Dopo Zlatan Ibrahimovic, un altro “cattivo” del calcio sta per arrivare in Italia, alla Juventus. Carlos Tevez dopo le visite mediche di rito firmerà un ricco contratto con i bianconeri. Beppe Marotta è riuscito nell’impresa di portare a Torino il tanto agognato top player in attacco. Tevez ha abbandonato la clausola che al City gli permetteva di avere l’ingaggio più alto di tutti per fare grande la Juve in Europa e riuscire là dove Ibra non ce l’ha fatta: vincere la Champions League – che Tevez ha già alzato con lo United nel 2008 – e non solo gli scudetti.
Che Tevez fosse destinato a una carriera da “Bad Boy”, lo si capì subito. Forte sul campo, scapestrato fuori. La cronaca ufficiale racconta che il vistoso taglio sul collo se lo è procurato da bambino, quando si rovesciò accidentalmente addosso una pentola piena d’acqua bollente. Eppure in Argentina, dove è nato e cresciuto calcisticamente, qualcuno ha sempre dubitato di questa versione, attribuendo invece la cicatrice al ricordo lasciatogli da un coltello durante le numerose risse fra bande rivali del barrio di Ciudadela dove abitava, Ejercito de los Andes. Una zona chiamata anche Fort Apache, dall’omonimo film con Paul Newman, a cui Tevez deve il nomignolo di “Apache”.
Altra storia strana, quella dei nomi di Carlos. Dal semplice Carlitos (per la sua altezza) a “Brigante” (vedi la sua gioventù turbolenta), da Apache al cambio ufficiale di cognome. Si è chiamato Carlos Martinez fino ai 13 anni. Poi la sua famiglia gli fece prendere il nome della madre: un escamotage per farlo giocare nelle giovanili del Boca Juniors, visto che la sua squadra, l’All Boys, non voleva lasciarlo partire. La questione dei nomi si intreccia così a quella dei tanti cambi di maglia, alcuni dei quali non senza polemiche. Succede, se lasci lo United per andare nell’altra metà di Manchester, o se qualche anno prima avevi abbandonato il Boca per andare a giocare nientemeno che nel campionato di calcio del Brasile, un paese che non è che proprio si ami alla follia con gli argentini, ecco.
Eppure gli Xeneizes si erano rassegnati a vederlo partire, dopo che nei dintorni della Bombonera aveva vinto tutto. Un cannibale, altro che Brigante. Mette in fila nella sua personalissima bacheca campionato Apertura, Copa Libertadores, Coppa Intercontinentale, Copa Sudamericana. Fa parte della nazionale argentina che nel 2004 vince l’oro ad Atene 2004, dopo aver strapazzato l’Italia in semifinale: è una Seleccion d’oro che punta tutto sull’attacco, di cui Tevez è perno. A fine Giochi, è lui il cannoniere del torneo di calcio a cinque cerchi. Sembra tutto pronto per un suo passaggio in Europa, invece finisce al Cortinthians per 20 milioni di dollari. In mezzo ci sono le petromonete di un paese emergente, tradotte in un fondo d’investimento che diviene proprietario del cartellino del giocatore.
Sì, perché in una storia di calcio che si rispetti ci sono anche i soldi. Tanti soldi. Come quelli messi sul piatto dall’iraniano Kia Joorabchian, uomo d’affari diciamo controverso (a un certo punto risulterà essere registrato con due date di nascita differenti) che nel 2004 acquista il Corinthians, inclusi Tevez e il compagno di nazionale Javier Mascherano, attraverso il fondo Media Sports Investments. Certo ci sono cose che i soldi non possono comprare: i tifosi del Corinthians non vedono di buon occhio che un argentino arrivi in squadra e subito indossi la fascia di capitano. La squadra vince il campionato, che improvvisamente diventa troppo stretto per il trio Joorabchian-Tevez-Mascherano. I tre vanno in Inghilterra, al West Ham. Succederà un patatrac, perché il faccendiere iraniano stava trattando l’acquisto degli “Hammers”, che poi non si concretizzò anche se i due giocatori finirono a giocare a Londra, tra multe, inchieste della Federcalcio inglese (i trasferimenti dei due atleti violavano le norme inglesi) e mandati di cattura internazionale per Joorabchian, accusato di riciclaggio. Una condizione che non gli impedisce di restare padrone del cartellino del giocatore, poi venduto al Manchester United.
E pazienza se il faccendiere/ricercato etc paga 3 milioni di euro al West Ham per non proseguire nella diatriba davanti al Tribunale d’Arbitrato per lo Sport: a Tevez interessano altri soldi, quelli del’ingaggio. Sir Alex Ferguson lo mette in campo assieme a Cristiano Ronaldo: una coppia che permette al club di consolidare il primato in Inghilterra e vincere la Champions a Mosca. Poi il rapporto con il pluripremiato tecnico si rompe. I soldi, la fama, certo: ma Tevez ha in comune con molti altri colleghi il vizio di litigare con gli allenatori. Non si lascia bene con Ferguson, ma in fondo al City gli offrono una barca di soldi e una clausola: qualsiasi giocatore arriverà, sarà l’argentino quello che guadagnerà più soldi. Sta qui la vendetta di Carlos, che vince il campionato all’ultimo minuto e mentre festeggia esibisce uno striscione: “Rip Ferguson”. Una mossa che costringe il club a scusarsi con il tecnico e Tevez a una retromarcia che sa di falso, falsissimo.
Non che con Roberto Mancini le cose siano andate meglio. Tevez è ancora una volta capitano, ma la fascia non sempre viene onorata. Martedì 27 settembre 2011, 2° giornata di Champions League. A Monaco di Baviera la squadra di casa del Bayern ospita e batte 2-0 gli inglesi del Manchester City guidati dall’italiano Roberto Mancini. A mezzora dalla fine della partita, nel tentativo di ribaltare il risultato – come farebbe ogni allenatore con un minimo di senso tattico – Mancini decide di mettere in campo un altro attaccante. E sceglie Carlos Tevez. Che si rifiuta di alzarsi dalla panchina. Mancini si infuria e a fine gara cala la sua mannaia sul giocatore argentino: «Tevez non gioca più». Per non parlare della multa inflittagli dal club: 570mila euro, la più alta del calcio inglese. Il giocatore, sensibile al denaro, dopo un po’ si ravvede e torna a disposizione del tecnico.
Ora è arrivato per Tevez il momento dell’Italia. Sembrava Milan, come due anni fa, quando Berlusconi bloccò Galliani mentre stava per fargli mettere nero su bianco. Doveva partire Pato, che restò. Ora il “Papero” gioca guarda un po’ nel Corinthians e Tevez va invece alla Juve. Dovrà accontentarsi di 5 milioni all’anno (netti, ovvio), ma potrà provare a ottenere quello che è mancato a Ibra in Italia: la coppa dalle grandi orecchie. A Tevez interessa eccome: in caso di vittoria ci saranno grossi premi in denaro in ballo. E una fama da “bad boy” da portare avanti. Cattivo sì, ma vincente.