I presidenti Barack Obama e Xi Jinping s’incontreranno in California per due giorni a partire da venerdì. Era ora.
Nel rapporto tra Stati Uniti e Cina nuove frizioni sono sempre all’ordine del giorno: dispute commerciali, tensioni sulla Corea del Nord, dibattiti per le riduzioni delle emissioni di carbonio, presunti cyber-attacchi da parte della Cina.
Sopravvissuto alla fase della rielezione, Obama può scrollarsi di dosso l’accusa di pacificatore e trattare la “questione cinese” con la cura che merita. Anche la Cina, che sta attraversando un periodo di transizione di leadership, sta per affrontare un nuovo inizio.
I due presidenti, Usa e cinese, devono cogliere quest’opportunità per migliorare le relazioni tra i due paesi; se non lo faranno ora, non ci saranno altre possibilità per molti anni.
Finora, la politica verso la Cina di Obama ha assunto per lo più una forma di protezione contro l’avanzata della Cina. Le politiche asiatiche dell’amministrazione Usa hanno convinto molti a Pechino che Washington voglia provare ad arrestare e di contenere la crescita cinese nello stesso modo in cui l’America ha cercato di fermare la diffusione del potere sovietico durante la guerra fredda.
La protezione dovrebbe far parte della strategia americana. Ma proteggersi senza un sincero tentativo di aprire un dialogo rischia di alimentare il risentimento cinese e di trasformare la competizione in conflitto.
La cooperazione tra l’America e gli Stati Uniti è cruciale per il futuro di entrambi i paesi e per il mondo intero, e l’attuale politica di “contenere i danni” non è sufficiente. […]
Il primo passo sarà, per Obama e i suoi rappresentanti, quello di smettere di provare a negoziare con una Cina che vedono solo loro e di iniziare a impegnarsi con la Cina così com’è.
I cinesi non accetteranno nessun altro tipo di approccio, e gli Stati Uniti non hanno il potere di obbligarli. La Cina è in tutto e per tutto un’anomalia, così come lo sono gli Usa, e lo è stata per centinaia di anni. È un paese preparato a creare più che a subire le regole, e che competerà con gli Stati Uniti per il controllo dell’Asia e per l’egemonia globale. […]
È arrivato il momento per i due presidenti di pensare in grande. Obama e Xi dovrebbero iniziare a lavorare su una dichiarazione di principi, un documento in grado di elevare e porre l’attenzione sulla loro partnership. […]
Se decidessero di arrivare a una nuova dichiarazione, ognuno delle due parti dovrebbe concedere qualcosa all’altra parte. Ci sono dei costi e dei rischi che la Cina non accetterà perché potrebbero compromettere la sua stabilità interna.
Per esempio, la Cina non diminuirà drasticamente le emissioni di gas che causano l’effetto serra perché teme che ridurre la produzione significherebbe mandare milioni di cinesi in mezzo a una strada. E non giocherà un ruolo decisivo nel risollevare la barcollante eurozona se farlo richiedesse di lavorare con governi diversi dalla Germania, della cui stabilità si fida. E non cambierà la sua posizione su Taiwan, il Tibet o piazza Tienanmen.
Ma ci sono altre cose che la Cina può fare e che farà se gli Stati Uniti le offrissero i giusti incentivi. […]
L’America e la Cina beneficiano già di enormi profitti dalle loro relazioni commerciali e dai loro investimenti reciproci. Nel 1985, il commercio tra i due paesi valeva solo 7,7 miliardi di dollari. Nel 2000, la cifra è salita a 116 miliardi, nel 2012 ammonta a 536 miliardi di dollari, il che mette gli Usa e la Cina nella posizione di creare il più grande rapporto commerciale della storia. Ma alcune manovre intraprese da entrambe le parti hanno eroso la fiducia reciproca.
L’amministrazione Obama ha lavorato per prendere slancio dalla partnership con l’Asia: un accordo commerciale gigantesco che dovrebbe coinvolgere una serie di paesi che si affacciano sull’oceano Pacifico. La Cina vede questa partnership come una mossa per isolarla e non vi parteciperà: sarebbe costretta ad aprire comparti della sua economia che non sono ancora pronti a sostenere la pressione competitiva esterna. Ma questo non significa necessariamente che la Cina debba vederla come una minaccia. Chi vi partecipa dovrebbe continuare a costruire nuovi legami commerciali con Pechino per aiutarla a placare il timore che la partnership statunitense-asiatica sia stata designata appositamente per isolare la Cina.
Nel frattempo la Cina ha riscoperto i suoi vecchi difetti per quanto riguarda le norme di accesso delle compagnie statunitensi nel suo mercato: non è riuscita proteggere la proprietà intellettuale Usa e ha investito in un programma di “innovazione autoctona” che restringe ingiustamente gli investimenti stranieri nel settore della tecnologia in un momento in cui gli investimenti cinesi nell’economia americana stanno aumentando rapidamente. Anche i conflitti nel cyberspazio si stanno intensificando, ed esistono prove che gli hacker cinesi stiano tentando di spiare, rubare, sabotare e distruggere la proprietà intellettuale Usa. Questa è un’area dove Obama deve continuare vigorosamente a difendere gli interessi statunitensi.
Gli Stati Uniti dovrebbero continuare a esercitare pressione sufficiente, sia a livello diplomatico sia attraverso l’Organizzazione mondiale del commercio per obbligare Pechino ad aprirsi. Per il momento, un accordo di libero commercio non è possibile. Ma ci sono molte cose che gli Stati Uniti e la Cina possono fare per allargare e approfondire i loro rapporti commerciali, gli investimenti reciproci ed evitare inutili scontri. Con questo in mente, i negoziatori americani e cinesi dovrebbero iniziare a lavorare sulla formulazione di un “contesto generale di accordi commerciali e d’investimenti”, su cui fondare un accordo più ambizioso per i prossimi anni.[…]
In più, le due parti dovrebbero creare un gruppo di lavoro che risponda direttamente a Obama e a Xi, e il cui principale mandato sia di delineare i limiti di entrambe le parti in modo da minimizzare il rischio di conflitti, in particolare cibernetici. Questo dovrebbe assicurare che le buone idee non vengano perdute negli scambi tra due burocrazie che non sempre si sanno capire.
Gli Stati Uniti e la Cina hanno molto da offrire l’un l’altro. Entrambi traggono beneficio da un ambiente internazionale sicuro e prevedibile. Entrambi sono grandi importatori di petrolio straniero. La Cina ha enormi riserve di shale gas e vuole sfruttarlo, e gli Stati Uniti dispongono di tecnologie e di una forza lavoro dotata di un alto livello di know-how. Una Cina che fa un uso più efficiente della sua energia consentirebbe agli Stati Uniti di abbassare il prezzo dell’energia limitando i danni ambientali.
Inoltre, Pechino continuerà a investire nel suo sistema di capitalismo statale e a gestire la sua moneta per assecondare le proprie esigenze economiche.[…]
Nella buona e nella cattiva sorte, gli Stati Uniti e la Cina sono comunque legati in una specie di assicurazione di distruzione economica reciproca.
È un punto di partenza come un altro per una partnership che è arrivato il momento di creare.
*tratto da: Foreign Policy, pubblicato il 4 giugno 2013