Quell’arte della moda che perderemo in una generazione

Scelto per voi dall’Economist

Giugno è il mese dell’anno in cui le persone benvestite guardano alle grandi esibizioni di moda italiane, in modo da scoprire come devono vestirsi. Questa settimana è cominciato, a Firenze, Pitti Immagine, per la moda maschile; seguito, qualche giorno dopo dalla sua controparte milanese, cioè Milano Moda. Ma non lasciatevi ingannare dall’incedere sicuro di quei modelli dalle guance scavate: certo, lo stile italiano attira ancora legioni di acquirenti da tutto il mondo, ma sotto quelle passerelle, le fondamenta della florida industria della moda e degli accessori sono sempre più fragili.

«Nel giro di una generazione il marchio “Made in Italy” potrebbe essere scomparso», dice preoccupato Ermanno Scervino, designer di punta. Dopo essere sopravvissuto – abbastanza incolume – alla crisi economica, il fashion italiano (che genera un ragguardevole surplus commerciale) osserva la sua stessa fine, solo perché si sta dimostrando molto difficile convincere i giovani italiani a entrare nel settore.

Dietro gli abiti eleganti nella boutique di Scervino, in città come Londra, Mosca e Tokyo c’è una gamma di abilità artigianali – disegno, taglio, cucito, ricamo, lavoro a maglia e così via – che trasformano le sue idee in prodotti finiti. Cucire a mano decine di losanghe in chiffon nero per un abito da sera, per esempio, richiede pazienza, buona vista e una destrezza manuale che si ottiene solo con una lunga pratica. Molti lavoratori della fabbrica di Scervino, vicino a Firenze, sono già su con gli anni e hanno appreso le tecniche in casa o in una delle piccole attività di sartoria per donna, o di camicerie, che una volta erano molto numerose nelle città italiane. E, dal momento che questi operai sono sulla via della pensione, non è chiaro chi prenderà il loro posto.

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