WASHINGTON – La settimana scorsa Elon Musk, amministratore delegato della casa automobilistica Tesla, gongolava su Twitter: «Tesla ha trovato i fondi per saldare oggi i debiti con il dipartimento dell’energia. È la sola compagnia americana ad avere ripagato per intero il governo». La boria di Musk ha fatto innervosire i manager di Fiat-Chrysler, che ha già restituito i soldi presi in prestito dai governi di Stati Uniti e Canada, e ne è nata una polemica cavillosa su chi avesse effettivamente ripagato per intero il dovuto e cosa s’intenda per «compagnia americana».
Ma queste, tutto sommato, sono soltanto schermaglie di superficie. Nel successo finanziario di Tesla, celebrato dai cori degli ultrà delle energie rinnovabili, ci sono diversi angoli oscuri che hanno a che fare con il rapporto fra lo Stato e l’economia, con il dominio della finanza su Main Street e toccano il cuore dell’identità di un’America che tenta di uscire dalla depressione. Tesla, produttore di macchine elettriche fondato dall’imprenditore-inventore sudafricano che per primo ha lanciato un satellite privato in orbita con la sua SpaceX, è un successo finanziario.
Recentemente è passata dal territorio delle perdite a quello degli utili, ha incassato da vari investitori un miliardo di dollari che gli hanno permesso di rendere allo stato federale i 465 milioni presi in prestito, il valore del titolo è raddoppiato nel giro di un mese, e ora la compagnia vale oltre dieci miliardi di dollari. Fiat-Chrysler, tanto per fare un confronto, di miliardi ne vale 8. E continuando a confrontare i dati si scopre che il successo finanziario di Tesla non s’accompagna a un successo di vendite. Nel primo trimestre del 2013 la casa di Musk ha venduto 4.900 automobili, contro il milione di Fiat-Chrysler.
I profitti Tesla li fa con la vendita di crediti per le emissioni che tutte le case automobilistiche tradizionali devono avere, specialmente in stati democraticamente attenti all’ambiente come la California: i produttori di automobili possono ottenere crediti producendo una quota di macchine ibride o elettriche, oppure possono comprare i crediti da Tesla, che producendo soltanto auto elettriche genera crediti in abbondanza. Senza le rendite dei crediti per le emissioni il bilancio di Tesla nel primo trimestre segnerebbe perdite da 53 milioni di dollari. Musk ha restituito i soldi al governo americano ma una complicata serie di sussidi statali per le energie pulite continua a favorire la sua azienda – primo fra tutti un credito fiscale di 7.500 dollari per chi compra un’auto Tesla – che genera profitti più con gli sforzi della lobby ambientalista che con le automobili.
Fare una ricognizione puntuale di tutte le connessioni politiche che hanno portato Tesla in una posizione di forza finanziaria richiederebbe una lunga serie articoli. Certo, paragonare le performance di un’azienda che punta principalmente su auto lussuose (il prezzo medio del modello S è 70 mila dollari) con una casa automobilistica tradizionale potrebbe sembrare ingeneroso. Eppure dal quartier generale di Tesla non si fanno problemi a fare paragoni quando si tratta di capitali e profitti sulla carta. Ed è proprio il gap fra le prestazioni finanziarie e quelle economiche a indurre il timore che Tesla sia una gigantesca bolla gonfiata con i soldi dei contribuenti americani e modellata dai prestigiatori della finanza che fra la Silicon Valley e Wall Street fanno leva sulla quotazione record del titolo per raggranellare capitali freschi. Capitali completamente svincolati dalle prestazioni di mercato.
Sulla trama della bolla, una costante del ciclo finanziario, s’innesta un’altra storia automobilistica americana, quella del pickup. La crisi ha depresso le vendite di questi bestioni costosi, svantaggiosi dal punto di vista dei consumi e spesso legati a professioni che hanno subito pesanti ridimensionamenti. Ma dal primo trimestre di quest’anno il trend si è invertito e le vendite di pickup segnano una crescita del venti per cento, con la serie F della Ford a fare da capofila del segmento di mercato, con oltre 168 mila mezzi venduti. Il pickup non è economico né ecosostenibile, non gode di sussidi statali e risente pesantemente della crisi. Ma i numeri dicono che è un simbolo a cui l’America non vuole rinunciare: non appena la crisi allenta la morsa, gli americani tornano a comprare i pickup.
La vicenda di Tesla è una sofisticata trama finanziaria fatta di pressioni politiche, speculazioni, sussidi, energie rinnovabili e giovani titani della Silicon Valley; la resurrezione del pickup è fatta di olio, pistoni, ruote larghe, cilindrate esagerate, quartieri della working class e tradizione industriale. Due volti dell’America che si guardano allo specchio.
Twitter: @mattiaferraresi