Ed ecco a voi la turpi-Lega, la Lega dell’ingiuria e del turpiloquio. C’è stato un tempo in cui esisteva una Lega di lotta e di governo, rude sempre – volgare spesso – ma in ogni caso capace di esprimere visceralità profonde, finalizzate alla realizzazione di una granitica linea politica. C’è stata anche una Lega di opposizione, antisistema, linguisticamente ancora più irrequieta, capace di ricorrere all’iperbole e all’ingiuria per propagandare il suo messaggio. Temo che, con tutto il peggio che si possa immaginare di queste due leghe del passato, siano entrambe più coerenti della Lega di oggi, che si divide tra il governismo delle macro-regioni e l’estremismo del fuoco ad alzo zero, che passa il tempo a ingiuriare gli avversari dando dei culattoni e dei negri ai deputati degli altri partiti, in attesa che qualcuno si ricordi dell’esistenza del Carroccio, e nella speranza che gli elettori feriti dalla saga dei diamanti di Belsito ascoltino il richiamo della foresta e ritornino all’ovile.
Che dire dell’onorevole Gianluca Buonanno, che grida in Aula «Sel è un partito di sodomiti?». Cosa dire di Roberto Calderoli che bolla il ministro Kyenge con l’epiteto infame di «faccia di orango», e poi dice che scherzava, quindi finge di ritrattare e dolersi, e infine ci mette il carico aggiungendo che però «la ministra non parla bene l’italiano»? Che dire di Mauro Borghezio quando definisce, sempre la Kyenge, «ministra del cazzo» e «Bongo Bongo»?. I leghismi gutturali degli anni Ottanta stupivano («Boniver bonassa, siamo armati di manico!»), quelli dei primi anni Novanta inquietavano («Attenti alla rabbia del nord!», «Magistrati, la vostra vita vale meno di una pallottola, trecento lire»), quelli della seconda metà degli anni Novanta facevano sorridere («Miglio è una scoreggia dispersa nello spazio»), quelli del Duemila davano l’impressione di battute già sentite («Noi siamo pronti: se vogliono fare gli scontri io ho 300 mila uomini sempre a disposizione»).
Quelli di oggi regalano un senso del patetico, l’idea del fuori tempo massimo. Sentire i leghisti che insultano la Kyenge oggi non fa più nessuna paura, ma nemmeno diverte. Semmai, questi insulti, restituiscono una sensazione grottesca, quella che ci fanno i bambini quando, per stupire e per farsi notare – in un eccesso di infantilismo simulato – si mettono a gridare «Cacca-cacca-cacca», nella speranza che qualcuno li noti o li sgridi. Accade in quell’età fra i 5 e 6 anni, quando sanno già che stanno dicendo una sciocchezza, ma vogliono vedere se i genitori si stupiscono o ci rimangono male.
Ha scritto due anni fa Claudio Magris, a proposito della pioggia di insulti che già allora cominciava ad alluvionare la politica: «Arrivano da tutte le parti e da persone che si credono élite, classe dirigente, leader e maestri nell’arte della politica. Nei confronti delle donne – scriveva Magris – le scemenze ingiuriose si scatenano con particolare indecenza, specie da parte di ex partner, e non valgono certo di più dell’insulto che qualsiasi ubriaco può indirizzare a una signora che in quel momento gli passa accanto». Lo scrittore conclude quasi sarcastico: «La letteratura avrebbe bisogno di un Gadda, l’unico genio in grado di narrare questo formaggio verminoso, di ritrarre quei visi dei, o delle, turpiloquenti che spesso, nella smorfia dell’insulto, rischiano di rivalutare le vecchie teorie di Lombroso sulla fisiognomica». Ecco, in mancanza di un nuovo Gadda, il bambino mal cresciuto che grida “cacca-cacca-cacca” merita due risposte: l’indifferenza e il castigo.
Twitter: @lucatelese