Čechov e le banche: “Truffano e cercano sussidi”

Lo scrittore racconta un crac bancario

Un paese stretto tra la necessità di riforme sociali per ridurre le disuguaglianze e una rigorosa politica di bilancio flagellato da instabilità politica e movimenti populisti. Una classe politica inadeguata che non riesce a tener testa a una corruzione dilagante e a porre un freno allo strapotere delle banche. Riconoscete questo paese? Bravi, è la Russia zarista del 1884. E Anton Čechov ne Il processo Rykov ce la racconta.

Il giovane giornalista Čechov, che qualche anno più tardi verrà applaudito per capolavori teatrali come «Zio Vanja» e «Il gabbiano», collaboratore della Gazzetta di Pietroburgo, ottiene un accredito stampa per seguire il processo Rykov a Mosca, che riguarda forse il più grande crack finanziario della storia della Russia zarista. Chi era Ivan Gavrilov Rykov? Era il direttore della Banca di Skopin, piccolo istituto di credito vicino Ryazan. Banca che, dopo essere stata fondata nel 1857 da alcuni contadini benestanti, viene rilevata da Rykov e dai suoi complici: i vicedirettori Rudnev e Ikonnikov e il contabile Matveev. La banca, riferisce Cechov, viene “americanizzata”: interessi alti, al 7,5%, quando la media nazionale oscilla tra il 3 e il 5%, titoli fruttiferi in vendita a prezzi convenienti e infine una massiccia campagna di stampa sui giornali, con una particolare attenzione alla stampa ecclesiastica, con l’uso di slogan ad effetto: «Grande solidità e credito immediato a chiunque ne faccia richiesta». Risultato: depositi bancari aumentati, anche da fuori città, anche da Mosca, anche da Chisinev, Moldavia, periferia dell’Impero. E ovviamente, le rendite finanziarie sono finanziate con i depositi altrui. Un perfetto schema Ponzi. E quando questi non bastano, la copertura dei prestiti si fa con le cambiali, firmate da prestanomi compiacenti. Ma lasciamo la parola a Čechov:

«Nello sconto delle cambiali, gli americani di Skopin si attenevano rigidamente e scrupolosamente alle seguenti regole: 1) l’elenco, obbligatorio per legge, con i nomi di chi riceve un credito e l’indicazione della somma percepita è un lusso inutile; 2) lo sconto delle cambiali si esegue non su ordine dell’amministrazione, ma solo su decisione di Rykov o dei suoi scagnozzi; 3) alla scadenza del termine di pagamento, le cambiali non vengono pagate, ma vengono sostituite da altre nuove, così come gli interessi non vengono pagati, ma si aggiungono al debito capitale.
[…]
I conti degli imputati, quasi tutti in debito con la banca, si diversificano solo nelle cifre, ma “nello spirito” sono tutti fratelli. Credito a tutti senza distinzione di grado, spese folli, baratto delle cambiali con aggiunta definitiva di interessi… Questi tontoloni di imputati vedono una colpa nel proprio debito e sentono il bisogno di giustificarsi.
“Il debito non è una colpa!” spiega il presidente. “Colpevole in questo caso non è chi prende, ma chi dà denaro altrui! Voi non siete sotto processo per il vostro debito.»

E anche la pubblica amministrazione di Skopin, che deve a Rykov e ai suoi agganci con la capitale San Pietroburgo, ha sottoscritto debiti, paragonabili allo scandalo derivati di qualche anno fa:

«L’ex sindaco Vladimir Ovchinnikov, il più galante degli imputati, alla domanda perché, una volta scoperti, non abbia messo fine agli abusi come era obbligato a fare, risponde con voce tragica, piagnucolando e bevendo acqua a ogni frase.
“Sapevo che nella banca qualcosa non quadrava… Capivo, sentivo che come cittadino avevo l’obbligo di denunciarlo. Ma io non sono un eroe! A Skopin ci vivo, ho dei parenti, dei legami, degli affetti… se avessi sporto denuncia, i miei concittadini mi avrebbero maledetto… sarebbe stata la mia fine…”
Per quale motivo questo Ovchinnikov, sindaco di Skopin, pur sapendo delle truffe, abbia contratto un debito con la banca cinque volte superiore a quello di partenza, rimane una questione non risolta, dal momento che l’imputato prega la Corte di rimandare questo punto a un’altra occasione.»

E Rykov cosa diceva a sua discolpa? Come spiegava il fatto che:
«Considerava il consiglio comunale solo come uno strumento per fare ciò che voleva. Una volta, quando un certo capo della polizia distrettuale si era messo in testa di agire in autonomia, Rykov aveva stroncato questo “centro di potere distrettuale” con la frase: “Ma guarda questo! Mi basta volerlo e domani posso averne un intero vagone di capi della polizia”»

Ecco come tentava di giustificare cinque milioni di rubli di debiti, di cui uno e mezzo investiti in una fallimentare società per l’estrazione del carbon fossile. Ecco come spiegava al giudice la sua vasta rete di corruzione, ottenuta anche ad azioni di beneficenza:

«”E come mai la beneficenza non la faceva di tasca sua?”
Rykov risponde che l’aiuto ai poveri era una delle funzioni della banca e, visto che non esistevano disposizioni legislative che regolassero i suddetti compensi e che quindi bisognava fare da soli, lui ricorreva a tecniche assolutamente innocue, nelle quali non c’era niente di male.
I soldi per i lavoratori in nero provenivano da due fonti. Una metà proveniva dallo stipendio di impiegati regolari, che “acconsentivano” a guadagnare molto meno di quello che in modo fittizio era segnato sulla loro busta paga, mentre l’altra metà proveniva dalla distribuzione delle obbligazioni.
“Non avevate il diritto di toccare le obbligazioni! Non erano vostre!”
“Sì, però avevo il diritto di tenere in cassa, al posto delle obbligazioni, dei soldi in contanti, che non avrebbero fruttato alla banca alcun interesse”»

Ma soprattutto, sono i creditori inferociti che fanno confessare a Rykov le sue reali intenzioni:

«Nel 1882, quando, secondo l’espressione enfatica di Rykov, la sua casa era circondata da una “folla di risparmiatori armati di pistole”, egli decise di intraprendere un’attività volta a racimolare soldi con qualsiasi mezzo. Strano a dirsi, questo milionario cominciò a conteggiare persino le copeche. All’improvviso ebbe bisogno di soldi, non certo per risarcire “la folla armata di pistole”, come si sforza di dimostrare, visto che è difficile risarcire centinaia di migliaia di persone, bensì per qualcos’altro.
Rykov aveva una tale fregola di raccogliere le ultime briciole da far venire il sospetto che prevedesse che prima o poi le cose si sarebbero messe male e che se la sarebbe dovuta squagliare… Per prima cosa affitta a lungo termine la sua proprietà a Nogajsk, e lì svende tutto, grano, fieno, attrezzi, ecc. Poi mette due ipoteche sulla proprietà del distretto di Rjazan’, e al marito di sua sorella vende le proprietà in altri tre distretti… Ma i soldi sono comunque pochi e quindi cerca in tutti i modi, finché è in tempo, di vendere falsi libretti di deposito della banca.
Rykov ammette il reato, ma ritiene che queste operazioni non abbiano recato alcun danno alla banca… Il vero obiettivo era “la folla armata di pistole”.
“Quelli che hanno partecipato alla vendita di questi libretti non sapevano che erano falsi, eseguivano solo i miei ordini…”
“Ma non ha pensato a quelli che li avrebbero acquistati?”
“Chi affoga si aggrapperebbe anche a una pagliuzza… speravo in un sussidio statale…”»

Čechov si limita solamente a riportare i dati del processo. Ma traspare una società che, spinta dall’apertura di credito da parte del ministro dell’economia Nikolaj Bunge, creatore della Banca della Terra, una specie di Cassa del Mezzogiorno dedicata agli ex servi della gleba, cerca soldi facili con ogni mezzo. Infatti, dopo la bolla creditizia che ebbe come apice il crack Rykov, arrivo al ministero dell’economia il rigorista Ivan Visnegradskij, fautore del pareggio di bilancio. Anche qui, simile a un altro Paese. 

Twitter: @MatteoMuzio

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