Cosa comporta la non brevettabilità dei geni

Dopo la sentenza della Corte Suprema Usa

Partiamo dalla premessa che si può brevettare un’invenzione, ma non una scoperta. «Altrimenti Cristoforo Colombo avrebbe potuto brevettare l’America, che ha scoperto, non inventato» scriveva Pietro Greco nel 2010 su l’Unità. Stessa cosa per quanto riguarda i geni umani: isolarne la sequenza è una scoperta importante, ma non è un’invenzione, e perciò non sono brevettabili. Lo ha stabilito all’unanimità la Corte Suprema americana che lo scorso 13 giugno ha posto fine a una controversia legale che andava avanti dal 2009. Al centro della vicenda la Myriad Genetics un’azienda dell’Utah detentrice di numerosi brevetti di geni, tra cui i Brca, correlati a una maggior probabilità di avere tumore al seno e alle ovaie. Gli stessi resi famosi dalla vicenda Jolie. La Myriad grazie a questa esclusiva, aveva il monopolio assoluto nel mercato dei test genetici per questi geni, bloccando qualsiasi altra azienda che avesse voluto competere con lei.

Questo aveva scatenato le proteste di ricercatori, medici e pazienti. I primi perché vedevano anni di ricerca strumentalizzati per interessi dell’azienda anziché per il bene dei pazienti; le associazioni dei malati per tutelare i diritti di quelle persone che non potevano permettersi un test da 3.000 dollari – questo il costo del test per i geni Brca della Myriad. «La Myriad non ha creato niente di nuovo – ha dichiarato il giudice Clarence Thomas a nome della Corte – ha trovato un gene importante e utile, ma isolare quel gene dal Dna circostante non è un’invenzione». Ribadendo così quanto già stabilito in Europa – e in Italia – e negli stessi Usa, dove però una legge più permissiva ha concesso alle aziende di brevettare sequenze geniche per oltre trent’anni.

Difficile stabilire con esattezza cosa sia brevettabile e cosa no quando entrano in gioco essere viventi. Così nel 1980 in Usa venne brevettato un batterio, e la Corte suprema concesse alla Università di brevettare la tecnica di clonazione del Dna ricombinante. La Myriad, invece, come altre società, provò a brevettare la tecnica per identificare o isolare un gene anche senza modificarlo, riuscendo a ottenere l’esclusiva. Nel 1994 infatti, il fondatore della società, Mark Skolnick e il suo socio in affari, il premio Nobel Walter Gilbert, appena identificato il gene Brca, si recarono all’ufficio brevetti per registrare la loro “invenzione” e solo dopo comunicarono la scoperta al mondo scientifico. Impedendo a chiunque, da quel momento in poi, di avere a che fare con i geni brevettati. Senza considerare che se erano arrivati fin lì lo dovevano ad anni e anni di ricerche di scienziati che prima di loro avevano lavorato sul genoma. Senza il contributo precedente non ci sarebbero mai arrivati. Giusto quindi rendere privata una scoperta simile?

La sentenza finalmente apre le porte ad aziende e laboratori universitari, che vogliano fornire gli stessi test a prezzi più bassi, rendendoli accessibile a un maggior numero di persone. Ed è destinata a cambiare il quadro dell’intera industria genetica americana che in oltre trenta anni ha brevettato circa 40mila geni. Si stima oltre il 20% del genoma umano.

Ma ci sono ben due motivi per cui la company di Salt Lake City non ha mostrato molta preoccupazione. La prima è che i brevetti dei geni Brca sarebbero scaduti nel 2015, permettendo comunque a terzi di produrre test per questi geni fra meno di due anni. La seconda motivazione è che la Corte suprema ha sì dichiarato che i geni non sono brevettabili, ma solo quelli naturali. Tutti quelli “sintetici” che sono stati prodotti in laboratorio subendo qualche modifica, sono da ritenersi prodotti dell’ingegno, e perciò brevettabili. E sui 40mila brevetti suddetti rilasciati dallo United States Patent and Trademark Office, solo 3.000 sono naturali.

«Se le industrie sono intelligenti basterà cambiare il gene per poterlo brevettare» spiega a Linkiesta Edoardo Boncinelli, genetista prima al Cnr e poi al San Raffaele. «Basta aggiungere o togliere un pezzetto alla sequenza genica per rendere più facile la diagnosi o l’identificazione del gene. Poi chissà nel 2015 o 2020 quali altri stratagemmi avremmo inventato per migliorare l’identificazione o la manipolazione del gene».

La stessa Myriad ha dichiarato di non essere preoccupata perché «la Corte ha deciso che solo cinque richieste per ottenere brevetti che coprono il Dna isolato non sono validi, ma Myriad possiede oltre 500 richieste di brevetto che rimangono valide» si legge in una dichiarazione ufficiale. Sicurezza confermata anche dalle quotazioni in borsa che dopo la sentenza sono ancora aumentate, dopo una prima impennata verificatasi in seguito alla vicenda Jolie.

«La sentenza mi sembra molto giusta – continua Boncinelli – perché i geni come tali sono un prodotto naturale non brevettabile, ma se c’è un’opera dell’ingegno allora può diventare di proprietà privata». Al contrario di quanto riportato su alcuni giornali, secondo cui la sentenza ha cercato di accontentare un po’ tutti, sia chi sostiene che i brevetti siano necessari alle industrie per continuare a finanziare la ricerca, sia chi si oppone a questa eccessiva libertà nel concederli. «Non capisco perché abbiano messo in giro questa voce – conclude il genetista – a me sembra la soluzione più logica. E se in futuro qualcuno farà cose utili come allungare o accorciare un gene è giusto che abbia l’esclusiva. Poi è giusto non andare sempre contro le grandi industrie che si occupano di farmaci e salute perché senza di loro la ricerca si bloccherebbe. Gli investimenti per ottenere questi prodotti sono alti e non sempre produttivi, per cui le poche volte che un investimento va in porto rende molto e va a compensare le perdite».

In questa vicenda però in gioco non ci sono solo i diritti di esclusiva sui geni, ma anche i dati delle donne che si sono sottoposte ai test genetici in questi anni e che sono custoditi gelosamente dalla Myriad. «La Myriad ha sempre sostenuto che essendo stati raccolti con un metodo brevettato e sviluppato a suon di milioni di dollari, tutte quelle informazioni sono di sua proprietà e come tali saranno conservate nei computer di Salt Lake City» scrive Luca Landò su l’Unità. Un patrimonio inestimabile per la comunità scientifica, che potrebbe utilizzarli per la ricerca contro il cancro.

Twitter: @cristinatogna

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