’associazione Lunaria, sono stati spesi «1 miliardo e 668 milioni di euro» fra «risorse nazionali e comunitarie» per il controllo delle frontiere esterne. Solo per la gestione dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) i costi minimi di gestione ammontano a circa 55 milioni di euro l’anno. Le spese sono state così suddivise, sempre secondo Lunaria:
- 331,8 milioni di euro per il controllo delle frontiere esterne;
- 111 milioni hanno finanziato l’acquisto di nuove tecnologie, sistemi di identificazione e comunicazione nell’ambito del Pon Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno;
- 60,7 milioni di euro sono stati stanziati nell’ambito del Fondo Europeo per i Rimpatri,
- oltre un miliardo di euro è stato impegnato per l’allestimento, il funzionamento, la gestione e la manutenzione di Cie, Cpsa, Cda e Cara;
- 151 milioni di euro hanno finanziato progetti di cooperazione con i paesi terzi in materia di immigrazione.
E, mentre si discute di nuovi tagli e spending review, il governo ha stanziato 13 milioni e mezzo di euro per la riapertura dei Cie di Palazzo san Gervasio (Potenza) e Santa Maria Capua Vetere (Caserta). Erano nati come centri temporanei per far fronte all’emergenza degli sbarchi dei profughi tunisini e, se il calendario dei lavori verrà rispettato, diventeranno centri permanenti dal dicembre 2013. Oltre alle spese per la costruzione e la manutenzione delle strutture (difficili da estrapolare con precisione) bisogna sommare i 25 milioni di euro l’anno per i costi di gestione e quelli per gli operatori delle forze dell’ordine che presidiano le strutture, pari a circa 26,3 milioni di euro l’anno.
Una spesa finalizzata a mantenere in piedi un sistema di tredici Centri (da Torino a Gradisca d’Isonzo, da Roma a Bari) per una capienza effettiva circa 1.700 posti. Formalmente, le persone trattenute al loro interno sono “ospiti” e non “detenuti”, ma le differenze con il carcere si fermano qui: i contatti con l’esterno sono pressoché impossibili e in molti Cie agli ospiti è vietato anche l’uso del telefono cellulare. Molti degli “ospiti” arrivano direttamente dal carcere, in una sorta di supplemento di pena, che può arrivare fino a 18 mesi, in vista dell’espulsione. Altre hanno perso il lavoro e che non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno. Non sono mancate segnalazioni riguardo la presenza di donne vittime di tratta, persone truffate a seguito delle ultime sanatorie, minori e persino ragazze nate in Italia da genitori stranieri. Su 169mila persone transitate per i centri tra il 1998 e il 2012 solo 78mila (pari al 46,2% del totale) sono state rimpatriate.
Non solo. Dal 2008, con l’adozione di un nuovo schema di capitolato di gara d’appalto unico, tutti i bandi per l’affidamento della gestione dei Cie prevedono un costo massimo di 30 euro pro die/pro capite. Una cifra troppo bassa – a detta di molti esperti – per assicurare tutti i servizi previsti: assistenza medico/infermieristica, supporto psicologico, mediazione linguistica e culturale. «Gli enti gestori di altri centri ci hanno riferito che il minimo per offrire servizi di base sono 41 euro a persona. Il 60% del costo va per il personale a cui si aggiungono almeno 3,50 euro per il pasto. Con questi prezzi resta solo la gabbia» secondo Alberto Barbieri, presidente dei Medici per i diritti umani (Medu).
Una situazione, quella legata ai costi, che finisce per ricadere anche sui dipendenti delle cooperative che gestiscono i Cie.Il caso più emblematico è quello di Modena dove, dal 1° luglio 2012 opera il consorzio “Oasi” di Siracusa con un budget di appena 29 euro al giorno per persona. «Una cifra che non garantisce nemmeno la copertura del costo del lavoro» secondo Marco Bonaccini della Cgil di Modena «Da subito siamo intervenuti per denunciare la situazione». Solo lo stipendio di agosto viene pagato regolarmente. «Le mensilità di novembre, dicembre, la tredicesima e gennaio sono state pagate direttamente dalla Prefettura, dopo la minaccia di sciopero da parte dei lavoratori» aggiunge il sindacalista. Di fronte a nuovi ritardi nei pagamenti degli stipendi di aprile e maggio, tocca al Prefetto di Modena, Benedetto Basile, prendere in mano la situazione e minaccia di rescindere il contratto «laddove dovessero continuare inadempienze e inadeguatezze gestionali».
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