Se non agirà unita, saranno i mercati a punire l’Europa

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Per uscire dalla recessione servirebbero una robusta svalutazione del tasso di cambio, una politica monetaria ben più espansiva di quella sinora realizzata dalla Bce e una politica fiscale adeguata, accompagnata da una forte monetizzazione del debito. Da attuare però insieme ai partner europei.

Riforme a effetto ritardato

Prima è toccato al pagamento dell’Imu sulla prima casa a essere rinviato di tre mesi, poi alla Tobin-Tax, la tassa anti speculazione sulle transazioni finanziarie, infine la stessa sorte sembra spettare all’aumento dell’Iva. Se da un punto di vista politico questi rinvii possono risultare comprensibili, nell’attesa che il Movimento 5 Stelle si spacchi o che i problemi giudiziari di Silvio Berlusconi vengano al pettine, sotto il profilo economico sono alquanto nefasti. Da un lato, infatti, provocano subito un aumento del deficit e del debito pubblico, dall’altro accrescono l’incertezza, inducendo famiglie e imprese a rinviare le loro decisioni di spesa in attesa di sapere se si dovranno pagare imposte più alte in autunno. Così vengono dilapidate le scarse risorse disponibili per avviare la ripresa economica.

Certamente, l’Italia ha un disperato bisogno di riforme economico-istituzionali e forse alcune delle misure prese dal Governo Letta si muovono nella giusta direzione. Tuttavia, anche se nei prossimi mesi si procedesse rapidamente a una ragionevole riforma della Costituzione e della legge elettorale, nonché a una forte defiscalizzazione delle nuove assunzioni dei giovani e a una serie di provvedimenti volti a ridurre il dualismo del nostro mercato del lavoro (troppo rigido per chi sta dentro e troppo flessibile per chi sta fuori), difficilmente queste misure potrebbero rapidamente tirare fuori la Repubblica italiana dalla più lunga e acuta recessione della sua storia. Neppure un forte miglioramento di efficienza del mercato dei beni e servizi (liberalizzazione del servizio taxi, della distribuzione di carburanti, e così via) avrebbe effetti immediati.

Certo, queste riforme di natura micro-economica appaiono indispensabili per assicurare al paese efficienza e una solida crescita nel lungo periodo. Forse nel breve migliorerebbero anche le aspettative degli operatori, ma non sono neanche lontanamente sufficienti a far uscire il paese dal baratro in cui è precipitato.

Del resto, qualcosa aveva timidamente tentato in questa direzione il Governo Monti. Ma l’esito aggregato – una riduzione del Pil reale pari al -2,15 per cento nel 2012 e al -1,5 previsto dall’Fmi per il 2013 – mostra come a prevalere siano stati gli effetti della politica fiscale restrittiva varata contemporaneamente. Solo massicce politiche espansive di natura macro sembrano in grado di farci uscire dalle secche di una spirale recessiva infinita.

L’austerità depressiva

Il Fondo monetario internazionale ha fatto vedere come nei paesi dell’area euro, e ancor più nei Piigs (tra cui l’Italia), l’andamento della spesa pubblica primaria sia risultato molto meno espansivo negli anni successivi alla crisi iniziata nel 2008 che nei precedenti casi di recessioni globali (figura 1). Anche in Giappone e negli Stati Uniti l’atteggiamento di politica fiscale è stato meno espansivo che nelle crisi precedenti, ma la differenza è molto meno marcata. L’inceppamento del meccanismo di trasmissione della politica monetaria nell’Eurozona, dovuto alla crisi finanziaria, ha fatto sì che i paesi Piigs abbiano sofferto particolarmente le politiche di austerity.

Le politiche macro che servirebbero sono: una robusta svalutazione del tasso di cambio, che stimoli le esportazioni; una politica monetaria ben più espansiva di quella sinora realizzata dalla Bce e una politica fiscale espansiva accompagnata da una forte monetizzazione del debito. In fondo questo è quanto in varia misura hanno fatto gli Stati Uniti, il Giappone e l’Inghilterra.

È chiaro che l’Italia, da sola, non può realizzare nessuna delle strategie menzionate poiché ha delegato – come tutti i paesi dell’Eurozona – la politica monetaria a livello europeo. Inoltre, avendo un alto rapporto debito/Pil già al momento in cui la crisi è scoppiata (105,7 per cento), l’Italia si è anche negata la possibilità di fare politica fiscale anticiclica di dimensioni adeguate nel rispetto delle regole europee. Del resto, neppure violare quelle regole e quei patti è possibile (come qualche politico nostrano di tanto in tanto invoca). Non perché Bruxelles (o Berlino) ci scaccerebbe fuori dell’Unione, ma perché lo farebbero i mercati, ai quali non ci vorrebbe molto a comprendere il nostro stato d’insolvenza. Esistono alcuni paesi con un debito pubblico superiore al 130 per cento del Pil che attuano politiche fiscali espansive (vedi Giappone), ma nessuno senza alle spalle una banca centrale che possa monetizzare il debito.

Figura 1

Fonte: World Economic Outlook, Fmi, aprile 2013

Cosa dire infine di una manovra basata su una forte riduzione delle spesa pubblica e altrettanto significativa riduzione della pressione fiscale? Certamente è una ricetta che ha il suo fascino, ma come ha onestamente ammesso sulle colonne del Sole24Ore (15 giugno 2013) Roberto Perotti, che anni fa era stato tra coloro che l’avevano proposta, non vi è in realtà alcuna certezza che nel breve periodo possa servire da stimolo all’economia. E, anzi, la più recente ricerca empirica dello stesso Perotti sembra dimostrare che in alcuni casi in cui, in passato, un’espansione si era effettivamente accompagnata a politiche di contrazione del bilancio pubblico, ciò era dovuto alla concomitanza di altre politiche economiche e, soprattutto, di una politica monetaria ampiamente espansiva e a un sostanzioso deprezzamento del tasso di cambio. (1) Ciò che,
appunto, noi non possiamo autonomamente fare.

Realismo è impedire, tutti insieme, la catastrofe

Morale: o la soluzione la troviamo assieme ai nostri compagni di viaggio europei, riformando profondamente istituzioni comunitarie dimostratesi fallimentari, e contemporaneamente attuiamo, tutti assieme, politiche monetarie e fiscali molto espansive, oppure corriamo il rischio che siano i mercati o i popoli a separare le nostre strade. Mentre scriviamo, già sentiamo alzarsi i giudizi di utopismo e ingenuità. «Ma nel momento in cui l’euro e l’Europa minacciano di crollare, bisogna cambiare modo di pensare. Anzi, questa situazione di crisi conduce a un rovesciamento di valore del realismo. Ciò che fino ad oggi era considerato “realistico” diventa ingenuo e pericoloso, perché deve addossarsi il crollo. E ciò che era considerato ingenuo e illusorio diventa “realistico” perché cerca di impedire la catastrofe e insieme di rendere il mondo migliore». (2)

(1) R. Perotti, “The ‘Austerity Myth’: Pain without Gain”, BIS Working Paper 362, dicembre 2011. Su tutto il dibattito circa l’efficacia delle politiche di austerità è utile leggere M. Blyth, Austerity. The History of a Dangerous Idea, Oxford University Press, 2013, specialmente i capitoli 5 e
(2) U. Beck, L’Europa tedesca, Roma-Bari, Laterza, 2013, p. 80.

*Tratto da LaVoce.info, pubblicato il 25 giugno 2013

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