“Ben venga Facebook se serve a rivelare le violenze”

Il caso Di Cataldo

Il caso ha “infiammato” la Rete e i giornali sin dall’inizio. Quando la ex compagna del cantante Massimo Di Cataldo, Anna Laura Millacci, venerdì 19 luglio ha pubblicato sul suo profilo Facebook le foto che la ritraevano con il volto insanguinato, scrivendo pubblicamente di essere stata vittima di violenza da parte del suo ex. La procura di Roma ha proceduto d’ufficio e ora Di Cataldo è indagato per i reati di maltrattamento e procurato aborto (la donna ha scritto di aver abortito a causa delle percosse). E le fotografie, che sembravano ritrarre anche un feto, sono state rimosse dal social network per essere sottoposte a una perizia tecnica (non è più possibile neanche accedere al profilo Facebook della donna). Un cortocircuito tra vita privata, Internet e presunta violenza, che sembra costituire un precedente. «Se Facebook può aiutare a rivelare queste storie che normalmente restano tra le mura domestiche, che ben venga», commenta Francesca Maria Zanasi, avvocato esperto di diritto della persona e autrice di numerosi volumi sulla violenza domestica e il reato di stalking.

Ci sono già stati casi simili, in cui c’è stata una denuncia della violenza domestica tramite Facebook?
Non conosco altri casi uguali a questo, ma non escludo che la gente racconti di sé, anche delle cose spiacevoli, di vita vissuta. Oggi le persone si parlano attraverso Facebook o altri social network, anche per mandarsi messaggi indiretti. Nel caso della signora Anna Laura Millacci credo che lei abbia voluto in questo modo rendere pubblica la storia delle presunte percosse, confidarlo in questo modo. Davanti a un comportamento che le ha causato danni, non ha più taciuto come fanno altre vittime di violenza domestica. Se Facebook può aiutare a rivelare queste storie, a venire fuori, che ben venga. Normalmente la violenza rimane chiusa tra le mura domestiche.

Perché denunciare su un social network e non andare dai carabinieri?
Più che una denuncia mi sembra una pubblica accusa, non credo che la signora avesse in animo di procedere penalmente. È stato uno sfogo per svelare i fatti persecutori e le vessazioni subite alle persone conosciute. Lo ha detto lei stessa che non pensava che la storia venisse ripresa dai giornali.

C’è una violazione della privacy nella pubblicazione di queste informazioni?
No, quando racconti la tua vita non incorri nella violazione della privacy. Ma non sono un’esperta di privacy.

I giornali potevano effettivamente pubblicare quelle foto?
Dal mio punto di vista, quando diffondi le foto su un social network l’utilizzo non è limitabile. Essendo Massimo Di Cataldo un personaggio pubblico, potrebbe esserci la scriminante del diritto di cronaca. Ribaltando la cosa, ci si potrebbe chiedere se un giornalista, vedendo una pubblicazione simile, può denunciare su un giornale la storia. Di sicuro costituisce un precedente.

Le fotografie pubblicate ora sono state rimosse per essere sottoposte a perizia tecnica per verificarne la validità.
Se le foto fossero false, si potrebbe ipotizzare il reato di calunnia, quando si accusa ingiustamente qualcuno coinvolgendo l’autorità giudiziaria. È un reato gravissimo, anche se in questo caso la denuncia formale non c’è stata e la procura ha proceduto d’ufficio.

Cosa servirebbe ancora in Italia per tutelare le vittime di violenza domestica?
Ci sono molte norma a tutela della vittima. I più importanti sono gli ordini di protezione inseriti nel Codice civile e nel Codice penale che prevedono che la vittima possa rivolgersi al giudice (o al pm) per chiedere l’allontanamento dell’aggressore. Il problema è un altro, manca la certezza della pena. Prendiamo il caso di Filomena Di Gennaro, rimasta paralizzata su una sedia a rotelle a causa di vari colpi di pistola sparati dal suo ex fidanzato. A lui hanno dato undici anni, poi ridotti a meno di sei tra sconti vari. Tra poco sarà fuori.

La legge che ha introdotto il reato di stalking, però, è stato un passo avanti.
Certo, siamo stati gli ultimi nel mondo civile ad aver introdotto questa fattispecie di reato. Prima esisteva un vuoto normativo enorme. Non si riuscivano a prevenire le aggressioni. Si utilizzavano i reati di molestia e di minaccia. Ora, se la condotta persecutoria è ripetuta, si qualifica il reato di stalking. La vittima ha due scelte: chiedere al questore l’emissione di un ammonimento, che è un forte disincentivo, o proporre la querela. In questo caso la vittima può chiedere l’emissione del divieto di avvicinamento. E il fatto che lo stalker sia un ex, costituisce un aggravante, poiché la vittima è in una posizione più debole, con le difese abbassate.  

@lidiabaratta

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